Filologia e critica dantesca: appunti dettagliati
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che Cap che è contaminato abbia ereditato “bene” dall’originale e quindi
questo errore è CONGIUNTIVO NON SEPARATIVO. Cap ha corretto per
congettura.
Oltre a questo, nel suo testo, l’Ageno fa una serie di esempi di errori d’archetipo
elencandoli in due colonne, dove una ha il testo corretto e l’altra l’errore.
Pag 35 (verso) dispense
• I v 14: in questo caso l’emendamento è ragionevole
• I ix 2:
o è un errore d’anticipo dal momento che nel testo più avanti c’è di nuovo
“da fuori”
• II ii 3:
o In questo caso l’errore è dettato da “li arbori” che lo precedono me per
tradizione si sa che Orfeo faceva muovere le pietre. Il testo non è erroneo
dal punto di vista del senso ma dal punto di vista della fonte.
• II ii 6: in questo caso la sintassi è troppo violata
• III iii 5: in questo caso “divina” non funziona
• III viii 14:
o in questo caso bisogna comprendere paleograficamente cosa è successo
• IV ii 16:
o Non c’è un grande errore; la frase richiede un participio passato piuttosto
che un esortativo
• IV xiv 10: c’è una lectio difficilior sanata per congettura
Un esempio importante fatto dall’Ageno non sul Cv ma su CAVALCANTI riguarda un
errore SEPARATIVO. In questo caso la Canzone “Donna mi prega” è trasmessa dal
codice Ch, che ad certo punto riporta il verso “ non po chaverstostare si giunto” che
differisce da altri codici che hanno “un po coverto sta quand’è si giunto” (che fa
tornare tutto il verso). Se questo è un errore separativo e quindi non può essere
sanato per congettura, va rielaborato lo stemma originale con un codice X (archetipo)
da cui è derivato Ch e α e da α tutti i subarchetipi. Quindi Ch e α sono COLLATERALI.
Lo stemma dell’Ageno presuppone un archetipo fortemente malconcio, ossia ha già
di per se un gran numero di errori (salti, anticipazioni) da cui sono derivati 2 rami. “α”
che a sua volta si divide in 4 rami (Ash, a, b, y), dove “a” si divide in sottogruppi ed al
quale appartiene “Vb” che è il più PREGEVOLE. “b” al quale appartiene il codice “Bo”
che è una STAMPA CONTAMINATA (con il ramo β), ed il codice “L” che è contaminato
con Ash ma considerato utile per molti loci; ed il ramo β al quale appartiene Cap ma
solo il per i trattati da 1 a 3 mentre il 4° fa riferimento un po’ a β ed un po’ a “F” (codice
che fa riferimento a y).
Il gruppo Y costituisce il gradino più basso dello stemma ed al quale appartengono
una serie di codici INTERPOLARI. È un ramo molto compromesso.
Pag 36 (verso) dispense
Nell’edizione critica l’Ageno chiarisce alcuni punti per la ricostruzione del Cv. Come
prima cosa sostiene che non tutti i codici possono far parte dell’apparato ma solo una
parte dello stemma. Verranno scartati nella prima scrematura tutti gli interpolari
poiché il loro capostipite “f” è stato fortemente alterato. Inoltre andranno scartati i
codici del gruppo “c” troppo guasti e contaminati per essere utilizzati; sono
inutilizzabili anche il gruppo “d” legato agl’interpolari.
TRATTATO IV xxiv 4-6
• “in venticinque anni”: o In apparato c’è scritto X ed in parentesi mette i
codici nei quali non si riscontra. Essendo un errore
d’archetipo si immagina che nella tradizione ci sia
“venticinque”; per la correzione bisogna tornare
alla fonte. Per fare un apparato senza i codici
buoni avrebbe dovuto scrivere β, b e dopo lasciare
al testo la lezione buona. Quindi invece di mettere
in apparato negativo i codici che hanno l’errore
dice che ce l’hanno tutti tranne quelli con la
lezione buona. In tal modo chiarisce che un ramo
è riuscito a congetturare. Inoltre era impossibile
che il ramo β ed alcuni codici di a avessero
commesso l’errore separativamente; questo è un
errore fortemente congiuntivo.
• “precede”:
▪ In apparato ha “procede” che è lezione di β ed una parte di α;
è un fatto legato ad una scrittura polare oltre ad essere un fatto
polare essendo uno il contrario dell’altro.
• “in”:
o È in parentesi quadra perché è una congettura dell’editore e quindi è
un errore d’archetipo.
8° lezione (27 marzo 17)
Precedentemente Dante dice che l’adolescenza si compie nei 20 anni, la gioventù
inizia al 21° e termina al 45°, la vecchiaia inizia al 46° e termina al 70°. Poi inizia
un’ulteriore età che si chiama SENIO.
L’intervallo di tempo che c’è tra il compimento della gioventù e l’adolescenza è di 25
anni, poiché l’adolescenza termina a 20 anni; allo stesso modo lo stesso intervallo
passa tra la senettute e la gioventute. Da qui si evince che non può essere 35 anni (v.
24) ma 25 è la lezione giusta, quella che fa tornare i conti.
Ci sono alcuni codici del ramo “b” che hanno sanato l’errore per congettura.
28. • “otto anni”:
▪ In apparato è riportato “otto mesi”; è un errore d’archetipo.
Esistono però alcune edizioni che mantengono l’errore
immaginando che “otto mesi” siano quelli che precedono, ossia
che vanno dal concepimento alla nascita.
29/30.
• “dopo quello”:
▪ Anch’esso errore d’archetipo sanato perché si riferisce al
“principio” e non all’adolescenza (dopo quella).
30. • “nostra natura”:
• È sicuramente una BANALIZZAZIONE dei copisti di β
32. • “non però in quantitade ma per”:
▪ Errore d’archetipo; poi ci sono due
emendamenti da sanare:
▪ “però” richiede una sanatura per congettura,
probabilmente è un errore d’anticipo di
ripetizione;
▪ “Per” essendoci “in” subito dopo è obbligatorio
il “pur”
Bellomo pag 337
Dante giustifica il fatto che nel Cv dovrà parlare di sé e della sua esperienza
52. • “che”:
o È omesso da tutta la tradizione ma non è strettamente necessario
integrarlo.
53. • “è toccato”:
▪ In apparato c’è un’inversione ma funziona in entrambi i casi. La
lezione invertita si trova in parte di “a” ed in Ash. La lezione è
scartata solo in base ad accordo agl’altri rami.
54. • “cagioni due sono”:
• In questo caso dove “d” è l’unica lettera certa, c’è un errore
paleografico. È difficile che due rami possano aver prodotto
il medesimo errore quindi questo è un errore congiuntivo.
Quindi se è un errore d’archetipo i codici di “b” lo hanno
sanato per congettura tranne Vg che continua ad avere
l’errore che non sana per congettura. È difficile che il codice
Vg mantegna l’errore, quindi deve esistere un manoscritto
perduto EXTRASTEMMATICO (pag 117), il quale contiene le
numerose correzioni. Bellomo sostiene che i commentatori
antichi della Commedia citano il Cv con lezioni che sono
corrette rispetto a quelle riportate in X.
55. • “sanza”:
o Omesso in parte dei codici; nel Mgl c’è addirittura una lacuna. Si può dire
che i copisti hanno commesso una svista.
• “sanza ragionare di se”:
o I due rami sono equivalenti; sarebbe preferibile β per
posizione stemmatica ma la sua versione perde
senso. È sicuramente un errore di APLOGRAFIA
derivante dall’abbreviazione testuale.
• “infamia o pericolo”:
• Sono pochi codici di α hanno la lezione erronea, quindi c’è
un accordo tra gli altri. Anche questo è un problema di
aplografia dovuto ad un problema di abbreviazione. Per
quanto riguarda i codici che hanno la “e” al posto della “o”
è un errore di poco conto dal momento che la disgiuntiva è
preferibile.
56. • “rei”:
o È un’omissione sanata per congettura ma non strettamente necessaria.
58. • “medesimo a parlare”:
o È omesso da une sottorami di α; inoltre la “a” omessa
erroneamente poiché perde di significato.
59. • “pretesto”:
▪ È un errore paleografico dal momento che nella scrittura
abbreviata “pre” e “pro” sono segnati con un taglietto. È un errore
di una parte della tradizione.
60. • “poi che”:
▪ C’è un intero ramo che al posto della virgola ha la congiunzione
“e”. anche con la coordinata il testo funziona. L’Ageno dichiara
preferibile il ramo β. Per Bellomo è LECTIO FACILIOR collegando in
modo erroneo la subordinata.
61. • “per ragionare”:
• È un errore di aplografia.
• “grandissima”:
▪ La lezione riportata da β e Cap (“grande”) non è erronea ma è da
preferire il superlativo per l’argomento. Sono giudicate ADIAFORE.
64. • “lo quale”
▪ Alcuni codici hanno “la quale” creando una banalizzazione
legandolo a “vita”. La lezione corretta lo lega a “processo”.
• “meno”:
o Errore di omissione di tutto l’archetipo. La fonte conferma
l’emendamento. Alcuni editori lo hanno rimpiazzato con “non”.
Pag 37 (retto) dispense
“questo tallo” è un’omissione del ramo di β; è un salto dallo stesso allo stesso
83. • “ e riferimisi”:
▪ C’è stato un piccolo scambio di lettere
XXII 3.
• “puote utili più”:
• C’è un’omissione dell’archetipo; ci sono alcuni codici che
oltre a “utili” omettono anche “più”. L’Ageno oltre a
mettere in apparato l’errore, lo esplicita nella citazione della
fonte.
Pag 37 (verso) dispensa
Ci sono casi in cui i richiami del Cv all’interno della Commedia sono più corretti del Cv
stesso.
Nelle Chiose di Andrea Lancia troviamo sia il testo critico che la correzione del Lancia.
Bisogna chiarire che il Lancia non fa copia del Cv come testo ma ne usa solo alcune
parti per integrare.
4 xii 38.
• “abondavano”:
▪ È un errore d’archetipo dal momento che hanno tutti il presente
ma ovviamente richiede un imperfetto. Per questo motivo l’Ageno
interviene mettendo in parentesi quadre il “va”.
Ci sono casi in cui si dimostra che il testo in possesso di Andrea Lancia è migliore
dell’archetipo. Quindi deve esistere una circolazione extrastemmatica non pervenuta
ma che ha al suo interno molte correzioni.
L’edizione critica dell’Ageno è composta da un apparato negativo ed il riferimento alle
fonti subito dopo.
Oltre al Lancia c’è anche PIETRO ALIGHIERI che s’interessa del Cv non copiandolo ma
traducendolo in latino parola per parola. In questo caso il confronto può portare
anche a delle sanature del testo.
In questo caso Azzetta ha messo a sinistra il testo critico, al centro la traduzione di
Pietro Alighieri e a destra la versione dell’archetipo.
Es. 1 dispensa aggiuntiva
Il testo richiede la parola “instrumentale”; la specifica è strettamente necessaria. Nel
testo dell’Alighieri la parola è presente e questo ci permette una migliore
ricostruzione del testo. Si può affermare che il testo di Pietro sia un gradino al di sopra
dell’archetipo. Questo testo ci aiuta anche nel caso ci sia una corruzione del testo.
Es.2
In questo caso la traduzione diventa un ulteriore ramo, quindi è come se nello stemma
ci fossero 3 rami.
• “in plus et minus”: il testo di Pietro coincide con α
• “mesurata”:
▪ Nell’archetipo c’è “misurato” dettato dal fatto che i copisti lo
hanno riferito a “difetto” invece che a “operazione”. La lezione di
Pietro non ha l’errore d’archetipo salvo che non lo abbia sanato
per congettura.
• “electione”:
▪ β ha “operazione” che è ovviamente una DIAFORIA. Pietro anche
in questo caso costituisce un altro ramo.
Es.3
• “che [……che]”:
▪ L’Ageno segnala un errore d’archetipo immaginando che manchi
qualcosa ma, nel testo di Pietro non c’è il salto.
9° lezione (30 marzo 17)
Un primo problema riguarda la collazione delle Canzoni all’interno del Cv. Ci sono casi
in cui conviene forzare il testo ed altri lasciare il testo assolutamente in sospeso; come
gli editori possano scegliere una strada o l’altra. L’Ageno nei casi in cui è possibile
tenta di lasciare la lacuna (salti dallo stesso allo stesso) mentre Inglese dove possibile
tenta di sanare il testo.
Es pag 39 dispense
È un passo in cui Dante spiega la differenza tra SENSO LETTERALE e SENSO
ALLEGORICO. Nel caso Ageno c’è una lacuna; alcuni testi non segnano il salto ma il
testo così non funziona dal punto di vista del senso (il senso che si nasconde sotto il
manto delle favole è quello allegorico e non letterale).
L’Ageno si limita ad integrare il minimo sindacale, lasciando la lacuna ed integrando
“l’altro si chiama allegorico, e questo è quello che”; sostanzialmente ripete il
segmento di testo immaginando che nell’illustrazione dei due sensi Dante abbia usato
una stessa formula introduttiva e che questa abbia generato un salto dallo stesso allo
stesso. In apparato l’Ageno dichiara una LACUNA D’ARCHETIPO. Proseguendo nel
testo al v. 18 c’è un altro errore d’archetipo “e le pietre” e nelle note è spiegato
perfettamente dal momento che Ovidio faceva muovere le pietre e non le piante. In
tal caso è facile da sanare l’errore dal momento che Dante fa riferimento ad un passo
specifico delle “Metamorfosi”.
Al contrario, Inglese si lancia in una possibile ricostruzione della definizione del senso
letterario. Ci sono dei luoghi in cui Dante all’interno del Cv si sofferma sul senso
letterario dando una sorta di definizione e queste parti di testo vengono impiegate
per ricostruire quello che forse Dante voleva dire.
Tale operazione è legittima poiché segnalata in modo corretto; il vantaggio è che si
restituisce al lettore un testo che permette di seguire meglio il ragionamento mentre
lo svantaggio è che è molto INVASIVO.
Pag 38 (verso) dispense
Nella versione Ageno ogni trattato si apre con una canzone mentre nella versione
Inglese non si apre con la canzone ma la stessa si trova dopo un primo segmento di
prosa; si arriva ad un punto in cui Dante spiega come arriva a scrivere la canzone.
Nei manoscritti del Cv le canzoni si trovano all’inizio come mette l’Ageno e la
SIMONELLI. Inglese ritiene che Dante intendesse metterle non in apertura di trattato
ma nel punto in cui il Poeta dichiara l’occasione. Ci sono varie ipotesi secondo le quali
la scelta d’Inglese potrebbe non essere sbagliata; una è quella di fare una sorta
d’introduzione nella quale viene nominata la canzone e subito dopo il testo della
stessa ma, il motivo con maggior importanza sta nel fatto che è un sistema d’uso
utilizzato nella Vita Nova.
Esiste anche un’altra motivazione che spinge Inglese a questa scelta.
Al v. 14 Inglese riporta “Dunque, se le mie rime avran difetto” mentre nella prosa c’è
“Però, se lle mie rime avran difetto”. Si nota subito che c’è un “però” al posto di un
“dunque”. Le ipotesi del cambiamento sono varie; è possibile che Dante richiamando
il proprio verso all’interno della prosa si sia sbagliato o abbia introdotto una sorta di
variante. Essendo un’opera non rivista è possibile che questa dicotomia rifletta un
“cul” nel non aver controllato l’esatta corrispondenza dei segmenti di testo e prosa.
Un’altra opzione è che l’errore non è dovuto a Dante ma ai copisti che possono aver
sbagliato a copiare la canzone o a copiare la prosa; difatti nell’edizione dell’Ageno a
differenza d’Inglese che mantiene il “dunque” nella canzone, modifica la prosa ed in
apparato lo evidenzia come un errore d’archetipo. La Simonelli segue la linea di
Inglese: mantiene la differenza tra prosa e testo. Al contrario PARODI corregge la
canzone con la prosa.
Dunque le ipotesi sono: se immagino un errore nella canzone allora correggo la
canzone o la prosa, se è nella prosa correggo la canzone o la prosa, oppure le
mantengono entrambe ed in questo caso c’è una “dormita” dell’autore o come
Inglese prospetta questo scenario: quando Dante trascriveva il Cv non aveva le
canzoni davanti ma copiava solo l’incipit. Quindi secondo Inglese i manoscritti del Cv
non avevano le canzoni ma solo l’incipit.
De Robertis nella sua edizione critica fornisce le edizioni delle rime delle canzoni prima
che queste siano confluite in opere organiche.
Al v.13 l’edizione De Robertis ha “potrei” mentre gran parte delle edizioni del Cv
hanno “savrei”. Se il testo stabilito da De Robertis prima delle canzoni dentro il Cv ha
“potrei” mentre i manoscritti del Cv hanno “savrei” (non è una svista dei copisti), vuol
dire che questa è una VARIANTE D’AUTORE. Si evince che il Cv non deriva dall’edizione
stravagante. De Robertis nell’APPARATO EVOLUTIVO dichiara T come testo del Cv e
Ch come chiose.
Nell’edizione stravagante c’è “dunque” scartato in apparato; questo sta ad indicare
che in parte della tradizione stravagante il “dunque” c’è già.
Si può concludere che forse visto che la variazione in parte avviene già prima
dell’ingresso della canzone nel Cv si potrebbe non parlare di variante d’autore ma di
un errore nella tradizione.
Si può pensare che al tempo ci fosse in giro una DOPPIA CIRCOLAZIONE.
LA COMMEDIA (5 parte dispense)
Si vedrà nel dettaglio il 5° canto dell’Inferno nelle edizioni critiche a cura di Petrocchi,
Sanguineti, Lanza ed Inglese, ed in alcuni saggi critici (ACHILLE TARTARO e LUCA
CARLO ROSSI). I saggi riguardano in particolare l’esegesi dell’interpretazione di alcuni
loci come per le prose.
Vengono segnati i CODICI DELL’ANTICA VULGATA ma anche quelli fuori.
Nello stemma Petrocchi sono stati presi in esame 27 manoscritti risalenti al periodo
precedente al Boccaccio poiché secondo lui la posteriore è troppo compromessa per
essere presa in esame. I codici riferiti al Boccaccio sono il Riccardiano, il Toledano ed
il Chigiano.
Divide la tradizione della Commedia in due rami:
• α è il ramo TOSCANO
• β è il ramo SETTENTRIONALE; è quello dal quale è partita la divulgazione della
Commedia.
Tra i codici, quelli che sono più significativi sono: per il ramo toscano, il codice
TRIVULZIANO datato 1337 e del copista FRANCESCO DI SERNARDO di Barberino che
dà vita anche ai “Danti del conto”. Petrocchi lo prende a modello per la veste
linguistica; per Lanza è il CODEX OPTIMUS nella versione più vicina a quella che si
poteva leggere nella Firenze del ‘300. Insieme a questo c’è il Mart che è una copia
fatta da Manuzzo collazionato da Martini che ai margini aveva scritto tutti gli errori di
un perduto codice manoscritto dichiarando di averlo in suo possesso e copiato nel
1330. Questi due codici Triv e Mart, fanno parte del ramo “a”, sottoramo di α.
Un altro sottoramo di “α” è “b” dal quale sono discesi codici importanti come
l’Ashbunhamiano di area pisana datato 1335, si è anche ipotizzato che possa essere
un codice più antico. Questo codice occupa un ruolo molto importante nello stemma
Petrocchi poiché è in una posizione alta per quanto riguarda la famiglia “b”; da qui
bisogna scendere ad altri intermediari come il CORTONESE (Co) che presenta lezioni
molto importanti ed in alcuni casi molto eccentriche tanto che Petrocchi ha
immaginato potessero essere varianti d’autore ma, gli studi più recenti hanno
dimostrato che sono dovute ad un arrangiamento del copista.
Interessante è la posizione dell’Hamilton (Ham), autografo del “Decameron”; è
probabilmente pisano/lucchese fortemente imparentato con Ash. Tutta la parte
bassa dello stemma è molto contaminata e forse l’unico codice di rilievo è il POGGIALI
(Po), recentemente retrodatato al II° quarto del XIV sec.
Sempre nel ramo α ma contaminato con il ramo settentrionale abbiamo il LANDIANO
(La), attualmente datato con sicurezza più antico. È un codice di area marchigiana
sottoscritto da Antonio da Fermo e datato 1336.
Infine abbiamo il menofatto ramo settentrionale in cui abbiamo 3 codici tutti molto
importanti:
• URB: il codice che Sanguineti ritiene il migliore del ramo settentrionale e da
solo determina un ramo, quindi per lui è il codex optimus. Ha una dicitura di
CAPITULUM al posto di canto. È considerato da Petrocchi un codice molto
autorevole.
• RICCARDIANO BRAIDENSE (Rb): chiamato così poiché una parte del codice è
conservata nella Biblioteca Riccardiana (Firenze) ed una parte in quella
Braidense (Milano). Il testo è probabilmente frutto di una cooperazione di
padre/figlio.
• MADRIDENSE: di origine ligure, riconducibile alla prima metà del ‘300.
L’edizione Petrocchi si basa su questo stemma; dandosi una linea ecdotica che
prevede che nel caso in cui ci sia accordo tra α e β di una lezione sicura, uno dei due
sia portatore di errore mentre nel caso in cui siano in diaforia tende a privilegiare β in
quanto più rappresentante della tradizione settentrionale.
L’edizione Lanza è basata unicamente sul Trivulziano mentre lo stemma si Sanguineti
individua un archetipo “ω” dal quale parte la tradizione di 2 rami: il ramo β
rappresentato dal solo URB ed un ramo α che si divide in una famiglia “x” che si
suddivide in “a” che corrisponde alla famiglia di Petrocchi, ed una “b” dove Ash e Ham
sono allo stesso livello; poi c’è Rb che per Petrocchi è nel ramo settentrionale mentre
per Sanguineti è nel ramo toscano. È uno stemma semplificato volutamente ma, ha
l’aggiunta del LAURENZIANO SANTA CROCE (LauSC) che non fa parte di “a” ma del
ramo “γ”; tale codice da solo vale quanto “x”, come Urb vale quanto “α”.
Lo stemma di Inglese è molto vicino a quello di Petrocchi. Prevede degl’errori
d’archetipo; divide la tradizione da settentrionale a toscana, si ha un ramo “α” con il
solo codice Triv con la contaminazione extrastemmatica. Si ha una famiglia “z” con da
un lato un ramo “b” come Sanguineti, poi un ramo con La e Po.
Il ramo settentrionale β ha un ramo puro (Urb) e dei codici Rb e Mad più spostati verso
il ramo toscano.
Inglese sostiene di aver costruito questo stemma lavorando con la prassi ecdotica e
cercando di fare in modo che lo stemma rispecchiasse la ragionevolezza delle scelte.
Sanguineti quando si affida ad Urb si tira dietro delle lezioni che appaiono deteriori;
dal canto suo Petrocchi a volte non ha visto giusto su alcune lezioni che invece Lanza
e Sanguineti hanno azzeccato.
Il modo migliore per citare la Commedia è quello di scrivere chi scegliere tra i
tre/quattro ripartendo da Petrocchi ed andando a sostituirlo nei casi in cui si ritiene
necessario. È difficile trovare un’edizione perfetta, addirittura esistono edizioni
commentate che danno soluzioni condivisibili contro tutti e quattro le edizioni
critiche.
10° lezione (03 aprile 17)
Come per il Cv, Bellomo suddivide le edizioni critiche di Petrocchi, Lanza, Sanguineti
con l’aggiunta del nuovo STEMMA RITROVATO.
Al cap. X dell’antologia ci sono delle pagine dedicate all’inizio del Canto I° del
Purgatorio secondo le 3 edizioni.
• Petrocchi
Ci troviamo nell’antipurgatorio all’inizio della montagna. È riportata tra
parentesi quadre una rubrica e non un commento; Petrocchi le ritiene non
autoriali ma allo stesso tempo non è stata aggiunta da lui. Quindi si può
affermare che sono nella tradizione manoscritta presenti in Triv ma non
attribuibili a Dante. Queste rubriche sono presenti solo nell’edizione di
Petrocchi.
Dante sta alzando il TIRO COMPOSITIVO con una metafora.
L’apparato critico è composto da due fasce, dove la 1° è NEGATIVA ed
INTEGRALE ossia documenta tutte le variabili dei 27 manoscritti. Riporta in
questa fascia anche le VARIANTI GRAFICHE.
1.
“correr”: “per corra” in Bo, il quale non è presente nello stemma ma, di cui
Petrocchi tiene conto perché testimonianza molto antica. Con esse si indicano
gli atti notarili. “corra” è una forma settentrionale presente anche nel Pr ma tra
“uncinate”, indicando la lezione aggiunta in un secondo momento.
“miglior”: i codici Eg e Ham hanno la lezione “migliore”. Questa lezione viene
scartata dal momento che c’è concordanza tra tutto il ramo β e quasi tutto
quello α.
“acque”: molti codici importanti di α e molti di β hanno la lezione “aqua”. Molti
di questi occupano un livello alto nello stemma. In tal caso Petrocchi avrebbe
dovuto scegliere “acqua”; dal momento che la scelta stemmatica è alquanto
discutibile, nella 2° fascia dell’apparato si trova la motivazione di questa scelta.
In questo caso fa appello sia alla valenza metaforica dove dire “percorrer
miglior acque” non è espressione che riflette una tradizione laddove il plurale
ha un senso maggiore, ma anche al richiamo di altri casi presenti nel Purgatorio
quindi riferibili all’USUS SCRIBENDI di Dante. L’unico codice autorevole che
riporta “acque” è Urb.
“alza”: alcuni codici di α e nel Rb troviamo “alça<i>”, dove la “i” è tra parentesi
uncinate e quindi è stato espunto dal copista. Solo Bo ha la lezione non corretta.
Questa lezione si è generata erroneamente, immaginando che qualche copista
abbia pensato che fosse caduta la “i”. questa è una VARIANTE POLIGENETICA
dove il copista compie tale banalizzazione declinando il verso alla 2° persona
dal momento che siamo in una sede PROEMIALE dove generalmente l’autore
usa la seconda persona. Un altro motivo potrebbe essere legato al verbo in 2°
persona riportato subito dopo. Questa corruzione se ne porta un’altra.
2.
“ingegno”: le forme erronee “engegno” e “inçegno” sono settentrionali. Non è
una variante sostanziale ma GRAFICA.
3.
“che lascia”: “che lassa” e “et lascia” sono errori grafici
“dietro”: “retro” e “drietro” sono errori grafici
4.
“canterò”: un solo manoscritto ha la lezione “cantirro”; è una lezione
settentrionale
“secondo”: in apparato negativo è riportato “segondo” ma non è una variante
necessaria da riportare dal momento che la distinzione è solo sonora.
5.
“salire”: la lezione “sallire” è un IPERCORRETTISMO
“ciel”: la lezione di “cielo” non può essere accettata per metrica, quindi l’ultima
vocale deve essere espunta.
Si può concludere che nell’edizione Petrocchi l’unico caso di maggior rilievo lo ha il
caso di “acque” poiché sono molti i codici che hanno la lezione “aqua” ed inoltre molti
di questi occupano una parte alta dello stemma. C’è la possibilità che i copisti hanno
dovuto dare una concordanza con “miglior”.
• Lanza
In questo caso non troviamo le rubriche anche se è un fatto strano dal
momento che prende in esame come codex optimus il codice Triv che le porta.
È un modo per discostarsi dal codice. Il suo stemma è molto scarno ed inoltre
l’apparato critico non è continuo ma riporta solo i loci in cui si discosta da
Petrocchi. È una lezione che non ha una sua autonomia.
1.
“acqua”: Lanza può fare tale scelta dal momento che è la lezione del suo codex
optimus. L’apparato di Lanza ha una prima fascia NEGATIVA, dove i manoscritti
indicati con l’asterisco sono quelli settentrionali; inoltre l’apparato negativo di
Lanza corrisponde al positivo per Petrocchi. Sempre nella 1° fascia si trovano le
edizioni precedenti di Petrocchi, Caselli, Guerri e Vandelli.
La 2° fascia di apparato è quella POSITIVA.
8.
“poiché”: questo non è un problema di lezione ma di interpretazione. Gli editori
precedenti lo interpretavano dal punto di vista TEMPORALE mentre Lanza da
quello CAUSALE. Questo tipo di distinzione si verifica dal momento che nei
manoscritti non ci sono i segni DIACRONICI.
15.
“dal mezzo”: è un locus di particolare interesse; qui Dante fa un riferimento a
cielo che guarda con i suoi occhi nel purgatorio. Nell’apparato negativo
troviamo “dallaire” e “de laere” relative ai manoscritti Ash, e Ham e Pr poi
troviamo “del mezzo” per quanto riguarda le edizioni precedenti.
In apparato positivo è riportata anche la lezione “da laer” motivando tale scelta
solo dalla presenza del “da” come lezione corretta.
La parola “mezzo” indica tecnicamente atmosfera, cielo. In questo modo si crea
un problema forviante per il lettore.
Lanza segnala questa distinzione per promuovere “dal mezzo” piuttosto che
“del mezzo”.
• Sanguineti
È basato su uno stemma di tipo lachmaniano con un archetipo tra i due rami,
un ramo α composto da vari codici tra cui γ e β formato da un solo codice. Si
affiderà alla conservazione di Urb in un gran numero di loci. Il canto si apre con
una formula il latino ma non è la rubrica. Ha molta rilevanza il modo in cui
Sanguineti definisce il canto chiamandolo CAPITULUM; nella 1° fascia di
apparato, quella negativa, segnala “capittulum” indicandolo con Ms poiché
riferito al manoscritto di riferimento. Questi sono i casi in cui si discosta da Urb;
questa è una scelta forte contro la tradizione dal momento che tutti riportano
“canto”. Nella 2° fascia di apparato si annota che anche Rb ha la lezione
“capitulum”. La scelta di Sanguineti può essere messa in discussione visto che
Dante all’interno della Commedia li nomina “canti” e non “capitoli”; si può
inoltre affermare che è un USUS SCRIVENDI molto forte.
1.
Si nota subito che al posto della “i” mette l’apostrofo per indicare il plurale.
“a[c]que”: in apparato negativo non segnala nulla; in apparato positivo
troviamo la lezione di L e U mentre “acqua” è lezione di X. A differenza di
Petrocchi ha tutto β che si accorda con metà di α e vuole marcare il plurale
mettendo l’apostrofo. È una scelta puramente grafica.
5.
“si”: Sanguineti segnala con il corsivo i punti in cui è intervenuto; difatti in
apparato negativo si trova “se” che è forma del manoscritto. Si può affermare
che è un editore molto INVASIVO.
15.
“aer”: ovviamente non troviamo “mezzo” poiché β ha lo stesso valore di α.
Rispetto a Lanza il modo di scrivere è più ortodosso; separa “da” e “mezzo”
anche in apparato indicando che “da” è lezione di a, L, R e U mentre “de” lo è
di b. per quanto riguarda “aer” è lezione di b e U mentre “mezzo” di a, L, R. in
questo caso c’è molta contaminazione e la scelta di “aer” non può essere una
svista paleografica ma è chiaro che “mezzo” è un tecnicismo difficilior. Quindi
“aer” è una chiosa esplicativa.
20.
“tutto rider”: scritto in corsivo comporta sempre un FRAINTENDIMENTO. Non
è un errore di grande rilevanza dal momento che sono diafore. Il problema è
molto sottile ed in ogni caso si può intender “tutto” in riferimento ad “oriente”
in ogni sua posizione.
11° lezione (06 aprile 17)
I problemi della Commedia si dividono in quelli ecdotici e linguistici e quelli esegetici.
Particolare attenzione sarà dedicata all’attribuzione dell’aggettivo “lussuriosa” in
riferimento a Cleopatra, all’episodio di Paolo e Francesca, attraverso le chiose di
Boccaccio ed Andrea Lancia ma anche nel saggio di Luca Azzetta e Luca Carlo Rossi.
Il saggio di quest’ultimo è molto provocatorio; propone la lettura del canto senza
APPARATO ESEGETICI (note di commento). Propone una soluzione interessante.
Dietro il nome “Francesca” vi è l’emblema di quei romanzi francesi condannati.
ESAME CANTO V INFERNO
Iniziamo ad esaminare il canto attraverso le edizioni critiche di Petrocchi, Lanza e
Sanguineti. Come già detto Petrocchi all’inizio riporta le rubriche del Triv tra parentesi
quadre dal momento che ci sono nella tradizione manoscritta ma non attribuibili a
Dante. Non sono riportate da Lanza anche se il suo manoscritto di riferimento le ha.
Non sono riportate neanche da Sanguineti che al posto di canto ha capitulum.
2.
P. mette “loco”: in apparato segna Ham con “luogo” e Bo con “lu<o>go”; questo vuol
dire che tutti gli altri manoscritti hanno la lezione “loco”
L. mette “luogo”: in apparato non riporta nulla
S. mette “luoco”: in apparato non mette nulla perché è una forma
Nel suo saggio SERIANNI non concorda con Sanguineti; probabilmente l’Urb deve
avere “luoco”. Nel suo ragionamento afferma che Dante usa sicuramente “loco” per
67 volte. Per Serianni “luogo” non è forma ricevibile di Dante. Partire dall’Urb
comporta il rischio di conservare forme difficilmente ordinarie. Partire dal testimone
settentrionale ha delle controindicazioni.
3.
P. mette “a guaio”: in apparato segnala Triv ed altri codici autorevoli che hanno “se<
guaio”
L. mette “a guaio”
S mette “a guaio”
Quindi si può affermare che tutte le edizioni sono in accordo in questo locus
4.
P mette “stavvi Minos orribilmente, e ringhia”
L mette “stavvi Minos: orribilment’ e’ ringhia”
S mette “ sta-vi Minos orribilmente, e ringhia”
Nel caso di Petrocchi Minosse sta orribilmente e allo stesso tempo ringhia; nel caso di
Lanza i “:” fanno si che “orribilmente” non si riferisce a Minosse ma a “ringhiare” e la
“e’” non è congiunzione ma sta per “ei”. Sanguineti è molto simile a Petrocchi ma con
una piccola differenza al livello linguistico dal momento che “sta-vi” indica “sta”.
Questo è sicuramente un errore poiché Dante non avrebbe mai potuto iniziare una
frase con un pronome atono secondo la legge TOBLER-MUSSAFIA. Nel toscano una
parola simile produce obbligatoriamente un raddoppiamento che il copista
settentrionale non accoglie. Il – tra “sta” e “vi” in genere segnala il raddoppiamento.
In questo caso se interpretato in questo modo non c’è la variante, quindi il – segna
una SCEMPIA o meglio Sanguineti poteva scrivere “stavi” senza -.
La scelta di mettere il – è legata al fatto di non creare ambiguità con il tempo verbale
scelto; difatti Sanguineti mette “vi sta” e non l’imperfetto, cosa che sarebbe capitata
nel caso in cui l’avesse scritto come unica parola e senza il -.
Si evince che Sanguineti anche in questo caso adotta una forma settentrionale.
Dopo il problema legato a verbo iniziale, lo stesso verbo ha un problema
INTERPUNTIVO.
Petrocchi fa una nota esplicativa come Lanza. Petrocchi intende come lectio difficilior
lo stare “orribilmente” rispetto a quello di “ringhiare”.
Lanza, invece, non concorda con Petrocchi ribaltando il fatto che alcuni codici hanno
la “e” congiunzione e intendendola come pronome “ei”.
La scelta di Lanza sembra una SPEZZATURA del VERSO troppo forzata e con mancanza
di significato.
Nella versione di Inglese “orribilmente” è riferito allo “stare” ma poiché anche lui
riparte da Triv mette un apostrofo con la “e” congiunzione senza mettere la virgola.
Se questa soluzione a prima vista può sembrare in linea con Lanza, in realtà è legato
a Petrocchi.
In conclusione si può affermare che il verso 4 nelle 4 edizioni propone tutte soluzioni
differenti, di cui 2 molto forti.
9.
P ha “e quel”
L ha “e quel”: in apparato non segnala nulla
S ha “e quei”: in apparato segnala che a ha “quel” mentre Urb ha “quei”. In questo
caso lo può fare dal momento che Urb è solo contro l’altro ramo.
Serianni non discute il fatto che Urb possa da solo contrastare l’intero stemma ma, si
pone il problema di distinguere varianti ADIAFORE compatibili dalle varianti
ADIAFORE linguisticamente non compatibili. Le prime sono quelle fattibili non solo
per senso ma anche in merito alla lingua utilizzata dall’autore. Per Serianni questo
caso è fattibile anche se sarebbe stato meglio se il “quei” fosse stato presente almeno
in un manoscritto dell’altro ramo. In tal caso la scelta non è incompatibile con le linee-
guida settentrionali.
Per Petrocchi la scelta di “quei” è dettata dal fatto che Rb fa parte dei codici del ramo
settentrionale.
Anche Inglese mette “quel”.
28.
P ha “venni”: in apparato ha “vegno” per lezione di Triv e Mart
L ha “vegno”
S ha “venni”
In questo caso non è un problema linguistico ma di tempo verbale presente solo per
Lanza. Continuando a leggere vi è un altro passato remoto; quindi oltre al fatto che
“vegno” dal punto di vista stemmatico è lezione minoritaria, Petrocchi non deve dare
spiegazioni nelle note.
Per Lanza si tratta di un PRESENTE STORICO anche se il passaggio non è così
immediato. In questo caso la lezione promossa da Petrocchi è da preferire.
38.
P ha “enno”: in apparato chiarisce che Ash ha “eran” come anche Co, Ham, La e
addirittura il Laur ha “sono”. Quindi sono molti i codici importanti con la lezione
“eran” ma, la scelta di Petrocchi è INATTACCABILE per LECTIO DIFFICILIOR.
L ha “enno”: in apparato non mette nulla
S ha “eran”: è l’edizione che diverge. In apparato troviamo una situazione di equilibrio
Ci sono dei codici che hanno “sono”. Per Petrocchi “eran” è una banalizzazione. Per i
codici che riportano “sono” vuol dire che “enno” da una percezione erronea.
12° lezione (10 aprile 17)
Si andrà ad esaminare l’interpretazione che riguarda un aggettivo che Dante assegna
a Cleopatra.
40/45.
P nel suo commento all’apparato segna la diversa ricostruzione che era stata data nel
1921 a cura di Vandelli, il quale non avrà a che fare con le variazioni ma piuttosto con
l’interpretazione di “li stornei”. Petrocchi esplicita che Vandelli aveva destituito quel
“li” immaginando che non fosse un articolo ma un avverbio. Questa ricostruzione non
ha più avuto fortuna anche perché dal punto di vista metrico c’è una spezzatura
troppo forte del verso.
Al v. 41 segnala “piena” e nella stessa nota alcuni manoscritti al posto di “larga e
piena” hanno “lunga e piena” però è una variante attestata da pochi codici ed in una
posizione molto bassa dello stemma.
Anche Sanguineti e Lanza hanno “larga”.
46/49.
P non segnala nulla nel commento all’apparato ma, al v. 47 ci sono varianti
interessanti che generano lezioni alternative nelle altre edizioni.
47.
P in apparato ci sono delle varianti GRAFICHE e varianti di un certo peso come “in
aere”. Mart e Triv hanno “l’aer” come sarà riportato anche nel testo di Lanza. Un’altra
lezione significativa e “in aria” presente in Ash, Co e Rb; poi si ha “in aer” che può
avere un certo peso perché lezione di Urb.
L ha “per l’aer faccendo”. Difende la sua scelta perché presente nel suo codice
principale.
S ha “in aer”. In apparato non troviamo nulla; ha scelto la lezione di Urb.
Sia in testo di Petrocchi che quello di Sanguineti dal punto di vista metrico, anche se
scritti diversamente, possono funzionare perché si può giocare con la sinalefe. In
questo caso Sanguineti dà retta al suo codice di riferimento.
Invece la scelta di Lanza è molto più pesante dal punto di vista della scelta della
formulazione. La scelta di Lanza dal punto di vista stemmatico è NETTAMENTE
SFAVORITA ma può essere accettata perché la dispositio del gerundio concorda con
tutti.
Giorgio Inglese, che spesso segue Lanza, ha in questo caso la lezione di Petrocchi.
L’unico argomento per salvare la lezione di Mart e Triv; se tutta la tradizione ha
“facendo in aere” al posto di “in aere facendo” non è possibile che tutti in quel punto
l’abbiano invertita. Se dovesse essere un errore d’archetipo, come è possibile che gli
altri 2 codici non lo abbiano? Per risolvere il problema si deve ipotizzare una
CONTAMINAZIONE EXTRASTEMMATICA.
A questo punto del canto si affacciano alcune anime che fanno parte della schiera dei
lussuriosi. Prima dell’incontro con Paolo e Francesca, incontrerà uomini macchiati dal
peccato di lussuria; sono personaggi che provengono da epoche molto diverse. Si
parla di personaggi storici e di grandi romanzi ed opere letterarie.
La prima di cui Dante vuole saper notizie fu talmente corrotta e piegata al vizio della
lussuria che fece una legge dove tutto era legittimo per togliersi dal biasimo.
La donna in questione è SEMIRAMIDE che succedette a Nino. Ai versi 58/59 vi è una
figura retorica HYSTERON PROTERON (Inglese ne dà una spiegazione).
La seconda donna è DIDONE che si uccise. Anche in questo caso c’è un’altra volta la
figura retorica precedente.
Infine la regina CLEOPATRA, LUSSURIOSA.
63.
Dante va connotando le anime che incontra con alcune notizie al di là del peccato di
lussuria. Per quanto riguarda Cleopatra, l’aggettivo datole sembra una ridondanza. I
commentatori antichi e quelli moderni tendono a giustificare la cosa facendo leva su
quella tradizione che vedeva Cleopatra la lussuriosa per eccellenza.
Esiste una 2° possibilità: una strada esplicitata da TARTARO di un suggerimento non
accolto dagl’altri commentatori. Tartaro propone che “lussuriosa” non va ad indicare
il peccato ma che stia ad indicare “del lusso sfrenato”. All’epoca di Dante i lessici
medievali prevedevano la possibilità d’intendere “luxuria” come VALORE
AMBIVALENTE?
Quindi bisogna chiedersi se l’etimologia della parola latina potesse essere
ambivalente.
In questo saggio Tartaro riporta una definizione data da GIOVANNI BALBI, il quale
sostenne che come lussuria deriva da “luxus”, che può essere inteso come “libidine”,
può essere anche come aggettivo legato al cibo e nel vestire. Quindi la definizione di
Balbi, che è un lessico che Dante potrebbe aver conosciuto, ammette entrambe le
possibilità.
La 2° cosa da fare è vedere se Dante oltre a “libidinosa”, lo usa anche nel significato
di “amante del lusso”.
Un 1° esempio proviene dall’edizione di Fioravanti del Cv. Siamo nel IV trattato e nel
punto in questione Dante se la prende con Carlo II d’Angiò e Federico III d’Aragona. I
due sono introdotti dalle ECCLESIASTE (Dante traduce quasi letteralmente il testo in
questione). Nel testo dantesco ed in quello delle ecclesiaste, il termine “lussuria” non
va inteso come peccato ma come inclinazione allo spreco.
Più netta è all’interno della Canzone sulla LEGGIADRIA a cura di De Robertis. Nella
canzone in questione, Dante dimostra cosa non sia la leggiadria, distinguendo il
concetto già datogli da altri. Parte descrivendo tutto ciò che la leggiadria non è, tra
cui non è “lussuria”. Al vv 32/33 della canzone riporta “non dirò fallenza/divorar cibo
ed a lussuria intendere?”. Quindi chi potrà dire che è una cosa sbagliata mangiare
senza misura? Anche in questo caso si intende l’eccesso sul vestire e sul bere. Quindi
abbiamo appurato che evidentemente questa parola può essere nel lessico dantesco,
una parola ambivalente.
Il 3° passaggio da fare è vedere come Cleopatra era rappresentata nel Medioevo,
soprattutto nei testi che Dante conosceva ed erano autorevoli. Tartaro riporta dei
passaggi di Plinio il Vecchio; questo ritratto viene poi ripreso da Boccaccio.
Esiste un filone che oltre la libidine, vede un aspetto fiero (non del tutto negativo). In
particolare Tartaro segue delle glosse di Benvenuto da Imola.
Nei classici di Virgilio e Properzio non è nulla di significativo ma, esiste un testo
fondamentale per Dante ossia il “Catone” di Lucano. Lo stesso ha un impatto con la
Commedia importantissimo.
Vediamo cosa dice Lucano di Cleopatra e come intende la parola “lusso” e ci
accorgeremo che è perfettamente coerente con questa interpretazione. Tartaro per
prima cosa, legata l’accezione, descrive dettagliatamente la legge, affermando che il
luogo era simile ad un tempio che la più corrotta saprebbe costituire. Qui già la domus
si caratterizza in questa direzione ma, c’è di più.
Nei versi successivi di Lucano, oltre allo sfarzo del palazzo, troviamo anche quanto
Cleopatra nella sua figura fosse carica di orpelli, gli stessi che Dante nella canzone
della leggiadria criticava (vv 136/140).
Dal v 488 definisce la domus “luxuriosa”. La descrizione di Cleopatra, del suo palazzo
e dell’abbigliamento è veramente in linea con quanto detto da Dante. Questo per
Lucano è un valore importantissimo; Tartato segnala che ci sono anche altri “luoghi”
della Farsalia dove il personaggio Pompeo è descritto come colui il quale, anche se ha
posseduto delle grandi ricchezze, le stesse le ha versate nelle casse del Senato.
C’è un passo (pag 99 dispense) in cui Lucano se la prende con coloro che sono
PRODIGHI DI LUSSO, non immaginando che non sia necessario. Si va connotando al
rovescio con quella di Cleopatra.
Anche la 3° indagine ci permette di appoggiare questa versione. Tartaro sostiene che
Lucano segue questo filo anche in altre opere come: “fatti di Cesare” (pag 97
dispense). Se Dante potesse leggere tale opera o “L’intelligenza”, avrebbe anche altre
visioni della stessa. Tartaro riporta nel suo saggio dei brani tratti da “l’intelligenza”,
dove si dice che il palazzo di Cleopatra era ricco di gemme.
Nel “Policratis” di Giovanni di Salisbury, che Dante conosce, emerge tanto il tratto di
Cleopatra come “meretrice venenosa”, libidinosa seduttrice che come lusso e sprechi
fatti dalla stessa.
Questo testo, che accoglie entrambi gli elementi, potrebbe essere il COLLANTE tra
Lucano e Dante.
Tutto questo ci porta a pensare che quel verso così ridondante forse Dante lo ha
costruito immaginando di dare un valore non di libidinosa ma di amante del lusso.
I commenti antichi non seguono questa strada ma, c’è un pezzo di Benvenuto da
Imola dove, parlando di Cleopatra, aggiunge una chiosa che ha la funzione di
AVVERTENZA per il lettore chiarendo che “lussuriosa” non va inteso come lusso
poiché in questo caso è intesa come libidine.
Si crede che in tal caso l’esegesi anche degl’antichi abbia osato. Nel suo commento
Lancia gioca sul fatto concedersi a uomini di potere da una parte e dall’altra la fa
tornare nel suo regime. L’OTTIMO dà una lunga spiegazione.
Resta una sola OBIEZIONE che si può fare, ossia se si guarda il passo precedente (v 55)
Dante dice “a vizio di lussuria fu si ratta”; qui il significato di lussuria è sicuramente da
intendere del peccato di libidine. Bisognerebbe immaginare che la parola “lussuria”
abbia in tutto il canto l’accezione di libidine e poi lo userebbe più avanti per Cleopatra
con il significato di “amante del lusso”.
Tartaro conclude dicendo che non esclude che Dante avesse assegnato a
quell’aggettivo il significato di “amante del lusso”, ripartendo dalle pagine di Lucano.
In questo modo si aggiunge anche una STORICITA’ del PERSONAGGIO.
13° lezione (13 aprile 17)
Ripartiamo dall’edizione di P. con i vv 64/72
64.
P ha “vedi”: la scelta di Petrocchi è minoritaria tanto che parte del ramo di α e di β
sono in accordo con la lezione “vidi”; lo stesso avviene nei vv 65 e 67 dove il verbo si
ripete. Sostituendo semplicemente la vocale del verbo, si ha il cambio di persona;
difatti nella versione di Petrocchi è Dante stesso che parla mentre in quella proposta
dagl’altri codici è Virgilio a parlare. A livello grafico, se si ipotizza che sia Virgilio a
parlare andrebbero aperte le virgolette prima del verbo.
Nella nota Petrocchi chiarisce l’elemento forte della sua scelta.
L ha “vidi”: riporta la lezione del suo codice optimus. Nella prima fascia di apparato
segnala i codici con la lezione “vedi” che sono scelti da parte di α, assolutamente
minoritari e dell’Urb. Nella 2° fascia di apparato, quella positiva, troviamo la fascia
negativa di Petrocchi.
Lanza apporta un’altra modifica rispetto alla versione di Petrocchi al v 68: il testo di
Petrocchi ha “e” intesa come congiunzione mentre Lanza la intende come pronome.
S ha “vedi”: è lezione di Urb che ha valenza tanto quanto l’altro ramo di tradizione; in
questo caso può scegliere liberamente quale strada seguire.
Guardando lo stemma di Inglese, lo stesso dovrebbe scegliere “vidi” perché α ha “vidi”
ma, mette “vedi”.
Gli unici che non hanno bisogno di spiegazioni sono Lanza e Sanguineti a loro modo.
Inglese e Petrocchi devono dare una motivazione per la quale scelgono una lezione
minoritaria rispetto ai propri stemmi. Esistono elementi all’interno del testo che
potrebbero accreditare la loro scelta; da “e più di mille” fino al v 72 ci sono elementi
che ci permettono di fare 2 considerazioni che avvalorano tale scelta. Questi elementi
sono: “mostrommi e nominomi” implica l’ESEGESI che sia Virgilio ad indicare con quel
gesto questa soluzione, e “nomar le donne antiche e’ cavaliere”. Nel verso interessato
troviamo sia donne antiche che cavalieri; avendoli appena nominati è chiaro che
questi due elementi interni al testo ci dicono che la lezione “vedi” dà una maggiore
coesione e coerenza testuale.
Al livello stemmatico una prevalenza così forte dell’altra lezione, non permette con
queste sole basi di correggere con una lezione così minoritaria; deve esistere anche
una spiegazione più forte.
Per Petrocchi è avvenuta una METAFONESI, dove la 2° vocale ha fatto chiudere anche
la 1°; quindi nei codici settentrionale il “vedi” è diventato “vidi”. I copisti toscani non
hanno tolto questa forma settentrionale sia per senso linguistico che per il tempo
verbale usato (passato remoto). In realtà è come se tutti i codici che hanno “vidi”
avessero “vedi” in forma metafonetica.
Secondo Serianni il problema linguistico potrebbe essere risolto con la scelta di quale
codice partire. Per Inglese esiste anche un altro elemento:
• In un passo dell’ENEIDE (VI LIBRO), il ruolo di mostrare le anime perduta (i
morti) lo svolge ANCHISE (il padre) quindi si può affermare che
ANCHISE:ENEA=VIRGILIO:DANTE
Ci troviamo nella stessa scena dell’Inferno poiché Anchise sta mostrando ad
Enea le anime, usando un presente indicativo. Anche in questo caso usa il verbo
“vides” oppure “aspice”.
La sovrapposizione di “vides” e “aspice” salva perfettamente l’immaginario
della Commedia. Anche il riferimento alla fonte virgiliana ci permette di
sostenere la lezione di “vedi” su “vidi”. La lezione di Lanza è accettabile ma,
fortemente sfavorita dal legame con le fonti, con la coerenza testuale; ha dalla
sua parte soltanto il numero di codici.
73.
L ha “I’ ‘ncominciai”
P ha “I’ cominciai”
Questi due codici variano solo al livello grafico
S ha “Io cominzai”: nella 2° fascia di apparato ci sono solo i codici R e U che sono
settentrionali. Al livello di significato non ci sono cambiamenti quindi viene fatta una
SCELTA LINGUISTICA. È un tratto minoritario ma, non del tutto da escludere.
72.
P ha “mi giunse”
L ha “mi vinse”
S ha “mi giunse”
I ha “mi giunse”: in apparato non mette nulla
81.
“nol niego”: Dante si sta riferendo alle anime; sta chiedendo loro se possono offrirgli
un colloquio solo dopo aver chiesto il “permesso” a qualcuno.
82/84.
Il problema è legato alle parole “disio” e “voler”. Per Lanza ed Inglese le colombe sono
portate dal desiderio mentre le anime dal voler. Sanguineti inverte le due parole. La
lezione di Sanguineti segue perfettamente Urb ma, va scartata dal punto di vista
semantico poiché sono le colombe a portare il disio e le anime il voler.
Quindi abbiamo 4 edizioni diverse di cui Lanza ed Inglese sono le migliori.
Al livello di INTERPUNZIONE, per riferire in modo più specifico alle due anime Lanza
mette una “pausa” dopo “l’aere” in modo da riferire “voler portare” a “cotali”.
96.
P mette “ci tace”: discute nelle note questo particolare luogo. In apparato troviamo
una situazione abbastanza distribuita equamente.
In questo punto Lanza dovrebbe avere “si tace” e Sanguineti “se tace”. Serianni nel
suo saggio lamenta come Sanguineti non abbia seguito fino in fondo il suo codice di
riferimento.
Quindi abbiamo un sistema di equilibrio. Il problema coinvolge la struttura.
La prima domanda da porsi è sul significato di “ci tace”, che può essere:
• Tace noi: riferito a Paolo e Francesca
• “ci” come valore AVVERBIALE di “qui”
Qui è in gioco l’intera struttura del verbo: se si pensa al “si tace” nel senso di “ci tace”
dal punto di vista dello scenario cambia il fatto che all’improvviso la bufera termina.
Quest’ipotesi ha un ostacolo dal momento che al v 31 Dante dice che “la bufera
infernal, che mai non resta” quindi vuol dir che la bufera non si ferma mai.
Se invece si prende in esame la versione “ci tace”, vuol dire che si ferma in quel punto
specifico che non c’è; quindi una volta usciti dalla schiera raggiungono un luogo
protetto nel quale si può svolgere il colloquio.
Per Petrocchi è lectio difficilior a tal punto che “ci tace2 è una forma strana ed
inusuale. Potrebbe anche essere un ERRORE PALEOGRAFICO dovuto ad una forma
molto inusuale. Secondo il commentatore moderno SAPEGNO la versione “ci tace” va
intesa come “qui tace”. Quindi la lezione “ci tace” è da preferire.
14° lezione (20 aprile 17)
Francesca prosegue il suo discorso. Il personaggio che sta parlando e di cui non
sappiamo ancora nulla, dà un’indicazione del suo luogo di nascita; probabilmente è
l’unico dettaglio concreto che abbiamo. La donna afferma che la terra in cui è nata
poggia sul litorale dove il fiume Po’ scende per poi ricongiungersi con i suoi affluenti.
La terra indicata dovrebbe essere Rimini poiché è Francesca da Rimini a parlare.
Luca Carlo Rossi segnala come questa indicazione funzioni meglio per Ravenna e
Ferrara piuttosto che Rimini, poiché dal suo punto di vista la scelta di Francesca da
Rimini può essere messa in discussione. La parola “pace” è richiamata molte volte
all’interno del canto, anche in riferimento al modo di parlare di Francesca.
La parola “modo” può essere intesa come legame con Paolo che ancora dura
all’interno dell’Inferno oppure inteso alla modalità in cui i due sono stati uccisi.
Sono 2 aspetti da prendere in considerazione: dal punto di vista del contenuto, viene
fuori che i due sono stati uccisi da uno che era un loro parente e che li attende. Non
sappiamo con chi dei due sia imparentato, del resto Dante nel canto successivo parla
dei due cognati.
Se il canto viene letto senza nozioni di base, sappiamo solo che il soggetto che parla
è della Romagna e che è stata uccisa insieme al suo amato e chi li ha uccisi è un
parente.
Il ragionamento di Francesca è tipico dell’AMORE CORTESE, creando un sillogismo per
cui l’amore si attacca al cor gentile e che un amore così grande non può che trovare
corrispondenza dall’altro lato.
Inoltre vi è il riferimento alla MORTE perché Dante qui sta ragionando e mettendo in
discussione una certa letteratura.
Questo sillogismo non porta a niente di buono se non supportato da un amore più
forte, da una dimensione ETICO-MORALE più forte.
Dante, attraverso questo canto, sta mettendo in discussione al livello di sistema.
Vediamo i loci critici partendo da Petrocchi
101.
Petrocchi nella 1° fascia di apparato non mette nulla ma, il Ricci propone una
congettura. Questo è il caso in cui un’esegesi può andare a travolgere un’intera
tradizione manoscritta. Secondo la narrazione del Boccaccio, Francesca fu tratta in
inganno dal momento che le fu mostrato Paolo e non il fratello Gianciotto. La
leggenda del tranello viene ritradotta in questa lezione dal momento che sarebbe
“prese costui da la bella persona”, ossia Paolo che fu tolto a Francesca e sostituito
dall’altro.
In questo caso non va discussa una scelta dal momento che non esiste ma, è solo un
riverberarsi del Boccaccio.
Gli altri autori come Lanza, Sanguineti ed Inglese non riportano minimamente il
problema.
102.
“e l’modo ancor m’offende”:
il “modo” può essere visto sotto un duplice aspetto (misura o il modo crudo di come
sono stati uccisi).
Per quanto riguarda “m’offende”, l’apparato Petrocchi riporta una variante
significativa legata ai codici Mart e Triv: “N’OFFENDE”. È variante minoritaria ed è
questo uno dei motivi della non-scelta.
Lanza accoglie la lezione “n’offende” mettendo in apparato negativo “m’offende”
tutti i manoscritti. Nella nota la testo chiarisce la sua scelta partendo dal fatto che è
Paolo il primo ad innamorarsi e quindi a trascinare Francesca. In questa lezione non è
solo Francesca a soffrire ma, anche Paolo.
Anche Sanguineti ha la lezione “m’offende”.
Per quanto riguarda la differenza nella tradizione manoscritta, è legata alla sola
“stanghetta” che ci cambia il senso. È pur sempre vero che la lezione “m’offende” è
particolarmente MINORITARIA. Inoltre bisogna sempre ricordare che è solo Francesca
a parlare all’interno del canto. La scelta di Lanza, oltre a seguire il suo codex optimus,
va avvalorata.
104.
“del costui”:
alcuni codici hanno “di costui”, ossia di Paolo. È una lectio difficilior. Sanguineti non
riporta nulla.
107.
“Caina”:
Petrocchi e Lanza hanno la stessa lezione mentre Sanguineti ha “Caino” dal momento
che è lezione di b quanto di U; quindi ha sufficienti elementi per questa scelta. Nel
complesso non è una lezione disdicevole. La differenza è legata al senso: per “caina”
intendiamo la zona dell’inferno, per “caino” intendiamo il soggetto che compirà
l’azione, Urb interpreta diversamente l’azione. “Caina” indica un tecnicismo sul nome
della zona che è un po' più improbabile mettere “in bocca” ad un dannato.
Inglese ha un’altra lezione mettendo “Cain” e spiegando in nota che si riferisce a
Caino.
Nel canto XXXIII dell’Inferno frate Alberigo dice di sé stesso, che non sa di essere nella
zona Tolomea, che si trova in una zona specifica.
Lanza mette l’apostrofo dal momento che Triv non ha ne la “a” ne la “o”.
Con tale frase Francesca fa intendere che l’uccisore non è ancora morto. In Lanza
abbiamo una diversa interpunzione: le virgolette vengono chiuse dopo “m’abandona”
e riaperte ad “Amor”. In questo modo si evidenzia un cambio di persona nel dialogo.
Questa riapertura non ha nessun appoggio nella tradizione manoscritta. È una
soluzione INEDITA. Secondo Lanza la sua scelta è motivata e sostenuta dal verso 108,
dove afferma che tali parole gli furono dette da loro.
La decisione di spezzare i versi in quel punto è dovuta dal fatto che è l’unico punto
ammissibile. Nella nota, Lanza chiarisce che anche Francesca stessa in un intervento
parla come se Paolo dovesse dire la sua; inoltre al vv 139-140 Dante stesso dice che
Paolo, mentre Francesca parla, piange.
Ci sono delle cose obiettabili al Lanza:
• Quel “lor” del v 108 implica che abbiano parlato entrambi ma esistono elementi
che ci permettono di capire che quel “lor” in realtà si riferisce solo a lei al livello
di interlocutore e ad entrambi per la presenza. Del resto Boccaccio lo interpreta
in questa direzione. Alle pagine 80 verso ed 81 retto delle dispense, è
facilmente interpretabile che quel “lor” vada inteso come Francesca
interlocutrice di sé stessa e dei pensieri di Paolo. Questa tesi del Boccaccio è
avvalorata nel verso 115-116 quando Dante scrive: “poi mi rivolsi a loro e parla
‘io,/ e cominciai: <<Francesca,…”. Quindi che Dante abbia come unico
interlocutore Francesca è abbastanza evidente. Lancia non riporta nulla su
questa parte ma, si sofferma su “caina attende chi a vita ci spense”. Lo stesso
immagina sia Francesca a parlare e non Paolo.
• In quel punto il cambio d’interlocutore è IMPROBABILE, dal momento che le
due terzine precedenti si sono aperte con la parola “Amor”. Questa figura
retorica è nota come ANAFORA ed ha una funzione ENFATICA. Se non dovesse
essere lo stesso soggetto a parlare, la figura retorica perde tutta la forza; quindi
un motivo per cui è abbastanza improbabile che sia Paolo a parlare è che si
spezza la triplice anafora.
Un margine di attendibilità c’è dal momento che non esistono nei testi antichi
i segni diacritici. L’antico poeta che non aveva questi segni, per segnalare il
cambio d’interlocutore doveva inserire frasi come “e disse lui”, “e l’altro disse”.
Petrocchi, nella sua nota al testo, asserisce che è impossibile che i versi 106-
107 possano essere attribuiti a Paolo. Nell’usus scribendi di Dante non è questo
il modo usato per passare da un interlocutore ad un altro e lo stesso Petrocchi
ne fa riferimento nella sua nota.
Proseguendo nel canto, Dante prende la parola fin quando Virgilio non gli pone una
domanda e subito riprese il discorso. Dante rimane profondamente colpito dal dolore
fisico della morte e a quello che devono sopportare nel girone dell’Inferno.
La compassione di Dante unita alla curiosità di conoscere come fu possibile che i due
cedettero a questa tentazione lo portò a fargli delle domande; gli chiese come
avvenne l’innamoramento tra i due.
Francesca inizia il discorso seguendo uno schema virgiliano, tant’è che lo nomina
chiamandolo “ ‘l tuo dottore”. La stessa riprende un passo dell’Eneide.
Può essere interpretato in due modi:
• “sa” perché è anche lui nell’inferno
• Rimando alla massima dell’Eneide dove è tanto doloroso ricordarsi dei passati
dolori. Boccaccio dice, riprendendo Boezio, che sono gli stessi usati per Didone.
Si parla quindi del Virgilio personaggio ma anche del Virgilio scrittore.
Francesca risponderà alle richieste di Dante anche se ciò comporta dolore quindi
piangerà mentre parla.
Dal v 127 al v 137 Dante mette in gioco, dà un giudizio ed avverte il lettore sulla
pericolosità di certa letteratura. È una letteratura per DILETTO, ossia non è supportata
da nessuna etica morale. Nella terzina v 130-132 si capisce che si parla di ADULTERIO.
Dante invidia il punto in cui il libro fece da “trampolino di lancio”, ossia “quando
leggemmo il disiato riso” che è quanto di più letterario si possa immaginare. Il v 136
permette al lettore di tornare alla realtà; si passa dal “disiato riso” letterale al “mi
basciò tutto tremante” reale, carnale.
“Galeotto” indica l’intermediario che ha fatto innamorare Lancillotto e Ginevra e
Dante lo paragona al libro che ha unito Paolo e Francesca.
Dante alla fine del canto sviene come avviene in tutto l’inferno.
La compassione di Dante ha portato gli esegeti, Boccaccio in primis, a vedere nella
fragilità di Francesca una propria fragilità; quindi lo svenimento è visto anche verso la
compassione di sé stesso, per la paura di non riuscire a reggere ad una tentazione del
genere: la LUSSURIA.
15° lezione (24 aprile 17)
V 123
Nella versione di Inglese, Francesca dato che racconterà come sono nati i dubbiosi
disiri che condussero lei e Paolo ad una morte, ad un certo punto Francesca dice:
<< nessun maggior dolore……………..
…………………………………………………
…… e ciò sa ‘l tuo dottore>>
Qui è chiaro che vi sono 2 possibili interpretazioni DE CONSOLATIONE PHILOSOPHALE
1) BOEZIO (vedi apparato Inglese) riprende una sua sentenza
2) ENEIDE II LIBRO VIRGILIO, riferendoci in particolar modo alla frase “e ciò sa ‘l
tuo dottore”. Se mai ci fosse questa frase, basterebbe allora Boezio. Ma questa
frase si può leggere in due diversi modi, ossia che Virgilio sa ciò di cui Francesca
parlando per esperienza diretta, perché come Francesca è ormai dannata
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher bellyary di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filologia e critica dantesca e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Roma Tre - Uniroma3 o del prof Fiorilla Maurizio.
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