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PARTE III ETICA DELLA PERSONA
CAP. 9 - ETICA DELLA PACE
La differenza tra guerra e pace è che la guerra è una parola culturalmente e storicamente densa
e forte, dal momento che fa riferimento ad una determinata concezione del mondo, mentre la
pace è una parola debole in quanto la si intende spesso solo a livello emotivo, inoltre non ha un
adeguato quadro di riferimento antropologico. Dal momento che l'uomo non è soltanto il prodotto
dell'evoluzione biologica, ma è anche l'artefice della propria evoluzione, la guerra è il risultato
della evoluzione culturale, pertanto può essere superata con la cultura. A questo proposito il
conflitto fra norme che si oppongono alla guerra come quella della inibizione a uccidere e quella
relativa al rispetto del possesso, costituisce una delle principali spinte all'umanizzazione dei
conflitti che si realizza attraverso apposite convenzioni e con l'avvio e il mantenimento di relazioni
pacifiche. Presupposto affinché ci sia la pace, però, è che devono essere riconosciute le funzioni
svolte dalla guerra. Questi principi sono fondamentali per la costruzione di una cultura della pace
e per evitare la razionalizzazione dell'aggressività distruttiva che invece è radicata nella società
attuale, caratterizzata dalla violenza e incentrata sulla dicotomia amico/nemico.
1. La lotta per il riconoscimento
La relazione tra gli uomini si realizza in maniera efficace quando si sviluppa secondo processi di
affermazione-riconoscimento, dove per affermazione si intende l'esigenza del soggetto di
affermare la propria identità e di essere riconosciuto come soggetto sociale, mentre per
riconoscimento si intende la disponibilità del soggetto a riconoscere le identità degli altri. Questi
processi di affermazione-riconoscimento variano di grado a seconda del livello sociale raggiunto
sia dai soggetti che dall'ordine normativo. In particolare, la relazione sociale si realizza
pienamente quando presenta le caratteristiche di reciprocità e simmetria. La reciprocità, però, non
va intesa in modo rigido e schematico, in quanto non è sempre possibile un immediato scambio
reciproco tra soggetti differenziati. Per esempio il rapporto educativo tra educatore e allievo è
inizialmente asimmetrico, ma ha come obiettivo raggiungere la reciprocità, in quanto l'educatore
ha come obiettivo riconoscere la capacità autonoma dell'allievo. Pertanto un reciprocità consiste
nell'aiutare ad aiutarsi, finché l'altro acquisti la consapevolezza delle proprie potenzialità, in onda
diventando dipendente da un altro soggetto. La reciprocità permette quindi di produrre il vero
sviluppo che va oltre il puro filantropismo. Al contrario l'atteggiamento asimmetrico produce
disuguaglianza, negando ogni progresso ed educazione. La necessità delle riconoscimento è
resa più pressante dal legame tra riconoscimento e identità. L'identità, infatti, è formata in parte
dalla riconoscimento, dal mancato riconoscimento o dal misconoscimento da parte di altre
persone, per cui in quest'ultimo caso una persona posso dire un danno reale se la società o altre
persone hanno di essa un'immagine che la limita o la sminuisce. A questo proposito un'immagine
svalutativa e inferiorizzante è stata data nella società patriarcale alla donna, così come ai popoli
indigeni e colonizzati in seguito alla scoperta dell'America. In particolare, in età premoderna il
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riconoscimento era legato all'identità che si fondava su categorie sociali date per scontate. La
preoccupazione sul riconoscimento e l'identità si è posta però in seguito al crollo delle gerarchie
sociali che costituivano la base dell'onore legato alla disuguaglianza nell'ancièn règime e alla
nuova visione dell'identità individuale emersa alla fine del 700. Quest'ultima identità è un'identità
che l'uomo scopre in se stesso ma affinché l'uomo possa conquistare questo tipo di identità deve
effettuare uno scambio dialogico. Questa identità ha origine nel profondo di noi stessi e nella
nostra autocoscienza mentre viene ostacolata dall'orgoglio.
Il rapporto tra stima di sè e sollecitudine per l'altro si realizza soprattutto nell'amicizia. Infatti è
nelle forme che prevedono la cura dell'altro, costituite da una forte ineguaglianza iniziale che il
riconoscimento ristabilisce il legame di sollecitudine. Il problema delle riconoscimento è legato
anche a quello della nostra identità. Attualmente si assiste ad un movimento di chiusura nella
propria identità individuale e collettiva. Nella società attuale, infatti, l'identità diventa un processo
di identizzazione che si costruisce e si ricostruisce nel corso della vita e attraverso le circostanze
e i ruoli esercitati dagli individui. In questo senso, fondamentale per l'affermazione della nostra
identità è essere riconosciuti dagli altri. Per riconoscere la propria identità è però necessario
avere fiducia e un atteggiamento positivo nei confronti di se stessi, in quanto in questo modo il
soggetto dispone di una sicurezza emotiva che permette lo sviluppo di tutti gli altri atteggiamenti
di stima verso se stesso. In particolare possiamo distinguere tre tipi di riconoscimento (amore,
diritto e solidarietà). In particolare nell'amore è contenuta la possibilità della fiducia in sè stessi,
nell'esperienza giuridica è contenuta la possibilità del rispetto di sé mentre nell'esperienza della
solidarietà è contenuta la possibilità dell'autostima. Non bisogna però dimenticare un
inconveniente denunciato dagli etologi determinato dal fatto che gli adattamenti filogenetici che un
il nostro comportamento si sono evoluti in un lungo periodo durante il quale i nostri antenati
vivevano in piccole comunità formate da cacciatori e raccoglitori. Nel corso degli ultimi 10.000
anni, però, anche se la nostra eredità biologica è rimasta sostanzialmente immutata, attraverso
l'evoluzione culturale abbiamo invece radicalmente cambiato il nostro ambiente sociale, pertanto
abbiamo creato un mondo a cui non siamo predisposti sul piano biologico. Questo non significa
però che non siano adatti alla moderna società di massa, ma che dobbiamo adeguarci
culturalmente ad essa.
2. La pace e il pensiero relazionale
Per arrivare a una concezione relazionale della nostra vita e della società, basata sulla
consapevolezza di interessi comuni e di un destino comune, bisogna abbandonare la categoria
della totalità in quanto essa riduce l'altro al medesimo, razionalizza concettualmente l'altro
attraverso la neutralità di un terzo termine che si pone tra me e l'altro e non è né l'uno né l'altro. Di
conseguenza è possibile rispettare l'altro come altro solo non razionalizzandolo né inglobandolo
in una totalità. Occorre pertanto una cultura nuova, non più incentrata sul dominio del sapere, che
si basa sulla separazione tra soggetto e oggetto, ma incentrata su un sapere che indichi all'uomo
gli aspetti che lo collegano agli altri e al mondo, aiutandolo a riconoscersi nell'altro e a
riconoscere l'altro in lui. Per quanto riguarda invece il mondo temporale creato dall'uomo, basato
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sul dominio e sul potere, esso in realtà è fatto solo di illusioni in quanto l'uomo non conosce le
cose così come avvengono, ma vive sempre la realtà come vorrebbe che fosse. Per questo
l'uomo rifà continuamente il mondo a sua immagine, ovvero un mondo di maschere di illusioni.
Oggi l'uomo si trova a un bivio in quanto il libero di scegliere tra due futuri completamente diversi:
nel primo futuro egli cerca di controllare le forze della natura e le vite di tutte le altre persone; nel
secondo futuro, invece egli cerca di integrarsi sul modello delle comunità di vita che costituiscono
la biosfera del pianeta.
Un altro pericolo è rappresentato dal sapere specializzato concentrato nelle mani degli esperti.
Esso infatti esso può seriamente attentare alla democrazia cognitiva perché il cittadino rischia di
perdere il diritto alla conoscenza. Il sapere, infatti, è diventato via via sempre più accessibile ai
soli specialisti e anonimo, in quanto concentrato in banche dati e utilizzato da istanze anonime,
come per esempio lo Stato. Per evitare questo, occorre prima di tutto una cultura empatica e
partecipativa che ha come obiettivo aiutare ad aiutarsi, l'autosviluppo, lo sviluppo di attività
creative ecc. Mentre la realtà sociale e culturale è diventata sempre più relazionale e
interdipendente, le nostre mappe cognitive sono ancora determinate dal pensiero irrelato, cioè
non relazionale, Il pensiero irrelato, in particolare, comprende quei modi di pensare, cioè di
organizzare mappe cognitive, che attribuiscono le qualità agli enti in base ad una loro natura
indipendentemente dal contesto relazionale in cui gli enti sono situati. Questo tipo di pensiero non
pensa per relazioni, ma per designazioni categoriali. L'etica della pace, invece, deve attivare
processi di identificazione attraverso l'espansione del sé. Infatti più comprendiamo il legame che
ci unisce agli altri, più ci identifichiamo con loro e più cresce e aumenta la nostra coscienza. Al
contrario l'incapacità di identificazione conduce all'indifferenza e all'ostilità.
3. Oltre l'homo clausus
Oggi l'immagine prevalente dell'uomo è quella dell'homo clausus, cioè un uomo che pensa di
vivere come un essere isolato. L'homo clausus, inoltre, richiama solo una delle due libertà
individuate da Sant'Agostino, ovvero la libertà di scelta, mentre non considera la libertà di azione
che nasce dalla consapevolezza dell'erba. La libertà di scelta, in quanto libertà solitaria, ha però
come effetto quello di rendere l'uomo giudice della propria soddisfazione spirituale. La teoria del
vivere dell'homo clausus si basa sull'autopoieticità, cioè sulla separatezza e sul modo di vivere
che sfugge al mondo comune sociale. Questa etica dunque, non produce altro che solitudine e
isolamento. Inoltre diventa impossibile rapportare all'etica dell'homo clausus la categoria di
"senso", fondamentale per il recupero dell'identità culturale dell'uomo, in quanto quest'ultima è
una categoria sociale che nasce da una pluralità di uomini legati tra di loro, pertanto non può
riferirsi a un