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Inoltre una parte considerevole dei componenti i gruppi confraternali in marcia era costituita da maschi giovani:
in tali circostanze, la scelta di contrapporsi anche energicamente ad altri gruppi, omologhi per criteri di
formazione ma antagonistici per posizionamento geografico, familiare e parentale, è un esito largamente
riscontrato interno a certe relazioni di gruppo, a specifici profili psicologici, a modi cerimoniali propri del
confronto maschile intra- giovanile.
31 marzo 1928: il priore di San Mauro inoltra la solita comunicazione al podestà (non più al sindaco) di Sessa,
Omignano e Stella, per la “Visita ai SS. Sepolcri” e nella stessa data invia una richiesta di permesso al questore di
Salerno: si tratta delle prima istanza inviata direttamente al questore, il che suggerisce come la devozione
cilentana fosse diventata una questione di pertinenza dell’autorità direttamente competente in materia di ordine
pubblico. D’altra parte questa stessa iper- produzione di istanze amministrative testimonia come il severissimo
divieto annunciato, e auspicato, dal vescovo l’anno precedente (1927) non fosse per nulla in vigore, oppure, fosse
del tutto ignorato dalle congreghe cilentane e dalle stesse autorità civili, cui continuano a rivolgersi i confratelli
sanmauresi per annunciare le proprie intenzioni. Tuttavia è indubbio che il controllo “esterno” si fa sempre più
stringente. 8
11 febbraio 1929: il regno d’Italia e la Santa sede stipulano un “Concordato” che disciplina profondamente e in
maniera assai innovativa i rapporti tra i due enti, dopo anni di contrasti, sospetti e attriti, a partire da Porta Pia. I
sodalizi interessati avrebbero dovuto trasferire al nuovo organismo di controllo una mole considerevole di
documenti concernenti il passato del sodalizio stesso, atti inerenti alle condizioni patrimoniali e indicare il numero
“degli iscritti all’associazione”.
10-13 aprile 1930: il priore don Antonio Mazzarella invia la sua comunicazione al questore e al vescovo di Vallo
della Lucania, ma non rinnova più l’abituale segnalazione ai sindaci e podestà. Le procedure si stanno
trasformando velocemente: una pratica locale, che in passato si metteva in atto spontaneamente viene
sottoposta a verifiche e riscontri formali. Tra i sanmauresi questo “disagio” procedurale e relazionale, deve aver
assunto toni piuttosto alti se la congrega decide, il 2 aprile 1931, di rivolgersi direttamente al Papa, con un
telegramma inviato al “Pontefice, Città del Vaticano”, concernente il permesso per la visita ai sepolcri. Il gesto in
sé appare clamoroso: si può intendere come una reazione risoluta nei confronti di una situazione difficile da
governare e a fronte di procedure e relazioni percepite come invasive.
Vescovo Francesco Cammarota manifesta particolare attenzione per gli aspetti simbolici: il riferimento alla
produzione, conduzione ed esposizione di segni e immagini appare come una sanzione frontale verso le pratiche
devozionali dei confratelli.
Nel regno d’Italia la Chiesa cattolica cerca e sperimenta nuove forme di associazionismo e di azione pastorale, di
volontariato, di formazione e di partecipazione al culto, proiettate in un orizzonte nazionale, costruite sulla
condivisione estesa di obiettivi, modi organizzativi, gerarchie, che possono apparire innovativi rispetto a
esperienze precedenti, comunque sentiti come più attuali ed efficaci. Nei confronti di questo disegno, le antiche
pratiche confraternali cominciavano probabilmente a essere percepite come comportamenti devianti, ancora
ancorati a modelli localistici.
Nota diocesana in riferimento al comportamento dei religiosi il canto ufficiale della chiesa è quello gregoriano e
bisogna cantare questo.
- Il richiamo al canto gregoriano è in conflitto con l’intonazione cantata dei versi devozionali tramandati
nella vita confraternale; si tratta di repertori diversissimi: l’uno assai prestigioso, fondamento della
liturgia romana, diffuso in senso generale; l’altro di uso locale, estraneo alla liturgia, relegato alle azioni
devozionali
- Le forme e gli assetti stilistici del canto devozionale tradizionale sembrano sgraditi, considerati retaggio di
una marginalità rurale (“alla paesana”) che appare non più sostenibile.
Con Regio Decreto del 28 gennaio 1932, si riconosce lo scopo esclusivo o prevalente di culto ad alcune
confraternite della provincia di Salerno. Un successivo Regio Decreto riconosce lo scopo esclusivo e prevalente di
culto per altre confraternite, assegnandone il controllo all’autorità ecclesiastica, ma comprende soltanto due
sodalizi cilentani.
Anche il vescovo continua a far sentire energicamente la sua voce. Definisce ulteriormente il senso di certe
attività devozionali e ne disciplina i comportamenti relativi: è vietato porre accanto al cosiddetto Sepolcro (che in
realtà è l’Altare dove è contenuto il SS. Sacramento) qualsiasi simbolo della Passione (crocifisso, statua del Cristo
morto, dell’Addolorata, ecc).
Alcune riflessioni:
- numerosi devoti, tra i quali i confratelli cilentani, continuano a confondere e sovrapporre l’esperienza
della morte di Cristo con la celebrazione dell’Eucarestia: tendono a sottovalutare fortemente il senso di
quest’ultima azione liturgica, mobilitando la loro percezione e sensibilità quasi esclusivamente verso
significati e simboli di morte.
- I confratelli continuano a considerare l’altare come se fosse la tomba di Cristo, fregiandola copiosamente
di segni e simboli di morte.
- Il tempo notturno accoglieva profondamente le azioni devozionali locali, anche nelle chiese che
rimanevano aperte senza interruzione 9
- Il vescovo era consapevole delle difficoltà inerenti alla sua azione e si può immaginare che la fermezza del
pastore suscitasse resistenze e anche discussioni.
Il vescovo sembra perdere definitivamente la pazienza e si risolve a introdurre direttamente un divieto assoluto
per tutte le “cosiddette” processioni delle congreghe, senza attendere la solidarietà del potere amministrativo.
Torniamo alle vicende della congrega di San Mauro. Negli stessi anni, l’interfaccia istituzionale dei confratelli, il
rapporto con enti e autorità sovra-ordinate, sembra restringersi. Sembra quasi che le “relazioni esterne” del
sodalizio stiano per esaurirsi, oppure che certe pratiche siano ricondotte nell’ambito delle vecchie consuetudini
confraternali.
Nel periodo che va dal 1936 al 1949 non risultano tracce sicure della visita confraternale itinerante.
Anche nel corso della guerra la severa vigilanza del vescovo non venne mai meno; nel 1942 il divieto è
seccamente confermato, con estensione della responsabilità di controllo alla questura di Salerno.
La ripresa post-bellica è caratterizzata dall’azione pastorale di un altro vescovo, Domenico Savarese. Il 5 aprile
1949 rende noto un protocollo in dieci punti che torna ad autorizzare le antiche pratiche devozionali pur
vincolando i confratelli della diocesi a prescrizioni esplicite assai impegnative. Le disposizioni sono severe e
incontrovertibili: il circuito devozionale interno non è più consentito, l’esecuzione della polifonia va realizzata
nella medesima posizione, senza spostamenti e movimenti in chiesa, né si autorizza alcuna manifestazione di
pietà penitenziale. Il termine della azioni devozionali è ulteriormente anticipato, con il rientro obbligato nella
parrocchia di appartenenza per le ore 20.30
Nonostante la fermezza del vescovo Savarese, non mancano i trasgressori e le punizioni: il 23 marzo 1950
vengono convocati nella curia vescovile i priori, per essere informati di alcune infrazioni avvenute l’anno
precedente. La congrega di Acciaroli aveva trasgredito l’articolo 2 continuando ad utilizzare automezzi anche nel
1951. La congrega subisce una sanzione severa: oltre il bando perenne dei confratelli più esposti particolarmente
severo è il ritiro dell’archivio confraternale, sottrazione, pur momentanea, della memoria al sodalizio, anche se
giustificata dal timore di una eventuale contraffazione delle carte.
Savarese interviene nuovamente il 25 marzo 1954: i confratelli avrebbero dovuto limitarsi a condurre la loro visita
soltanto alle chiese di casali, o gruppi di case, eventualmente compresi in una stessa unità amministrativa
(“nell’ambito del proprio Comune”), raggiungibili a piedi senza grande sforzo e senza “noleggiare automezzi”. Ma
così facendo finiva per alimentare un contrasto permanente nei confronti del tratto più peculiare della devozione
confraternale: il “piccolo rito cilentano” connette e integra paesi e casali diversi pur piccoli o piccolissimi, in una
rete sovra-ordinata, innervando un ambito comunitario ampiamente sovra-comunale, non coincidente affatto con
una singola unità amministrativa.
Un giorno dopo l’altro
Intanto, i confratelli sanmauresi continuano nella loro azione: inviano diligentemente le prescritte istanze alla
“Reverendissima Curia di Vallo della Lucania”, ricevono altre comunicazioni formali, finché non sopraggiunge
un’ulteriore prescrizione che li obbliga a modificare ancora l’orizzonte in cui disporre la loro azione. Il 20 marzo
1956 la congrega sanmaurese invia la “Domanda Visita ai Sepolcri Venerdì Santo”. Per la prima volta le operazioni
sono spostate al venerdì. Appena due anni prima lo stesso vescovo Savaranese continuava a riferirsi alla visita
devozionale cilentana come un’azione disposta nella giornata del giovedì. Questo è uno degli effetti della riforma
liturgica operata da Pio XII. La ripresa della veglia pasquale notturna, introdotta allora è ormai divenuta prassi
consolidata per tutti i fedeli, tale da essere percepita come una tradizione peculiare. L’introduzione delle nuove
proposte liturgiche ha messo in crisi il patrimonio di elaborazioni rituali e festive locali. Le innovazioni liturgiche
alimentarono dapprima una comprensibile reazione di incertezza. Il venerdì è detto “di Passione” appunto,
mentre la giornata di giovedì è l’ultimo incontro di Cristo con i suoi discepoli più fedeli. Con la profonda
ridefinizione di non pochi passaggi dell’orario e calendario, la riforma ha ricollocato nelle ore più adeguate le
celebrazioni della settimana di Pasqua, cominciando a dislocare nel lungo pomeriggio del giovedì la Missa
Vespertina in Coena Domini e altre funzioni articolate. Queste celebrazioni hanno carattere festivo e gioioso, sono
marcate da una nota di esultanza poiché ricordano l’istituzione dell’eucarestia per opera del Cristo. In questo
nuovo assetto che si avvia e consolida nel corso degli anni 50, il pomeriggio del giovedì risulta impegnato da azioni
10
rituali di g