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ETICA NICOMACHEA
Libro 1
Il libro si apre con l’oggetto della morale che secondo Aristotele è il bene supremo. Poichè
ogni azione ha un fine esistono svariati fini ma il bene supremo o sommo bene è quello
che occupa il primo posto e che sarà il fine ultimo a cui tende tutto. L’attività propria è la
politica che forma l’uomo buono. Prima di continuare delinea le caratteristiche dei lettori
dell’opera che devono essere acculturati e che condividono i valori della cultura
tradizionale, quindi sono esclusi gli inesperti e i barbari. Si sta alludendo ai buoni cittadini
attenti alla vita politica. Poi si passa subito alla critica mossagli da Platone. Quest’ultimo
crede che il bene sia un’Idea suprema e come tale inattingibile dall’uomo. Secondo
Aristotele il sonno bene a cui ogni individuo tende è la felicità. Ciascuno però la intende a
modo suo, e a seconda della situazione della vita. Il vero bene però quindi la ver felicità è
qualcosa di perfetto. Il piacere non può essere il fine ultimo perché comune a tutte le
bestie e si perseguita il piacere saremo schiavi delle passioni. Se si considera l’onore
come bene supremo sbagliamo ugualmente perché soggetto ai capricci della sorte. Il bene
supremo è autosufficiente ovvero se preso singolarmente rende la vita degna di essere
scelta. Solo la virtù è realmente superiore. La felicità è intesa come bene ultimo e si
sceglie in vista di se stessa e non subordinata ad un altro fine. Ci si domanda poi che cosa
sia la felicità e come si ottiene. Si parte dal fatto che tutto nasce da un fine e il bene serve
per ottenere la felicità. La caratteristica principale dell’uomo è usare la parte razionale
dell’anima e il bene ultimo sarà proprio la virtù ovvero esercizio di quest’ultima. Inoltre apre
una parentesi affermando che l’etica darà indicazioni solo di carattere generico poiché è
una scienza pratica. Il bene inteso sarà il bene dell’animo e non del corpo. Il bene è
un’attività e non uno stato e a volte ha bisogno di beni esteriori che influenzano la felicità.
Prima si credeva che la felicità la decidessero gli dèi ora Aristotele crede che la felicità sia
cosa divina e per questo ottenuta con l’esercizio della virtù. Solone chiese se bisognava
aspettare la fine della vita per ottenere la felicità e ciò se lo domanda anche Aristotele. La
virtù è stabile e chi è beato sa sopportare sempre ogni calamità. L’oggetto della politica è
la virtù perché vuole trarre il meglio di tutti e quindi il suo fine ultimo è la felicità. Si parla
dell’anima divisa in parte vegetativa non regolata dall’uomo e parte desiderativa e
razionale che invece sono governate dall’uomo. La parte desiderativa è in comune con gli
animali e muove le virtù etiche subordinate alle virtù dianoetiche che nascono dal corretto
utilizzo della parte razionale con sapienza e saggezza. La parte razionale è la parte più
alta. I morti non possono essere felici o turbarsi per i loro amici o famigliari, non sono
toccati né dal bene né dal male dei loro discendenti.
Libro 2
Aristotele ripete che esistono due tipi di virtù, quelle dianoetiche e quelle etiche. La prima
trae in buona parte la propria origine e la sua crescita dall’insegnamento e necessita di
tempo e esperienza, l’altra dalle abitudini. Le virtù etiche non nascono in noi per natura ma
ciò avviene perché per natura siamo atti ad accoglierle e ci perfezioniamo mediante
l’abitudine. Ogni virtù si genere a causa e per mezzo delle stesse azioni per cui si
distrugge. Il libro continua con la ricerca di come diventare buoni e come dobbiamo
compiere le azioni. Bisogna comportarsi secondo la retta ragione, ovvero come disse
Platone, fin da piccoli dobbiamo essere abituati a godere e a soffrire di ciò che è
conveniente. Bisogna agire in modo da evitare l’eccesso e il difetto e invece avere una
giusta proporzione. La virtù è tale capacità di compiere azioni migliori in relazione ai
piaceri e ai dolori ed il vizio è il contrario. Tre sono i motivi di scelta e repulsione: il bello,
l’utile e il piacevole contro il brutto,il dannoso e il doloroso. La virtù ha a che fare con i
piaceri e i dolori e le azioni da cui nasce sono anche quelle che la fanno crescere e che se
compiute diversamente la fanno perire e che le azioni da cui è nata sono le stesse in cui
anche si attua. Noi dobbiamo prima conoscere le azioni, sceglierle e poi sceglierle per se
stesse. Le deve compiere chi ha una disposizione d’animo ferma e immutabile. Le virtù
possono essere passioni, capacità e disposizioni. Le passioni sono tutto ciò che si segue
per piacere o dolore. La capacità ciò per cui si dice che noi possiamo provare delle
passioni e disposizioni quelle per cui ci comportiamo bene o male in rapporto alle passioni.
Noi siamo lodati e biasimati per le virtù non per le passioni e secondo essi siamo posti in
una certa disposizione. Noi non diventiamo buoni o cattivi per natura ma per natura
abbiamo capacità di esserlo. Le virtù dunque non sono né passioni né capacità ma
disposizioni. La virtù è una specie di medietà che tende sempre al mezzo dove gli estremi
hanno un eccesso e un difetto e sono propri dei vizi invece la medietà è propria della virtù.
I pitagorici dicevano che il male è l’infinito e il bene è limitato infatti operare rettamente si
può fare solo in un modo e invece errare si può fare in tanti modi. Delinea poi la tavola
delle virtù principali costruite dai due eccessi e dalla medietà che è la virtù da conseguire:
1. Coraggio: viltà e temerarietà
2. Temperanza : intemperanza e insensibilità
3. Generosità. Avarizia e prodigalità
4. Magnificenza: volgarità e grettezza d’animo
5. Magnanimità: vanità e umiltà
6. Mitezza: iracondia ed eccessiva flemma
7. Amabilità: misantropia e compiacenza
8. Sincerità: ironia e vanità
9. Arguzia : buffoneria e rusticità
10. Giustizia: la principale virtù ripresa nel libro 5.
Libro 3
Il libro si apre con la spiegazione di cosa sia volontario e cosa sia invece involontario. Ciò
che si compie per costrizione e per ignoranza è NON volontario, e volontario è ciò il cui
principio risiede nel soggetto il qualche conosce le condizioni particolari in cui si svolge
l’azione. Si parla poi di scelta e deliberazione. La volontà ha oggetto il fine e invece la
scelta il mezzo. la scelta riguarda solo le cose che dipendano da noi. Ma prima della scelta
c’è la deliberazione. Poiché la scelta è accompagnata da ragione cioè da pensiero e
quindi automaticamente si rimanda alla deliberazione. Si delibera di tutto ciò di cui dipende
da noi e che noi possiamo compiere. Se ci si imbatte in una cosa impossibile si ci rinuncia.
La scelta perciò ha alle spalle una deliberazione. La volontà ha per oggetto il fine ma
alcuni pensano che esso sia il bene e altri ciò che appare bene. Solo l’uomo di valore
giudica rettamente ogni cosa. Nella maggior parte delle persone l’inganno è dovuto dal
piacere. Le azioni sono compiute in base ad una scelta e perciò sono volontarie. La virtù
dipenda da noi come pure il vizio. Sta a noi essere virtuosi o viziosi. Poi si parla di
coraggio. Chi ha paura è chi si aspetta un male. Essere coraggiosi significa colui che sta
senza paura di fronte ad una morte bella e di fronte a molte circostanze che costituiscono
un rischio immediato. Il coraggio è una medietà che ha per oggetto cose che suscitano
ardine o paura e il coraggioso le sceglie e le affronta perché è bello il farlo e brutto il non
farlo. A volte si chiamano coraggiosi chi ha coraggio civile che è più simile a quello appena
spiegato che nasce da pudore e da desiderio di bello e d’onore. Bisogna essere coraggiosi
non per forza ma perché è bello. A volte si dicono coraggiosi anche chi si prodiga convinti
di essere forti ma poi quando temono la morte scappano. Il coraggioso NON è così. Altri
solo perché sono impulsivi vengono detti coraggiosi ma essi non combattono né per il
bello né per la ragione ma guidati dalla passione. Anche i fiduciosi vengono detti
coraggiosi ma solo perché convinti di se stessi commettere azioni coraggiose. Poi si parla
di temperanza e intemperanza che insieme al coraggio sono virtù della parte irrazionale
dell’anima.( temperanza : giusta moderazione.)
Libro 4
Adesso Aristotele va elencando alcune virtù. Parte dalla liberalità, la medietà concernente i
beni materiali. Si loda l’uomo liberale in riferimento al dare e al ricevere beni materiali ma
soprattutto al dare. Gli estremi sono avarizia, coloro che si occupano in maniera eccessiva
dei beni materiali e prodigalità per coloro che scialacquano per soddisfare le loro
intemperanze. Prodigo è chi manda in rovina il proprio patrimonio e quindi si rovina da
solo. Liberali sono coloro che donano e che non prendono ciò che non devono e sono
lodati anche dal punto di vista della giustizia. Sono benefici e l’essere beneficio consiste
nel donare. Donano in vista del bello. Caratteristica dell’uomo liberale è donare e lasciare
poco per se stesso. Non sta nella quantità di quello che donano ma nella disposizione
d’animo in cui lo fanno. La prodigalità eccede nel donane e difetta nel prendere e l’avarizia
difetta nel donare ed eccede nel prendere. L’avarizia è incorreggibile mentre la prodigalità
andrebbe solo corretta per diventare liberalità. Poi si passa a parlare della magnificenza
virtù in rapporto anch’essa con i beni materiali, soprattutto alle spese. È una maniera
conveniente di spendere in grande. L’uomo magnifico è quasi sempre liberale ma il
contrario non è sempre ovvio. Gli estremi sono meschinità e per l’eccesso volgarità. Il
magnifico fa spese in grande con gusto in vista di ciò che è moralmente bello. La giusta
minuziosità dei conti è qualcosa di meschino. L’uomo liberale spende come deve e ciò che
deve. L’uomo magnifico ha la grandezza come tipicità. Le spese possono essere onorevoli
o per l’interesse della comunità. Le spese devono essere consone e degne ai suoi mezzi e
all’opera che