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ESEMPIO DI STILE COESO

Con questa relazione vogliamo mostrare che scopo della nostra indagine è l'individuazione di situazioni strategiche che riflettano il successo di certe persone attraverso le istituzioni sociali.

ESEMPIO DI STILE SEGMENTATO

Questa relazione riporta i risultati della nostra indagine; essa mira a definire certe situazioni strategiche. In particolare, ci occupiamo di mostrare quelle situazioni che portano certe persone ad avere successo. Ci soffermiamo solo su situazioni relative alle istituzioni sociali.

Nell'articolo di Sofri che segue, lo stile giornalistico segmentato è usato, in alcuni passaggi, in modo molto marcato. Proprio per questa ragione l'articolo deve funzionare, in questa sede, solo da esempio stilistico, mentre per quel che riguarda le esercitazioni del Laboratorio lo stile deve essere solo tendenzialmente segmentato e non deve seguire forme giornalistiche "estreme".

LO STRACCIONE E IL POLIZIOTTO di Adriano Sofri

seguito con curiosità le notizie sulla prosopoagnosia: non conoscevo la parola, e solo un poco il fatto, la difficoltà di riconoscimento fisiognomico dei propri conoscenti. A me succede un'altra cosa, da un po' di tempo: mi pare che le persone mi assomiglino. O, se volete, che io somigli loro. Mi succede all'ingrosso, anche con le facce e i corpi più palesemente diversi. Mi fa un'impressione strana, perché ero abituato ad avere un'idea forte, magari troppo forte, della mia singolarità. Guardando gli altri sentivo la mia dissomiglianza. Ora, è il contrario. Mi chiedo perché. Naturalmente, il tempo lavora per la biologia: i vecchi uomini rischiano di scoprirsi simili, e perciò si appartano e a volte si incattiviscono. Una spiegazione più interessante me la do attraverso le vicende della mia esistenza. Ho trascorso ormaiparecchi anni in situazioni che riducono le persone all'osso, per così dire, che denudano la vita, le tolgono il bel trucco. Posti di guerra, città assediate, luoghi di freddo e difame, galera: si guarda camminare gli altri in una gabbia e si vede se stessi, con solidarietà e ripugnanza. Mi accorgo di aver presentato equivocamente la mia sindrome. Gli altri cui mi sembra continuamente di assomigliare sono brutti, poveri, sporchi e malridotti. Dev'essere per questo che sono stato così eccitato da un episodio come il reportage di Fabrizio Gatti sul "Corriere della sera" dell'altro giorno. Gatti si è travestito da extracomunitario povero, rumeno, ha mendicato in strada, è stato preso a schiaffi da un poliziotto, minacciato con una pistola puntata all'inguine da un carabiniere, costretto a firmare una rinuncia ai propri diritti, chiuso nel famoso centro di via Corelli e testimone, da lì, di vergogna e disumanità.

brutalità. Perché mi ha così colpito? Dopotutto non era un espediente originale. Anni fa un giornalista tedesco trascorse mesi da turco in Germania, e lo raccontò in un libro che fece il suo quarto d'ora di scandalo. Gad Lerner lo ripeté in un viaggio italiano. Quanto al contenuto del racconto di Gatti, è impressionante, per giunta su un giornale così autorevole: ma a me non ha detto niente di nuovo. Chiunque viva, per vocazione o per forza, con gli ultimi sa che gli abusi testimoniati da Gatti sono l'esperienza ordinaria di ciascuno di loro. Piuttosto, a turbarmi e appassionarmi è il travestimento riuscito: la facilità con la quale un giornalista può diventare un barbone rumeno, e passare per tale fra disgraziati autentici e fra i loro guardiani. Dunque è così sottile il confine fra un cittadino in forma, elegante, con una professione prestigiosa, e un irregolare straniero dagli stracci puzzolenti,

preso a calci come un fagotto da ogni autorità di passaggio? Certo, è così sottile. Un abito scambiato tramuta il principe in povero e viceversa. Anche questo lo sappiamo da sempre, però sempre ce lo dimentichiamo. Diciamo: mi metto nei suoi panni. Ma è solo un modo di dire, ci abbottoniamo stretti nei panni nostri. Quando uno lo fa davvero, come il cronista, semina lo scompiglio nel nostro ordine pubblico e privato. Per il solo scherzo di cambiare per diciotto giorni i propri panni, costringe a un pensiero inaspettato e allarmante. Il pensiero che lo scambio è reciproco: ciascun reietto, a guardarlo bene, potrebbe mettersi nei panni nostri. Dei disgraziati non ci si può più fidare. Non si possono più prendere spensieratamente a ceffoni, non si possono minacciare contando sul loro silenzio; non si possono più dire cose compromettenti al loro cospetto fidando nell'ignoranza della lingua; non si può più ruttare da bravi.

sul loro viso o soffiargli addosso il fumo dopo aver calpestato il loro pacchetto di sigarette. Scoperta inquietante per l'ordine costituito. Guai, io penso, se davvero si rintracciassero e perseguissero i due o tre poliziotti e carabinieri e infermieri che hanno schiaffeggiato o intimidito o falsamente certificato il falso rumeno: hanno solo avuto un colpo di sfortuna. E sarebbero puniti per questo? E impuniti tutti gli altri che abbiano offeso o percosso disgraziati veri e senza riscatto? Beffarda giustizia sarebbe, una mortificazione in più per i nuovi venuti. Basti l'effetto - per il poco che potrà durare - dell'incursione di Gatti. Basti la circolare non scritta che in tutte le caserme e commissariati d'Italia ordinerà di diffidare di accattoni, piccoli spacciatori, prostitute, perché probabilmente sono giornalisti di quotidiano. Non è dei poliziotti o dei carabinieri che parla soprattutto l'articolo del "Corriere".

ma dinoi cittadini normali. Poliziotti e carabinieri sono così vicini agli ultimi che viene loro facile diallungare le mani, ma anche di scoprirli come il proprio prossimo. Sono loro, oltretutto, i piùabituati a travestirsi da piccoli delinquenti, e magari a riflettere per ragioni di servizio su queldiscrimine sottile. Forse, se scrutiamo più a fondo negli occhi del nostro extracomunitario, egli strofiniamo come per caso una guancia per capire se è sporco, scuro di pelle o truccato, inmodo da sincerarci che non è un dannato giornalista, finiremo per scoprire, in fondo agliocchi, sotto la pelle, che è una persona. Come noi. Che ci somiglia.È la cosa strana che succede a me, che pure tenevo tanto alla mia solitaria individualità. Nelvangelo Gesù chiede: «Chi dicono che io sia?». Forse uno straccione, forse un re. D’ora inpoi, nelle tante vie Corelli d’Europa, si prenda tempo prima di sferrare ilcolpo: forse è uno straccione, forse un giornalista, forse il re dei cieli. Un altro criterio da tenere presente è quello della semplicità. Anzitutto semplicità lessicale, perché raramente un articolo giornalistico presenta termini inutilmente complessi; e poi semplicità sintattica, nel senso che le frasi devono essere piuttosto brevi e presentare una struttura non eccessivamente elaborata (questo punto si collega con lo stile segmentato già visto precedentemente). Il principio da ricordare è che quando si legge un articolo non si deve essere costretti a fermarsi per capire un concetto, non si deve essere costretti a tornare indietro per ricostruire un'argomentazione troppo complessa. Tuttavia la ricerca della semplicità può portare all'effetto della banalizzazione, che si manifesta talvolta con l'uso di stereotipi e di luoghi comuni. A questo proposito, ecco alcuni consigli molto sintetici: evitare espressioni

abusate e inutili dal punto di vista dell'informatività come "a livello di"; evitare espressioni figurative logorate dall'uso come "l'occhio del ciclone", "cavalcare la tigre", ecc.; evitare espressioni inadeguate per il contesto perché appartenenti ad ambiti discorsivi diversi, come "essere in pole position" (dallo sport) o "immaginario collettivo" (da teorie psico-sociologiche); evitare gli slogan, che condensano, banalizzandole, ampie assunzioni ideologiche; evitare espressioni eccessivamente astratte o burocratiche come "tematica di fondo", "porre in essere", "attivarsi", "discriminare fra i diversi contesti"; evitare espressioni eccessivamente concrete per il contesto: "zoccolo duro", "gatta da pelare", "patata bollente"; evitare espressioni passe-partout, come "discorso"

valido";• evitare eccessi d'intensità come "delirante", "assurdo", "allucinante", ecc.;• È importante sottolineare che non ci sono criteri certi, ma solo una sensibilità che deve tener conto sostanzialmente di due fattori: (i) il contesto specifico d'uso; (ii) una sensibilità epocale (anche di breve periodo) verso gli usi e gli abusi linguistici. 10Sempre a questo proposito si leggano queste osservazioni stilistiche:10 Da Papuzzi [op. cit.: 121-122].Giulio De Benedetti, direttore della "Stampa" per vent'anni, aveva in testa un decalogo personale: "Detestava le parole lunghe, per esempio tutte quelle che finiscono in ione o in ento. Detestava gli accoppiamenti banali fra aggettivo e sostantivo – come ha ricordato Alberto Ronchey. – Diceva: non bisogna usare l'aggettivo e il sostantivo che hanno celebrato le nozze d'oro. Nello stesso tempo l'aggettivomio avviso» o «in preda ai fumi dell'alcool». E non mancano mai gli aggettivi che caricano di infamia chi non ne ha bisogno, come «il criminale fascista» o «l'infame dittatore». Ma la lingua dei giornali è sempre minacciata dalle frasi fatte e dall'invasione degli stereotipi.rischio» o «nel mirino», abbiamo l’«Azienda Italia», e spes
Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
72 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cecilialll di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Laboratorio di scrittura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Teramo o del prof Traini Stefano.