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Le scienze umane, tra le quali si annovera l'etnomusicologia, tendono a costruire scenari e quadri interpretativi di
ampia cornice. L'osservazione “dall'esterno”, realizzata dagli studiosi, conduce frequentemente a definizioni di
carattere “generalizzante”. Queste nomenclature divergono fortemente da quelle locali, proprie degli individui e
gruppi culturali oggetto di indagine; questi praticano espressioni, nomenclature e tassonomie “vernacolari” o
“dialettali” di esclusiva pertinenza locale. Si tratta di definizioni a “vocazione individualizzante”: a) i musicisti
tendono a indicare e denominare gesti, azioni, oggetti, regole e forme specifiche utilizzando espressioni e termini
definiti, di uso locale; oppure tendono a lasciare certe informazioni e saperi in una sorta di alea, non per forza
soggetta a verbalizzazione esplicita, sorta di non detto incomprensibile ai non musicisti; b) le denominazioni
dialettali favoriscono la rappresentazione di un “interno” circoscritto, nicchia socioculturale; c) le denominazioni
vernacolari risultano poco interessate a procedure comparative. Obiettivi della musicologia sono stati, da una
parte analisi, descrizione e razionalizzazione di saperi, azioni e testi musicali, dall'altra il trasferimento delle
valenze inerenti concetti e gesti verso un'area + ampia di destinatari: la prospettiva auspicata è una condivisione
più estesa di sensi e concetti connessi alle pratiche musicali, cui possano partecipare anche i “non addetti ai
lavori”. I musicologi hanno svolto una permanente funzione di mediazione e filtro tra l'azione performativa dei
musicisti e la fruizione degli ascoltatori.
Musica popolare
Con riferimento più diretto alle pratiche musicali di culture locali, interne a società stratificate, le denominazioni
sperimentate dagli studiosi sono state molteplici. Nelle società appartenenti all'area linguistica neolatina, la più
diffusa è stata l'espressione “musica popolare”, con cui si sono volute intendere le pratiche musicali dei ceti
subalterni presenti nelle società complesse. La connotazione “popolare” tende a marcare un'afferenza rurale e
periferica, di piccole comunità o aree marginali. Restando in ambito culturale italiano, la denominazione 'musica
popolare' rimane attiva per tutta la prima metà del secolo scorso e anche nei decenni successivi; in alcune
rilevazioni critiche si è affiancata l'espressione “musica popolaresca”, a indicare pratiche e espressioni musicali
di ceti subalterni urbani, impegnati nella fornitura di servizi, spesso in luoghi e rapporti di mediazione tra mondo
rurale e ceti dominanti urbani. A conferma della stabilità e pertinenza tassonomica di questa formulazione, si
osserva che il primo vero archivio sonoro costituito in Italia, nel 1948, conserva tale connotazione nella sua
ragione sociale: Centro Nazionale Studi di Musica Popolare.
Due monumentali collezioni europee, coetanee e quasi omofone
Vede la luce in Italia nel 1957 un ponderoso corpus messo a punto da A. Favara nei primi anni del secolo scorso:
contiene oltre mille testi musicali raccolti in diverse località della Sicilia, e conserva espressioni da tempo
scomparse dagli usi vivi delle comunità locali – è il Corpus di musiche popolari siciliane. Nel 1951 Z. Kodàly
avviava la pubblicazione di un'altra importante collezione che scaturiva da rilevazioni effettuate sul terreno nei
primi anni del secolo scorso insieme a B. Bartòk – è il Corpus musicae popularis hungaricae, estesa collezione di
musiche, rilevate presso tutte le aree in cui erano e sono insediate le comunità magiare, proposte in notazione
musicale, organizzate per generi specifici, corredate da classificazioni complesse. Queste sono due opere che
hanno contribuito a definire la consapevolezza di una comune identità culturale.
Folk music e volkslieder
Nell'area culturale angloamericana, un lemma ha condotto alla denominazione delle stesse pratiche musicali con
espressioni quali 'folk music'. Pur se presente l'aggettivazione 'popular', è stata diffusamente utilizzata in tempi
più recenti, a indicare pratiche, oggetti, regole, forme e generi affatto diversi. In area tedesca, l'espressione
'volkslieder' assume la stessa valenza descrittiva e rappresentativa, a tal proposito Bohlman dice: “Herder ha
coniato il termine 'volklied' (canto popolare) applicandolo non solo alla musica che proveniva dal mondo che gli
era più vicino e familiare, ma anche a un'ampia gamma di repertori provenienti da tutta l'Europa dei lumi. Egli
immaginava i canti popolari non solo come oggetti discreti, ma anche come un processo costitutivo della
comunicazione umana” “I canti popolari di H. presentavano tratti nazionali, puntellavano i confini linguistici,
ma al tempo stesso li trasgredivano”. Successivamente in area tedesca, questa prospettiva generale cederà il
passo a un netto ripiegamento nazionalistico: “il volk dei canti popolari cessò di riferirsi al popolo per passare a
significare nazione”.
Musica primitiva e dei “popoli di natura”
Ancora in area tedesca è emersa una particolare formula descrittiva con cui si è inteso classificare la musica
delle società egualitarie, nelle quali le distinzioni individuali e di gruppo sono riconducibili a differenze di età e