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Termini fondamentali dell'etica

I tre termini fondamentali dell'etica sono:

  1. Giustizia.
  2. Felicità.
  3. Bene.

La giustizia riguarda le etiche del dovere che sono etiche dei principi che tengono fede a questi principi senza riguardo per le conseguenze; questo è l'atteggiamento tipico della giustizia. Il primo polo etico fondamentale intorno a cui si articola la riflessione etica è la giustizia, ciò che è giusto fare ("Che cosa si deve fare?"), si deve fare ciò che si deve fare, ciò che il dovere ci impone di fare, ciò che è giusto fare, senza riguardi per le conseguenze.

Di contro alla giustizia troviamo il bene. Il bene non è ciò che è giusto fare, c'è differenza tra questi due termini: ciò che è giusto fare e ciò che è bene fare non sono la stessa cosa. Il bene è un'altra cosa rispetto alla giustizia perché tanto la.

giustizia è implacabile (non guarda infaccia nessuno), tanto il bene invece è una virtù morale che ragiona, e è sicuramente più flessibile rispetto alla giustizia, si adatta alle circostanze mentre è chiaro che la giustizia deve essere una sola per tutti, non ci possono essere delle eccezioni (nel momento in cui tu metti delle eccezioni alla giustizia essa si sta già indebolendo, sta già iniziando a perdere di forza).

Il bene è diverso dalla giustizia, deriva dalla parola greca 'eudaimonia' che vuol dire fondamentalmente 'star bene col proprio demone (con la propria parte interiore' nel termine 'eudaimonia' c'è l'avverbio 'eu' che dal greco vuol dire 'bene'; il bene è un altro modo di intendere l'agire morale perché l'agire morale guidato dal dovere vuole realizzare ciò che bisogna fare per seguire determinati principi ma

non ha in vista l'autorealizzazione invece il bene, consiste proprio in questo star bene con sé stessi che è l'essere buoni, l'essere buoni vuol dire sempre star bene con sé stessi, le due cose non sono scindibili; una persona che è buona è una persona che in qualche modo è in pace con sé stessa cioè ha conseguito un certo grado di autorealizzazione. Le etiche eudemonistiche che hanno come polo il bene, sono etiche che derogano ai principi, li rispettano, li conoscono e sanno che esistono però i principi non devono essere così astratti ma sono tutti subordinati alla realizzazione dell'essere umano e cioè alla felicità; niente altro che il termine più concreto con cui possiamo designare il bene (il bene è la felicità, il bene quindi si propone un altro tipo di scopo, propone l'autorealizzazione dell'essere umano, lo stare in pace con sé stessi,

l'armonia con sé stessi, l'allineamento con sé stessi e non soltanto con sé stessi ma anche con il mondo, con gli altri e con l'ambiente che ci circonda). Bene è quindi sinonimo di felicità e così è stato almeno per i primi filosofi Greci e per tutta la riflessione morale dei primi secoli. Le opinioni su cosa effettivamente sia la felicità e in che cosa consista l'autorealizzazione dell'essere umano sono molteplici, per la maggior parte delle etiche eudemonistiche l'autorealizzazione dell'essere umano consiste in uno stato di tipo spirituale (es. la contemplazione) mentre invece per altre scuole filosofiche la felicità è qualcosa di profondamente diverso. I significati della felicità sono solitamente distinti in tre grandi gruppi individuabili all'interno della filosofia greca e non solo (questo perché tutti i secoli successivi si ispirano a loro). Felicità e

Piacere“Come intendere la felicità e come raggiungere l'autorizzazione?”

La prima risposta che i filosofi greci si sono dati è che la felicità consiste nel piacere, questa è la filosofia degli epicurei (epicureo= colui che ama i piaceri della vita) oggi si tende a identificare l’epicureismo con il materialismo, in realtà ciò è profondamente sbagliato perchè è vero che Epicuro diceva che la felicità consiste nel piacere però egli si rende anche conto che il piacere è una forza capace di travolgere l'essere umano. Per Epicuro però il piacere contemporaneo (l’essere schiavi del consumismo, etc.) è considerato piacere ossessivamente schiavo del godimento, non è più piacere ma è schiavitù, il piacere al contrario deve essere una forma di libertà per Epicuro e questo sempre ricordandoci che appunto, se parliamo di felicità come autorealizzazione,

Il piacere deve essere libertà, deve essere sinonimo di essere sé stessi e non di identificarsi con degli oggetti (es. ultimo modello di telefono o di automobile, etc) agli occhi di Epicuro noi tutti saremo schiavi e quindi persone fondamentalmente incapaci di provare il vero piacere. Per Epicuro si può veramente godere soltanto se non si è schiavi del godimento, è molto importante raggiungere quella condizione che Epicuro chiamava 'atarassia' dal verbo greco 'tarasso' che vuol dire 'sconvolgere', noi, secondo Epicuro, dobbiamo avere a che fare con l'atarassia, dobbiamo ricercare il piacere però allo stesso tempo dobbiamo tenerlo sotto controllo; il piacere è lo strumento che ci conduce alla felicità ma, come tutti gli strumenti, va controllato e noi invece abbiamo invertito le cose, il piacere da mezzo è diventato il fine mentre per Epicuro è il contrario, il piacere è solo un.

mezzo e non un fine. Questa condizione di atarassia vuol dire 'nonsconvolgimento' e questo perché Epicuro sa benissimo che il piacere è qualcosa chesconvolge (l'uomo saggio è l'uomo che autenticamente gode perché non si fa travolgere dalgodimento).

La seconda risposta è 'vivere secondo ragione' e questa è la risposta che si sono dati glistoici. Anche la terza risposta è una risposta che pone la ragione come elemento centrale matroviamo una grande differenza poiché la ragione degli stoici è una ragione che non ammettederoghe, gli storici sono dei filosofi che ricercano la felicità però, all'interno dei filosofi checercano la felicità, sono sicuramente quelli che più si avvicinano all'altro paradigma cioè alleetiche del dovere (deontologiche). Gli stoici sono una grande corrente filosofica che nasce dalplatonismo, dell'Accademia platonica

Nel II secolo a.C. e conosce una grande fioritura soprattutto a Roma (es. Seneca). Secondo l'etica stoica si può essere felici soltanto seguendo la ragione e questo, per gli storici, vuol dire mantenere una totale equidistanza dalle passioni. Epicuro cercava di dominare il piacere, senza allontanarsi da esso ma immergendosi senza farsi travolgere, mentre gli stoici rinunciano completamente al piacere. Per gli stoici, il mondo è abbastanza distinto in bene e male: da un lato troviamo la passione che è bene, mentre dall'altro ci sono le passioni, che sono il male, anche se sembrano essere delle passioni molto nobili come l'amore, l'amicizia, etc. Ma siccome sono passioni, possono comunque farci arrivare alla catastrofe. Quindi, il vivere secondo ragione è qualcosa di molto molto rigido e non si deve derogare (etica deontologica, il vivere secondo ragione è un dovere) per gli storici. Quindi, vivere secondo ragione vuol dire non dare ascolto a tutto.

quello che non ha ragione e quindi al corpo che è irrazionale, il corpo sembra tenerci prigionieri e la stessa cosa vale per le passioni (es. ira, ambizione, etc.). Per lo stoico vivere secondo passione significa purificarsi dalle passioni, restare indifferenti rispetto ad esse, in questa condizione consiste la felicità; questa condizione di indifferenza, capace di sovrastare le passioni, viene chiamata 'apatia'. Il termine apatia contiene la parola greca 'pazos' da cui il nostro aggettivo 'patetico' ma anche 'passione', il verbo vuol dire 'patire' e quindi la passione, che per noi vuol dire emozione, è una cosa che si subisce, una cosa nei confronti della quale si è sostanzialmente impotenti; l'apatia quindi vuol dire 'non essere schiavi delle passioni', posso provare delle emozioni molto forti ma la ragione deve sempre mantenere il controllo. La terza risposta che la filosofia greca sida è che la felicità consiste nell'esercizio della virtù (la grande maggioranza delle etiche eudemonistiche sono di questo tipo, i grandi nomi della filosofia occidentale come Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso D'Aquino, etc. sono tutti sostenitori dell'etica della virtù. Le etiche eudemonistiche sono assolutamente dominanti rispetto alle etiche deontologiche e all'interno delle etiche eudemonistiche l'etica della virtù è nettamente maggioritaria rispetto alle altre due etiche). In che cosa consiste l'esercizio della virtù? Anche la virtù è un esercizio razionale, vivere secondo virtù vuol dire che il nostro agire deve essere guidato dalla ragione; anche gli stoici lo dicevano ma c'è una bella differenza poiché in questo caso è sì razionale ma anche ragionevole; mentre per gli stoici esiste solo la razionalità, essa non è ragionevole ma.pretende di staccare dall'essere umano un'intera parte della sua natura una parte enorme del suo essere perché l'essere umano è sì razionale ma vi è anche la parte emotiva. L'etica della virtù mette anch'essa al centro la razionalità, l'agire umano deve essere guidato dalla ragione perché la ragione è la caratteristica fondamentale degli esseri umani. Questa ragione, al contrario che negli stoici, non deve essere intesa in senso esclusivo, come l'unica cosa che noi dobbiamo coltivare a danno di tutto il resto, per gli stoici la ragione si deve comportare invece come un principio regolatore e non come la parte buona di contro la parte cattiva (emotività, carnalità, fisicità, etc.) ma è una parte dell'essere umano e allo stesso tempo anche il principio regolativo dellatotalità dell'essere umano (è una parte dell'essere umano sicuramente la parte

più nobile ma è anche la parte dell'essere umano che deve regolare la sua totalità). L'etica della virtù si avvicina quindi molto di più

Dettagli
A.A. 2020-2021
24 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/08 Psicologia clinica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Chiaraunivr.22 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Etica della cura e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Verona o del prof Chiurco Carlo.