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La scrittura di Garçounet e la presenza non rom

Repubblica e ne portava ancora il segno; il dettato non arrivava a garantire l'integrità. C'era del "gadjo", del non-rom, nella scrittura di Garçounet. A partire dagli anni '70-'80 sono i bambini manus, che ormai frequentano la scuola più regolarmente, a scrivere le lettere spedite dai loro genitori. Ma a questo punto sono gli errori e le goffaggini ad ostacolare la parola manus, a rivelare per difetto, se così si può dire, la presenza non rom nella cosa scritta.

Queste lettere di Garçounet, dei suoi fratelli e dei suoi cugini: si tratta di scritto, si tratta di orale?

Abbiamo detto che Garçounet parla "scritto": fa passare cioè lo scritto (l'idea che lui ha dello scritto) nell'orale (dal momento che detta) per inviare un messaggio scritto (una lettera) che non smette di proclamare il suo carattere orale ("ti dirò che..."). Garçounet sa che ognuno di questi modi.

d'espressione ha delle caratteristiche proprie, ma sa anche che è possibile, grazie ad un lavoro sulla lingua, non solo passare dall'uno all'altro, ma anche trasferire i caratteri dell'uno nell'altro. Garçounet non confonde l'orale e lo scritto, ma li lega, li incrocia -o, per riprendere un termine a cui era affezionato (un suo neologismo?), li "intracuce". Panieraio, Garçounet era diventato maestro nell'arte di intrecciare gambi di vimini. Sull'integrità, valore cardinale della comunità manus, cfr. Williams, 1993. Lettere a un carcerato (Seine-Saint-Denis 1992) "Riscuotere una lettera tutti i giorni è d'obbligo, quando sei in prigione!" dichiara uno dei nostri vicini manus un giorno, mentre con il responsabile di un'area di accoglienza per le Gens du voyage si parlava della progressiva scomparsa della corrispondenza familiare. Enuncia qui un principio condiviso da tutti i gruppi

rom che conosciamo. Morsha riceve settantaquattro lettere dalla sua famiglia (moglie, figli, fratelli, sorelle, nipoti) fra il 23 giugno, data della sua carcerazione "preventiva", e il 30 luglio, quando il giudice istruttore firma una richiesta di scarcerazione prima del processo. Il giudice ha contato le lettere, e la loro quantità ha sortito il suo effetto. È lui stesso a dirlo: "Signor ***, lei ha una famiglia meravigliosa!" Ai suoi occhi, l'uomo che aveva messo in prigione nel mese di giugno era un delinquente, mentre colui che libera adesso, in luglio, è soprattutto un padre di famiglia adorato dai suoi. È il carcerato stesso a raccontarmi tutto ciò la sera della sua scarcerazione (i suoi fratelli hanno organizzato una festicciuola).

Cosa dicono queste lettere? Dicono, con le parole più banali, l'attaccamento dei figli al padre, della moglie al marito, dei fratelli al fratello... l'assenza che pesa, e

L'apprensione percolui da cui si è separati. I due figli che non sanno ancora scrivere fanno un disegno. Cosa disegnano? Se stessi, i fratelli e le sorelle, la loro mamma senza il papà, il papà in prigione... Sempre, costantemente, il legame familiare. Questa ripetizione dello stesso messaggio, con le stesse parole, le più convenzionali, di cui nessuno si stanca, finisce per produrre un effetto: si stabilisce, e ristabilisce, un vero e proprio contatto fisico - verrebbe da dire un contatto "visibile", "palpabile". "Riscuotere una lettera" è l'espressione che usano per dire "ricevere": "ho riscosso una lettera". Qui la scrittura non è più soltanto il sostituto della presenza, ma è la presenza stessa, tanto più che il testo delle lettere è stereotipo e ripetitivo. L'apporto di informazioni di queste missive è quasi nullo - nel caso di Morsha tutte quelle

termine "riscuotere" è utilizzato in questo caso in maniera gergale. "Toucher" (letteralmente, sia "toccare" che "riscuotere") è utilizzato qui nel senso di "prendere possesso di, maneggiare qualcosa che ha valore", come è confermato più oltre nel testo dall'uso del termine "palper", specifico della terminologia riguardante il denaro [n.d.t.]. Le lettere non impedivano ai membri della famiglia di fare due volte a settimana i quattrocento chilometri che li separavano dal carcerato per fargli visita. L'espressione dell'attaccamento e nient'altro, come se al di fuori della cerchia familiare il mondo non esistesse. È proprio dal suo carattere convenzionale e dalla sua ripetizione che il messaggio scritto deriva la sua capacità di agire come oralità. La carcerazione ha sottratto alla comunità il padre, il fratello, lo sposo; le lettere colmano questa sottrazione.carcerato è presente nella famiglia: risponde alle lettere che riceve, di sua mano o grazie a un compagno disventura, senza contare il tempo che i suoi passano a scrivergli, da soli o in gruppo. La famiglia è presente accanto al carcerato: lui conserva tutte le lettere; già il volume, la quantità diventa presenza. Perché le apre, dal momento che ripetono tutte la stessa cosa? Perché non ci si stanca mai di essere con i propri cari. Questa ripetizione ha degli effetti derivati - derivati ma non anodini: il giudice libera il carcerato. Certo, non è per questo che tutti hanno scritto, eppure: l'amore che lega i Rom è così forte che quando lo si scrive, esso piega le autorità. Utilizzando la lettera con una sorta di frenesia, e disconoscendone, -si direbbe in maniera deliberata e con una considerevole testardaggine- la sua capacità di essere una fonte di informazione e di invenzione, i Rom riducono la scrittura a una

Sola funzione. Dire "funzione" è forse qui esagerato; si tratta più semplicemente di stabilire la condizione di base dello scambio orale: la copresenza. E' la lettera che importa, non il suo contenuto. Si tratta di orale? Si tratta di scritto? Siamo tentati di parlare di "uso orale della scrittura".

Biglietti da visita per chineurs (Seine-Saint-Denis, anni '70, '80 e '90)

Presso i Rom Kalderash della regione parigina la scrittura serve innanzitutto per gli affari con i gadjé - gli affari in senso stretto: il commercio. Gli uomini sono artigiani, tradizionalmente specialisti della lavorazione dei metalli. Un tempo fabbri, doratori e stagnai, oggi esercitano una serie di attività che potrebbero essere riunite sotto la voce "ripristino": si presentano nei ristoranti, nelle mense, nelle cliniche, nelle officine, nelle botteghe, nelle fabbriche e così via, proponendo di rinnovare tutto il materiale difettoso o usurato.

La loro tecnica commerciale è quella della chine, cioè la sollecitazione diretta del cliente al fine di ottenere un ordinativo immediato, di solito un lotto di pezzi da rimettere in uso, materiale che va dagli strumenti chirurgici ai carrelli elevatori. Il più delle volte è grazie al suo talento di persuasione che lo chineur ottiene l'ordinativo. Ma i Rom preferiscono parlare di "fortuna" (bax): trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Ciò non impedisce loro però di mettere in atto un certo numero di strategie che mirano ad assicurare la riuscita dell'operazione. Fra queste, c'è la presentazione di documenti scritti: i biglietti da visita che gli chineurs esibiscono entrando nelle ditte devono riuscire ad aprirne le porte. Costituiscono una garanzia di rispettabilità, garantiscono laconformità alla legge (c'è anche un numero d'immatricolazione all'albo dei mestieri), e informano il cliente enumerando i servizi proposti dallo chineur. I Rom copiano questi biglietti gli uni dagli altri, facendo circolare sempre le stesse formule, e succede anche che le specializzazioni esibite non corrispondano alle competenze reali di colui che presenta il biglietto. Ma poco importa. I Rom non si aspettano che lo scritto rifletta la realtà, quanto piuttosto che li conduca alla persona suscettibile di firmare un ordinativo. Sotto questo punto di vista, non c'è differenza fra il biglietto da visita di un "artigiano-specialista" e il biglietto spiegazzato che racconta le sventure di una famiglia in esilio che non molto tempo fa le ragazzine rumene o iugoslave presentavano, senza saperli leggere, ai passeggeri del metrò parigino. La scrittura appare come un serbatoio di formule precostituite in cui cercare quelle che funzionano. Ma,come abbiamo già detto, se il biglietto apre le porte, è però l'eloquenza del piazzista che si guadagna l'ordinativo. Una cosa mi ha sempre colpito, quando accompagnavo i Rom nei loro giri: è che nei primi momenti del suo incontro con il capo di un'azienda o con un economo, il commerciante rom recita, con un tono monocorde, come se fosse una tirata imparata a memoria, una serie di formule simili a quelle che figurano sui biglietti da visita. Conoscendo questi biglietti, si direbbe che stia leggendo. Ma ovviamente non ha nessun testo sotto gli occhi. Ciò che recita meccanicamente non corrisponde ad una lista particolare, ma è una sintesi, una sorta di somma delle formule generalmente utilizzate. Come Garçonnet quando detta la sua lettera, lo chineur parla "scritto". Questa fase, però, dura poco. Appena il nostro specialista arriva a farsi un'idea precisa delle esigenze del suo interlocutore, sfoggia la sua

presenza di spirito e adatta il suo discorso alla situazione. Ma per qualche minuto, è come stare a teatro: lo chineur recita il suo biglietto. Come se allo scritto fosse necessario passare attraverso la voce per trovare la sua efficacia. Allora, possiamo parlare di equivalenza fra la lettera e la voce? Fra lo scritto e l'orale? Mi sembra che in questo caso specifico possiamo trovare una risposta considerando la situazione dello chineur che varca la soglia di un'azienda. Il suo scopo è ottenere un ordinativo, un ordinativo qualsiasi, perché un Rom trova sempre fra i suoi fratelli qualcuno che sappia eseguire la parte artigianale del lavoro, qualcuno che sarà suo socio per il tempo necessario all'operazione. Il Rom entrato negli uffici di una fabbrica proponendo l'affilatura di tutto il materiale da taglio può uscirne con

L'incarico della tinteggiatura del corridoio; quello che in un ristorante propone la stagnatura delle pentole di rame finirà per farsi affidare l'argenteria... Nei primi istanti dell'

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A.A. 2012-2013
15 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Etnologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Sarnelli Enrico.