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ARISTOTELE: ETICA NICOMACHEA
Libro I
Paragrafi 1-3: oggetto e metodo della trattazione
Il bene è lo scopo: ogni arte, ogni azione e ogni scelta perseguono un qualche bene, che è ciò a
cui tutto tende. Ma tra i fini c’è un’evidente differenza: alcuni infatti sono attività, altri sono opere
che da esse derivano. Quando ci sono dei fini al di là delle azioni, le opere sono per natura di
maggior valore delle attività. E poiché molte sono le azioni, le arti e le scienze, molti sono anche i
fini: infatti, mentre della medicina il fine è la salute, dell’arte di costruire navi il fine è la nave, della
strategia la vittoria, dell’economia la ricchezza. Tutte le attività di questo tipo sono subordinate ad
un’unica, determinata capacità: come la fabbricazione delle briglie e di tutti gli altri strumenti che
servono per i cavalli è subordinata all’equitazione, e quest’ultima e ogni azione militare sono
subordinate alla strategia, così allo stesso modo, altre attività sono subordinate ad attività diverse.
Il bene, per l’uomo, è oggetto della politica: il bene, essendo il nostro fine, è ciò a cui dobbiamo
tendere, come degli arcieri a cui è stato fornito un bersaglio; per conoscerlo, è necessario
comprendere che cos’è e di che scienza sia oggetto. Si può dire che il bene è oggetto della
politica; essa stabilisce di quali scienze vi è bisogno in una città e racchiude in sé le arti a sé
subordinate, come l’arte militare, l’amministrazione della casa e la retorica. Il suo fine comprende
in sé quello delle scienze subordinate ad essa ed è il bene umano; esso viene colto per il popolo
intero, ed è un’opera più divina coglierlo per un’intera città che per un singolo.
Limiti metodologici della scienza politica: le cose belle e giuste perseguite dalla politica e i beni
stessi sono mutevoli, perciò la verità può essere mostrata solo a grandi linee. Le persone colte,
infatti, si limitano a ricercare la precisione nelle cose solo per quanto lo permette la natura delle
cose stesse. Un giovane non può essere adatto ad ascoltare gli insegnamenti della politica perché,
nel perseguire le cose, si fa guidare dalla passione; la conoscenza di tali argomenti è utile per chi è
capace di formare i propri desideri e agire secondo ragione.
Il fine della politica è la felicità: poiché ogni conoscenza ed ogni scelta aspirano ad un bene,
diciamo ora che cos’è ciò cui tende la politica, cioè qual è il più alto di tutti i beni raggiungibili
mediante l’azione. Quanto al nome, la maggioranza degli uomini è pressoché d’accordo: sia la
massa sia le persone distinte lo chiamano “felicità”; ma su che cosa sia la felicità sono in
disaccordo: la massa, infatti, scambia il vivere bene e l’avere successo (così come il piacere, la
ricchezza e l’onore) con la felicità; ciò che vuole l’uomo appartenente alla massa varia a seconda
delle condizioni in cui si trova: quando è malato desidera la salute, quando è povero desidera la
ricchezza, e così via. Ma coloro che sono consapevoli della propria ignoranza ammirano quelli che
fanno discorsi elevati e a loro superiori; ora, esaminare tutte le opinioni sarebbe piuttosto inutile. Ci
sarà sufficiente esaminare quelle prevalenti o quelle che comunemente si ritiene che presentino
qualche particolare aporia; e non ci sfugga che c’è differenza tra i ragionamenti che partono dai
principi e quelli che ad essi conducono, come già Platone aveva fatto notare. Nel nostro caso, è
necessario partire da ciò che è noto a noi, e non da ciò che riteniamo noto in assoluto. Ciò che è
noto a noi verrà colto, senza il bisogno di spiegazioni, da chi è stato educato bene sul bello, sul
bene e sulla politica, o da chi possiede i principi o è predisposto ad acquisirli con facilità. Gli altri
devono, secondo Aristotele, ascoltare il detto di Esiodo:
Il migliore di tutti è colui che sa tutto da solo
buono anche colui che ascolta chi parla bene
ma chi nulla conosce,
né ascoltando gli altri fa tesoro nel cuore,
è uomo da nulla.
I tre principali modi di vivere:
- vita dissoluta (della massa): gli uomini della massa si rivelano veri e propri schiavi, scegliendosi
una vita animalesca;
- vita politica: le persone raffinate pongono il bene nell’onore; esso, però, è evidentemente
qualcosa di troppo superficiale rispetto a ciò che stiamo cercando: si riconosce infatti che esso
stia più in chi onora che in chi è onorato, mentre il bene è qualcosa di intimamente proprio.
Inoltre, sembra che gli uomini di questo tipo aspirino a essere onorati da uomini di senno e in
grazia della virtù: è dunque evidente che, almeno per loro, la virtù è superiore; ma anch’essa è
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troppo imperfetta: si ammette, infatti, che sia possibile che chi possiede la virtù si trovi in stato di
sonno o di inattività per tutta la vita
- vita teoretica (contemplativa): su essa svolgeremo la nostra indagine in seguito.
La vita dedicata alla ricerca del guadagno, poi, è di un genere contro natura, ed è chiaro che non è
la ricchezza il bene da noi cercato: essa, infatti, ha valore solo in quanto “utile”, cioè in funzione di
altro. Paragrafi 4-12: la felicità, il bene superiore
Critica della concezione platonica di bene: forse è meglio fare oggetto d’indagine il bene
universale e discutere a fondo quale significato abbia, anche se tale ricerca è sgradevole per il
fatto che sono amici nostri gli uomini che hanno introdotto la dottrina delle Idee. Ma si può
certamente ritenere più opportuno, anzi doveroso, almeno per la salvaguardia della verità, lasciar
perdere i sentimenti personali, soprattutto quando si è filosofi: infatti, pur essendoci cari entrambi,
è sacro dovere onorare di più la verità. Coloro che hanno introdotto questa dottrina non ponevano
Idee nelle cose in cui ponevano il rapporto di successione, ragion per cui non costruirono un’Idea
neppure dei numeri. Ma il termine "bene" si usa sia nel senso della sostanza, sia in quello della
qualità, sia in quello della relazione, e ciò che è per sé, cioè la sostanza, è per natura anteriore a
ciò che è relativo; cosicché non ci potrà essere alcuna "Idea" comune a queste categorie. Inoltre,
poiché "bene" ha tanti significati quanti ne ha “essere” è chiaro che non può essere un che di
comune, universale ed uno: non sarebbe, infatti, predicabile in tutte le categorie, ma solo in una.
Inoltre, poiché di ciò che è conforme ad una sola Idea, una sola è anche la scienza, anche di tutti i
beni vi dovrebbe essere una scienza sola; ora, invece, anche delle cose che sono raggruppabili
sotto una sola categoria vi sono molte scienze: per esempio, scienza del momento opportuno in
guerra è la strategia, nella malattia è la medicina, e scienza della giusta misura in fatto di
alimentazione è la medicina, in fatto di esercizi fisici è la ginnastica. Si potrebbe porre la questione
di che cosa mai essi vogliano dire con "cosa in sé", dal momento che in "uomo in sé” e in "uomo"
uno e identico è il significato, quello di uomo. Infatti, in quanto entrambe le espressioni indicano
l’uomo, non c’è alcuna differenza tra di loro: se è così, non ci sarà differenza neppure nel caso del
bene. Ma neppure per il fatto di essere eterno il "Bene in sé" sarà certo più bene, se è vero che
neppure il bianco che dura a lungo è più bianco di quello che dura un sol giorno. Un’obiezione, poi,
alle cose dette sorge dal fatto che i ragionamenti espressi dai Platonici non riguardano ogni bene,
bensì i beni di una sola specie, quelli che sono perseguiti e amati per se stessi, mentre quelli che li
producono o in qualche modo li custodiscono ovvero li preservano dai contrari, sono chiamati beni
a causa di questi, e in un senso secondario. È dunque chiaro che si può parlare di beni in due
sensi diversi: da una parte i beni per se stessi, dall’altra quelli che sono beni sul fondamento dei
precedenti.
Il bene, dunque, in ogni azione e arte diversa, è ciò in vista del quale viene compiuta un’azione,
ovvero il bene pratico. Non tutti i fini delle azioni sono perfetti, ma il fine più alto sì. Quest’ultimo è
ciò che è scelto sempre per sé e non in vista o a causa di qualcos’altro e coincide con la felicità. La
felicità è infatti autosufficiente, perché da sola riesce a rendere un modo di vivere degno di essere
scelto e completo; inoltre, essa è scelta per sé, mentre onore, piacere, ecc, vengono scelti in vista
della felicità.
Ma che cos’è la felicità? per rispondere a questa domanda è necessario, secondo Aristotele,
cogliere l’agire tipico dell’uomo: è possibile porre per l’uomo una qualche opera propria al di là di
tutte quelle particolari? se sì, qual è questa opera propria? di sicuro non può essere il semplice
vivere, che è comunque anche alle piante, e di conseguenza nemmeno il nutrirsi e il crescere, tipici
anche degli animali, così come le sensazioni. Come opera propria e specifica dell’uomo in quanto
uomo si può individuare la razionalità dell’anima (di essa una parte è razionale in quanto è
obbediente alla ragione, mentre l’altra lo è in quanto possiede la ragione, cioè pensa, in atto o non
in atto). L’opera propria dell’uomo è quindi l’attività dell’anima secondo ragione, che vale sia per
l’opera propria (citarrista) e per l’opera della versione eccellente di quella stessa cosa (citarrista
eccellente). Il bene umano risulta essere l’attività dell’anima secondo virtù e, se le virtù sono più di
una, secondo la migliore e la più perfetta.
La felicità implica, oltre alla virtù, anche i beni esteriori: i beni sono stati divisi in tre gruppi, e
poiché gli uni sono stati chiamati beni esteriori, gli altri beni dell’anima e gli altri ancora beni del
corpo, noi affermiamo che quelli dell’anima sono beni nel senso più proprio e nel grado più elevato,
poniamo tra i beni dell’a