ERNESTO DE MARTINO
Durante la dittatura fascista la maggior parte degli intellettuali italiani rimase fuori dalla politica, o
se ne distaccò apertamente; tra questi ultimi c'è De Martino; la più importante figura italiana e
vicino alle idee filosofiche di Benedetto Croce.
Naturalismo e storicismo nell'etnologia era un'opera che secondo l'autore avrebbe dovuto
riformare il sapere etnologico con le idee di Croce. De Martino rimproverava ai naturalisti
(durkheimiani, storico-culturali e funzionalisti) di essere incapaci di restituire la dimensione storica
dell'esperienza tramite una riduzione dei fenomeni naturali. Era una polemica soprattutto perché
questi indirizzi di studio erano incapaci di pensare l'esperienza storica dei primitivi all'interno di una
filosofia dello spirito che fosse in grado di restituirne il senso. Come per Croce, per lui la vera
conoscenza non è scientifica (la scienza è solo importante per fini utilitaristici), ma storica. Storia
dello spirito, conquista da parte dell'uomo di teoreticità e autoconsapevolezza sempre maggiori (il
ricordo di Hegel è chiarissimo).
Lo storicismo crociano ha un doppio effetto sulle scienza dell'uomo: da un lato nega la loro vera
scientificità in quanto non aspirano ad una conoscenza storicizzata, dall'altro nega ai primitivi
qualunque ruolo attivo nella storia (dello spirito) e quindi bandisce ogni serio studio su di loro.
De Martino quindi prende l'effetto positivo di Croce (quello metodologico) e si allontana però da
quello che deriva dal metodo, e cioè l'esclusione delle plebi dalla storia: studierà infatti le “plebi”
del mezzogiorno d'Italia.
La scuola filosofica di Milano e il dibattito su “Studi filosofici” con Remo CANTONI
Questa scuola filosofica di Milano era agli antipodi rispetto a Croce, si rifaceva in fatti a Kant e ad
Hegel, ma anche a Cassirer. Cantoni e De Martino dibatterono a lungo su questo giornale.
L'idea principale di Banfi-Cantoni era quella di una razionalità intesa come esigenza a comprendere
campi del sapere molti diversi nella loro specificità. Quindi attribuivano al discorso filosofico una
assoluta assenza di posizioni definitive. De Martino non condivideva questa idea.
Ciò che per Cantoni rappresentava l'emergere di un campo di ricerca autonomo, svincolato da una
metafisica unificatrice e totalizzante, costituiva per de Martino un vero e proprio rischio di
destoricizzazione del mondo primitivo.
Bisogna chiedersi anche se l'ostilità di De Martino verso tutto ciò che non era riconducibile all'unità
dello spirito non fosse anche l'effetto di un malinteso dovuto alla situazione politico-ideologica del
periodo. Croce contribuì a frenare quelle idee naturaliste che nel mondo anglosassone e francese
stavano imperversando. La vera riflessione etnologica di De Martino si ha nel secondo dopoguerra.
16 – Etnologia e antropologia in Italia nel secondo dopoguerra
Furono anni difficili, gravava sull'Italia il peso dell'asservimento al Fascismo, erano studi
sottostimati a causa di ciò. Non solo, bisogna ammettere che l'Italia era indietro con gli studi e, per
eredità crociana o per conservatorismo culturale, non era in grado di comprendere le novità che
venivano da fuori.
DE MARTINO: il problema del magismo e il concetto di “presenza”
Il libro si chiama Il mondo magico ed è il libro più importante dello storico napoletano secondo
alcuni. De Martino si impegna in una ricostruzione della struttura del mondo magico, unico modo
per recuperarlo alla storia. Qui ribalta le idee crociane, scrive infatti che ogni sistema filosofico che
riconosca solo ciò che è richiudibile nelle 4 categorie canoniche (Estetica, Etica, Economica,
Concettuale) è in sostanza limitato alla civiltà occidentale.
Tutto, per Croce, è inscrivibile in queste categorie; la religione no; è semplicemente
un'aggregazione di istanze appartenenti a diversi ambiti. È chiaro che il magismo, strettamente
simile alla religione, debba essere svincolato da questi dettami, cosa che De Martino cerca di fare
costantemente.
Appena si inizia a studiare il fenomeno del magismo, domande apparentemente a risposta ovvia si
fanno avanti: è efficace? È reale? E soprattutto, cos'è la realtà? Per De Martino i poeti magici sono
reali nel senso che sono effettivi ed efficaci. Qui si distanzia da Croce.
Il concetto di “presenza”
La vicinanza con il dasein di Heidegger c'è, innegabilmente. Ma è più a livello terminologico che
non a livello semantico e concettuale.
"Esserci nella storia significa dare orizzonte formale al patire, oggettivarlo in una forma particolare
di coerenza culturale, sceglierlo in una distinta potenza dell'operare, trascenderlo in un valore
particolare: ciò definisce insieme la presenza come ethos fondamentale dell'uomo e la perdita della
presenza come rischio radicale a cui l'uomo - e soltanto l'uomo - è esposto." (E. de Martino
1958:15)
La presenza è quindi uno stato etico che l'uomo si sforza di costituire per sfuggire all'idea
insopportabile, di non-esserci; è un moto naturale dell'essere umano. La magia è quindi vista da De
Martino come una lotta ingaggiata dagli esseri umani per poter resistere.
I canti luttuosi delle moderne preficae altro non sono che modi di ristabilire la presenza per paura
dell'assenza incipiente.
Destorificazione, marxismo, etnocentrismo critico
Per quanto riguarda il marxismo di De Martino, esso non fu tanto politico, quanto più umanitario.
Il concetto di destorificazione è quello dei riti magico-religiosi che puntano ad alienare l'uomo dalla
realtà contingente e a porlo nella storia come se non ci fosse. È tipico delle classi che non fanno
storia e che ora invece irrompono nella storia (ecco il marxismo di De Martino). Sia idealisti che
alcuni marxisti rigettarono quest'idea delle masse “prive di storia”.
L'etnocentrismo critico è invece l'approdo della riflessione sul tema dei rapporti tra soggetto
conoscente e oggetto della conoscenza. Ha la coscienza del fatto che le griglie valutative
dell'antropologo sono quelle proprie e quindi spesso sono inadatte ala dialettica del confronto.
Natura e cultura, normale e anormale, razionale e irrazionale sono tutti concetti nostri. La soluzione
è un confronto continuo tra storia di cui questi comportamenti sono documenti e storia culturale
dell'occidente che è sedimentata nelle categorie dell'etnografo.
L'incontro etnografico è l'occasione per il più radicale esame di coscienza che sia possibile all'uomo
occidentale.
Tuttavia De Martino non ha dubbi sulla superiorità della cultura occidentale: l'unica che si sia posta
in maniera scientifica la comprensione dell'altro; ma il giudizio dell'Occidente sugli altri non può
che essere etnocentrico.
L'etnocentrismo critico è una continua ridiscussione delle proprie categorie analitiche.
Il timore del relativismo culturale
Gli osservati stanno in un rapporto di pura passività e non concorrono a determinare le
interpretazioni dell'osservatore. Solo l'occidente ha prodotto un vero interesse etnologico.
Le ricerche demologiche di Giuseppe Cocchiara
Fu continuatore di Pitré anche se appartenente ad una generazione alquanto posteriore. Studiò
essenzialmente questioni di folklore; immaginario popolare e collettivo; autore di una assai nota
Storia del Folklore in Europa apprezzatissima.
Gli studi demoetnoantropologici come oggi sono chiamai in Italia iniziarono con Lanternari:
movimenti religiosi e sincretici sorti presso le popolazioni del terzo mondo coloniale e post-
coloniale.
Anche Cardona, glottologo, si curò di studi linguistici in ambito antropologico. Tale varietà di
orizzonti e prospettive non di rado fu all'origine di fratture all'interno della comunità antropologica
italiana. 18 – L'antropologia strutturale di Claude Lévi-Strauss
Lévi-Strauss si dichiara allievo incostante dell'etnologia francese, soprattutto di Durkenheim.
Conobbe anche linguisti e filosofi europei, specie Roman Jakobson e altri esponenti della linguistica
strutturale (che influenzerà enormemente il suo lavoro). È autore di “Tristi tropici”, che è stato e
continua ad essere responsabile di molte “vocazioni antropologiche”; è un momento decisivo nella
storia dell'antropologia. Accanto alla produzione strettamente teorica c'è un sostrato affettivo raro da
riscontrare in altri del suo periodo.
Lo studio della parentela e l'incesto (proibizione)
Lévi-Strauss studiò a lungo queste cose, per lui la proibizione dell'incesto è una regola che possiede
il carattere dell'universalità. Un divieto da sempre presente, in tutte le società; è il passaggio dalla
natura alla cultura.
Collegato è il concetto di esogamia, ossia il matrimonio con donne esterne al nucleo familiare.
Precludersi vuol dire anche offrirle agli altri, quindi la proibizione dell'incesto si identifica anche
con un sistema di comunicazione, di scambio tra i gruppi.
L'atomo di parentela è l'unità minima parentale, elemento senza il quale non sarebbero pensabili né
lo scambio matrimoniale, né nessun tipo di eso o endogamia. Si compone di madre, padre, figlio e
fratello della madre. Più i rapporti tra padre e figlio e marito e moglie sono improntati a confidenza
ed affetto, maggiore sarà l'autorità dello zio materno sul figlio di sua sorella e su quest'ultima.
Viceversa.
Strutture elementari e complesse
Elementari: la nomenclatura permette di determinare immediatamente il giro dei parenti
(consanguinei e acquisiti ossia coniugi possibili e non possibili)
Complesse: sistemi che si limitano a definire il giro dei parenti e che abbandonano ad altri
meccanismi, economici o psicologici, il compito di procedere alla determinazione del coniuge.
I cugini incrociati e l'organizzazione dualista
La struttura più elementare di unione è, secondo Lévi Strauss, il matrimonio tra cugini incrociati
(figli di fratelli di sesso differente). L'organizzazione dualista è quella adoperata da alcune tribù
Bororo (Amazzonia) i cui villaggi sono divisi in due: uomini e donne. Man mano che si sposano, gli
uomini vanno a vivere dalla parte delle donne. In questo senso i matrimoni sono prevedibili.
La nozione importane di reciprocità costituisce secondo Lévi-Strauss la struttura mentale
soggiacente a tutte le relazioni di scambio e i matrimoni, così come il sistema dualista &e
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