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Nell'82% dei casi di femminicidio la vittima è madri di bambini ancora
minorenni che hanno assistito alle precedenti violenze.
La deprivazione affettiva a cui vengono costretti è paragonabile secondo la
psichiatra René Spritz alla perdita di microcosmo e ciò comporta una
perdita totale di fiducia nel rapporto ioambiente.
Tutti questi minori subiscono un percorso di crescita drammatico in cui la
violenta separazione dalla madre provoca un altissimo rischio di disturbi
cronici da stress post traumatico: quasi la totalità di loro li manifesta con
tendenza al suicidio, all'abuso di sostanze stupefacenti, alcool, oltre ad una
1 http://www.psychomedia.it/pm/answer/abuse/roccia4.htm
spiccata tendenza alla criminalità, violenza e prostituzione.
Vengono trattati al pari di orfani “comuni” ma la loro storia è ben diversa, il
fatto che sia stato il padre a sottrargli la possibilità di una vita normale rende
il dolore di questi avvenimenti ancor più profondo, rende le conseguenze
irreversibili.
Sul piano pratico in Italia non esistono leggi nazionali che stabiliscano a chi
debbano essere affidati i figli di queste violenze, solo la Basilicata e il Lazio
hanno cercato di arginare queste mancanze con leggi regionali, si sono
mobilitate per istituire un fondo regionale per il sostegno.
L'affidamento viene regolamentato secondo discrezione del giudice,
solitamente accordato ai nonni materni o ad altri famigliari prossimi.
Questa decisione viene presa spesso senza considerare età, stato di salute,
psicologico ed economico dei parenti.
Talvolta i bambini (fratelli) vengono separati perchè troppo oneroso, su vari
piani, prendersene cura; alcuni dai nonni, altri da zii o cugini.
Forse ancora peggiore è la situazione che tocca coloro che non hanno
parenti prossimi che decidono di prestarsi come tutori: vengono affidati a
case famiglia o ad altri sconosciuti che optano per l'adozione.
Lo stato italiano dovrebbe sicuramente mobilitarsi per cercare di
regolamentare la situazione, ma ancor più dovrebbe essere in grado di
ascoltare tutte le donne che chiedono aiuto alle istituzioni denunciando i
loro carnefici. 7,5 casi di femminicidio su 10 erano stati preceduti da
denunce alle forze dell'ordine o a operatori sociali; si può quindi dire che
tutto questo fosse inevitabile?
Credo che in Italia, come in molti altri paesi in cui il valore della famiglia è
visto in maniera tradizionale e la società si fonda su un sistema patriarcale
(non necessariamente in via di sviluppo), le denunce non vengano prese
sempre sul serio, nel caso in cui ciò avvenga non sempre le forze di polizia
sono in grado di occuparsene e ancora più spesso non viene offerto alcun
sosteno né economico né psicologico alla vittima.
4) Cosa dovrebbe fare in definitiva lo stato Italiano?
Come già spiegato nel paragrafo precedente spesso è lo stato a non
prestare aiuto sufficiente alle vittime che denunciano ed il fatto che non
venga preventivamente messo in conto che la loro presa di posizione possa
portare l'aggressore fino all'atto ultimo dell'assassinio da' un'idea di come
superficialmente le cariche pubbliche siano istruite al riguardo.
Inoltre eviterò volontariamente di trattare l'aspetto dell'educazione
preventiva (come del resto sembra aver deciso di fare in ugual misura lo
stato italiano) poiché questo argomento a mio avviso meriterebbe studi
enormemente più ampi.
Lo stato ha dei “compiti” di cui occuparsi, dettati dalla Convenzione
Cedaw; questi compiti sono semplificabili, per quanto ci riguarda, nelle 4 P:
prevenire la violenza sulle donne, proteggere le donne che decidono di
uscire dalla violenza, perseguire i danni commessi, procurare riparazione alle