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Nel circuito interno alla chiesa i confratelli eseguono il loro repertorio di canti, che può essere rappresentato
così: intonazione polifonica di strofe di ingresso; intonazione del Salmo 50 (Miserere mei Deus), in esecuzione
monodica; intonazione di parafrasi e adattamenti della sequenza Stabat Mater dolorosa e versioni del Pianto di
Maria, in esecuzione monodica; intonazione polifonica di strofe di congedo. I gruppi si differenziano grazie al
colore dell'uniforme indossata; questa è costituita da un sacco bianco che arriva alle ginocchia, munito di un
cappuccio (tenuto sollevato – il volto resta sempre scoperto) che reca due fori per gli occhi; il sacco è stretto in
vita da un cingolo annodato; sopra il sacco si indossa una sorta di mantello che, differenziandosi nel colore,
indica l'appartenenza ai diversi sodalizi: rosso – Rosario e Corpo di Cristo, nero – Monte dei Morti, marrone –
Carmine, azzurro – Vergine.
Le tracce
Oltre che nella memoria dei vecchi priori e cantori di oggi, le testimonianze concernenti la circum-ambulazione
devozionale cilentana e la sua remota collocazione calendariale emergono soprattutto nel corso dell'800 e primi
decenni del '900, rilevabili in fonti diverse. Nei documenti più remoti disponibili non sembra esserci cenni
alcuno al rituale itinerante oggi osservabile. Nell'analisi che Francesco Volpe ha condotto sulla storia delle
confraternite cilentane non risultano tracce di specifici usi devozionali e penitenziali, se non quelli connessi al
culto dei defunti. In continuità con lo scenario pasquale, da quanto riporta Volpe si può rilevare come la
principale funzione del giovedì indicata negli statuti fosse la lavanda dei piedi a 12 confratelli poveri, unita alla
distribuzione di grossi pani a ciascuno dei destinatari di quella sacra abluzione. Il rito indicato e la donazione
relativa dovevano svolgersi presumibilmente all'interno delle chiese di afferenza delle singole confraternite e
dovevano essere rivolti alla cerchia dei fratelli compresi nella comunità del paese o casale di appartenenza.
La preziosa esplorazione condotta da Volpe ci informa che il capitolo V dello statuto, che regola le attività della
congregazione laicale del Monte de' Morti, riporta le seguenti prescrizioni: “nella mattina del venerdì santo, a
ora determinata, tutti li fratelli si trovino in congregazione, perché con la di loro croce avanti processionalmente
si portino vestiti col sacco a visitare li santi sepolcri” - si tratta di una testimonianza molto interessante, per due
motivi: 1) colloca, nel tardo '700, l'uso devozionale della visita ai sepolcri nella giornata del venerdì. Possibile
testimonianza di come fosse praticato un adattamento calendariale (e liturgico) simile al riassestamento operato
nel Cilento antico; 2) prescrive l'avvio della devozione nelle ore della mattina, in questo modo celebravano
Cristo morto con un anticipo dei tempi, praticamente lo facevano morire prima rispetto a quanto tramandato –
questa incongruenza devozionale è centrale e generalizzata e ha informato anche gli usi confraternali cilentani.
Altre fonti vanno ricercate nella vita dei sodalizi confraternali e nella documentazione da questi organismi
eventualmente prodotta e conservata. Consideriamo dapprima le informazioni che possono essere desunte da
opuscoli, fascicoli e libretti che si possono rinvenire ancora; si tratta di materiali stampati, manoscritti o
dattiloscritti che conservano raccolte di testi poetici destinati alla devozione penitenziale della “Visita dei Santi
Sepolcri”.
Una di queste raccolte è attribuita a un certo padre Salvatore Santaniello, 1870; qui appaiono definite alcune
procedure e comportamenti che possono essere osservati ancora oggi. Sicure persistenze sono: la cifra luttuosa
del rito; la collocazione del rito nella visita ai sepolcri; la disposizione dei fratelli su file parallele, con
affiancamento in coppia; il Santo sepolcro come punto focale di numerose azioni devozionali; l'eventuale
disposizione polifonica del canto; la circuitazione processionale del rito; l'esecuzione di azioni penitenziali; la
distribuzione del percorso processionale in un'area territoriale estesa. Tuttavia, rispetto alle procedure osservabili
attualmente, mancano alcuni elementi significativi: non ricorre indicazione esplicita intorno alla collocazione
del rito nella giornata del giovedì; non compare lo scenario di circum-ambulazione; non risulta cenno a obblighi
o relazioni di reciprocità; la pratica della polifonia vocale è appena accennata. Si possono aggiungere alcune
considerazioni su gesti, comportamenti e procedure che risultano essersi trasformati: la codificazione 800esca
attribuisce un ruolo primario al cantore e prescrive un'interazione di tipo responsoriale tra cantore turba (massa
di confratelli) – viceversa, oggi non appare un ruolo così definito o specializzato; la codificazione 800esca
colloca la celebrazione del dolore mariano all'interno di un flusso rituale compatto, affidata all'intonazione
monodica del cantore – oggi, questo lamento assume un profilo peculiare, con intonazione musicale specifica,
responsoriale o di grande gruppo, percepita come segmento distinto del processo rituale; la codificazione
800esca descrive l'esecuzione del Miserere come un'azione individuale – oggi, lo stesso salmo è intonato dal
priore o da due cantori soli, in ogni caso all'esecuzione si attribuisce una considerevole solennità.
È bene, tuttavia, non considerare il profilo descritto come una codificazione prescrittiva, ma piuttosto come una
sorta di “programma di orientamento” (come probabilmente era considerato all'epoca). Si può ritenere che,
disponendosi a governare o ri-orientare pratiche e usi devozionali di gruppi numerosi e diversi, fosse più
agevole limitarsi a indicazioni generali. Possiamo rilevare come alcuni decenni dopo quell'occasionale edizione
a stampa, certi usi devozionali erano ormai condivisi, tali da non richiedere più alcuna prescrizione formale; e ci
permette di ritenere che il corpus di versi attribuiti a quell'autore fosse piuttosto ampio, e si prestasse a essere
diversamente gestito in ambito locale, con opzioni assunte dai numerosi organismi confraternali in relazione a
circostanze, tempi, e modi della effettiva partecipazione alle pratiche devozionali.
Dalle considerazioni proposte si può ritenere che la devozione confraternale cilentana fosse già attiva nella
seconda metà dell'800, con alcune peculiarità. È necessario rivolgersi alle testimonianze dirette di attori e
protagonisti, soprattutto di coloro che hanno conservato tradizioni, saperi e info di interesse locale. Nel dialogo
con i cantori e i priori delle confraternite cilentane, soprattutto i più anziani gli è capitato (ad Agamennone) di
raccogliere valutazioni molto rispettose ed elogiative sulle pratiche di canto messe in atto dalla confraternita di
San Mauro Cilento, unitamente a una nota di rimpianto o amarezza per essere questa confraternita silenziosa e
inattiva da oltre 30 anni. Ciò lo ha indotto a operare alcune verifiche direttamente presso i confratelli di San
Mauro, dove ha conosciuto i priori ed ha potuto attingere ai documenti conservati nel piccolo archivio
confraternale.
I Mazzarella di S. Mauro sono riconducibili a diversi rami parentali e hanno svolto un ruolo di primo piano nella
vita sociale della comunità sanmaurese. Si tratta di una famiglia, in passato dedita ad attività agricole e in vista
nel paese, e per questo chiamata a condurre le sorti della confraternita. Molti membri di questa famiglia hanno
svolto un'azione assai efficace quali cantori e suonatori (mandolino, chitarra, organetto). Antonio Mazzarella ci
teneva a sottolineare che “cantare è un dono di natura”. Il vecchio priore ha ricordato tutti i nomi dei suoi
predecessori, spingendosi fino alla fine del '700; dei priori sanmaurensi provenienti dalla sua famiglia ha
indicato anche il ruolo vocale principale dei priori. A. ha potuto constatare che la memoria e la testimonianza
offerta in voce dal vecchio priore coincidevano con i dati conservati nei registri. Perciò, il racconto del vecchio
priore ci consente di: costruire il profilo dell'avvicendamento generazionale nell'incarico di priore presso la
confraternita sanmaurese; confermare la collocazione dell'azione confraternale nello scenario devozionale della
visita ai sepolcri, il giovedì; individuare questa pratica religiosa come un uso di antica tradizione; evidenziare la
presenza di una polifonia confraternale dai primi dell'800; identificare una certa tendenza dei priori ad agire
nella parti acute dell'impianto polifonico tradizionale alle quali è affidata l'intonazione dei versi cantati. Risulta
altresì confermato il profilo rurale delle pratiche cilentane, espressione di piccole comunità molto compatte e
stabili socialmente. Pure è confermata la gestione locale delle stesse pratiche, ancora all'interno della piccola
comunità di appartenenza: ne può derivare una possibile conduzione di tipo familiare.
Un anno dietro l'altro
Tra la fine dell'800 e i primi anni del secolo successivo, l'attenzione delle autorità civili ed ecclesiastiche nei
confronti delle attività confraternali cilentane sembra divenire progressivamente più attenta. Nei primi anni del
'900, i piccoli organismi confraternali cilentani cominciano a disciplinare alcune attività interne ed esterne, con
una maggiore cura formale, tale da lasciare una produzione documentaria più consistente. Il 30/sett/1898 la
congrega di S. Maria delle Grazie di S. Mauro Cilento istituisce un proprio registro del protocollo, che resta
attivo, rappresentando tutte le “relazioni esterne” della congrega, fino al 17/mag/1973 quando lo stesso sodalizio
sembra cessare ogni attività. Nell'atto del 1907 la congrega comunica al sindaco di Pollica l'arrivo dei confratelli
in occasione della “visita ai s.s. Sepolcri”; l'autorità dell stato non intendeva interferire con una procedura che
assecondava il sentimento religioso della popolazione e che non poneva nessun problema. Due anni dopo la
congrega invia al vescovo di Vallo della Lucania una “domanda di partecipazione” alla visita ai sepolcri; pochi
giorni dopo la stessa congrega invia una comunicazione ai sindaci di Sessa, Omignano, Stella Cilento e Pollica
in cui annuncia la tradizionale “visita..” - il percorso devozionale sembra distendersi su un territorio più ampio,
la traiettoria è semi-circolare. Un itinerario simile sembra essere stato frequentato anche negli anni successivi;
negli anni si nota qualche adattamento o apparente riduzione di percorso. Il 13/mar/1911 i confratelli di San
Mauro inviano al sottoprefetto di V. d. L. la loro prima comunicazione di partecipazione all