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C
APITOLO 4 – PER UNA CRITICA DEL MODELLO IMPERSONALISTA
DI RAZIONALITA’
1. Il mondo come <<cosa>>
Nonostante le sue illusioni e i suoi progetti, l’uomo avverte sempre più di non essere
il dominatore del mondo, ma di essere dominato dal mondo, che assume i caratteri
di una potenza neutra, della <<cosa>> impersonale.
L’estraneità dell’uomo rispetto alla realtà sociale e il <<mondo
dell’impersonale>> crescono.
La struttura socio-culturale, economica, tecnologica ha acquistato una sua
autonomia, rapidità e imprevedibilità di sviluppo, che l’individuo stesso a mala pena
possiede ancora la consapevolezza di vivere secondo le proprie decisioni. Lo spirito
del metodo scientifico infatti si impone ovunque.
La fede eccessiva negli esperti evoca il pericolo di far scomparire la capacità di
decisione tramite il buon senso. Per decidere occorre tener conto e avere il senso
delle situazioni concrete e questo senso non si acquista attraverso il metodo
scientifico, ma occorre il sapere pratico, la ragionevolezza (unione tra ragione ed
emotività), che è orientata alla situazione concreta. La scienza tende ad espropriarci
dell’esperienza personale; tale esperienza la può provocare la <<cultura morale>>.
Il problema centrale della nostra civiltà è quello della estraneità e della reificazione
del mondo, della frattura tra lo spirito soggettivo e lo spirito oggettivo e di come si
possa superare il rapporto di alienazione tra la persona, la struttura socio-culturale e
la tecno-struttura.
Il mondo, ha scritto Mounier, è stato abbandonato dall’uomo moderno: egli ha
accettato che il mondo non fosse altro che una cosa e ha accettato di essere uno
spettatore indifferente del suo cammino senza senso.
La razionalità tecno-scientifica tende a diventare anche il modello della società e ha
innescato un nuovo modo di pensare, definito <<performativo>>, che si definisce in
termini di efficienza ed è misurabile come rapporto di input/output. La
performatività è alla base sella <<società della mente>>, realizzazione sociale
dell’intelligenza artificiale.
Non ci può essere un nuovo modello di sviluppo, che sia veramente al servizio della
persona singola e dell’umanità e sia promozione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini,
se non si afferma contestualmente un nuovo modello di razionalità.
a) L’uomo del Kitsch e l’escatologia dell’impersonalità
Uno dei compiti più urgenti della cultura e della filosofia del nostro tempo è di
sconfiggere l’<<escatologia dell’impersonalità>>, liberando la ragione dal suo
legame con tale escatologia, che tende ad affermarsi come un mondo a sé, al di là
della realtà normale, già data.
La razionalità assume come carattere l’oggettività, che è convertibile con
l’universalità e con l’impersonalità. Tutto ciò che è oggettivo, universale, 1
impersonale, è razionale: tutto ciò che è soggettivo, particolare, personale, non è
razionale. Ci può essere una razionalità che pur essendo universale non è
impersonale; di qui nasce l’alienazione dell’uomo, il quale si sente estraneo a ciò
che lui stesso ha creato.
Questa escatologia si è affermata in quattro importanti passaggi della cultura
europea:
a) il passaggio dal mondo del pressappoco al mondo della precisione;
b) il passaggio dallo Stato fondato sull’interpretazione dell’uomo come essere
il cui destino si decide al di fuori di questo mondo, allo Stato assoluto, cioè
considerato al di là delle convinzioni religiose e morali;
c) la riduzione della legittimità a una tecnica legalizzata, rendendo la
legge non espressione di una precisa idea di bene e di male, di giusto e
di ingiusto, ma espressione di una determinata prassi amministrativa;
d) il passaggio dal concetto liberale di libertà come libertà dallo Stato a quello
socialista di servirsi dello Stato, creando lo Stato di massa, cioè lo Stato
fondato sulla partecipazione della massa al potere statale: l’uomo è tanto
più libero quanto più potente è lo Stato a cui appartiene.
L’escatologia dell’impersonalità ha prodotto la valorizzazione del mondo della vita
e l’irrealtà del senso comune: il sapere personale viene dichiarato incompetente,
soggettivo, non razionale e quindi ridotto al silenzio.
Bisogna trovare il coraggio di creare l’universalità in ciò che finora veniva solo
detratto dalla realtà, in ciò che portava il segno dell’irrealtà e dell’illusione: nel
mondo della vita che si dà in prima persona nella coscienza personale.
Come afferma Husserl, la struttura del mondo della vita si coglie intuitivamente ed
è fondata solo sull’evidenza del vissuto.
L’assolutizzazione dell’impersonalità produce la banalità e il Kitsch. Diventa
banale ogni concetto che non può essere ricondotto all’esperienza personale. Sia la
banalità che il Kitsch derivano dall’impersonalità e dalla neutralizzazione della vita
personale e della coscienza morale. Nel Kitsch, che viene considerato l’essenza del
nostro tempo, tutti i criteri di valutazione delle azioni umane vengono ridotti alla
performatività, cioè alla grandezza degli effetti che producono. Neutralità e
impersonalità sono le dimensioni del banale e del Kitsch.
L’idea di una struttura sociale comporta la riduzione della legittimità alla legalità,
del valore alla norma, della personalità al ruolo: da questo processo nasce l’uomo
banale, l’uomo che interpreta come dovere l’assenza di coscienza e l’indifferenza ai
valori.
Una <<rivolta>> contro il sapere impersonale è stata provocata dal <<sapere
narrativo>>, che ha dato voce all’uomo, all’esperienza personale.
L’arte ci dimostra il nesso tra sapere personale e universalità; più è singolare e
personale il contenuto artistico più assurge a validità universale.
b) Aporie dell’assolutizzazione della ragione impersonale
1. La ragione oggettiva è irreale: dissolve la realtà e il soggetto
Se la ragione per poter diventare obiettiva deve diventare impersonale, la
conoscenza è una <<vera alienazione>>.
L’oggettivismo ci abitua a non credere più che a ciò che costruiamo. L’oggettività,
nella razionalità impersonalista, consiste nel misconoscere la realtà e
contemporaneamente nel distaccarsi dall’esistenza soggettiva. Ciò che si conosce
non è più la realtà, l’essere, gli enti, ma le costruzioni astratte dell’uomo. L’oggetto
non è la realtà, è un prodotto costruito dalla mente umana. La ragione non ha che un
solo mezzo per spiegare ciò che non deriva da essa, quello di ridurlo al niente.
Mounier ripete con Marx che la ragione è non nella coscienza, ma nell’essere.
La conoscenza come occhio e specchio del mondo si colloca in disparte e di fronte
al mondo, che diventa oggetto di spettacolo e di osservazione, rimanendo ad esso
estraneo.
L’atto stesso del pensiero è un mistero, non è completamente chiarito allo spirito.
Descrivere un uomo o una cosa è l’atto più superficiale del conoscere. Più noi
penetriamo nella realtà, più essa cessa di essere assimilabile a un oggetto posto di 1
fronte a noi sul quale fissiamo dei segni di riconoscimento. Nel suo fondo essa è
indescrivibile. L’idea del possesso non arriva a stabilire il contatto tra il conoscente
e l’essere.
Tutto il sapere che si accumula dell’essere resterà sempre un’infima quantità in
rapporto a ciò che si ignora.
La conoscenza impegnata è la vera obiettività, poiché l’atteggiamento spettacolare,
in materia umana, dissolve l’oggetto invece di rivelarlo.
Ogni atto conoscitivo nasce dall’incrocio di un giudizio di valore e di un giudizio
di fatto.
Il mondo dell’assolutizzazione della ragione oggettiva e impersonale è un mondo
completamente distaccato dalla realtà e dal soggetto, un mondo a sé.
b. L’impotenza del potere tecnico-scientifico
Il tecnicismo e il razionalismo oggettivante rischiano, con il loro strapotere, di
rendere il singolo uomo incapace di poter tracciare il proprio destino.
Se il potere ha qualcosa a che fare con il vogliamo, allora dobbiamo ammettere che
il nostro potere è diventato impotente. I progressi compiuti dalla scienza non
hanno niente a che fare con ciò che vogliamo: essi seguono le proprie leggi,
costringendoci a fare quel che possiamo.
La persona è sottomessa a un consumo che è a sua volta sottomesso alla
produzione, che è al servizio del profitto. L’economia personalista, invece, regola
il profitto sul servizio reso nella produzione, la produzione sul consumo, e il
consumo su un’etica dei bisogni umani fondata nella prospettiva totale della
persona.
c. L’infondatezza della ragione auto-fondata e fondante
La pretesa del razionalismo assoluto è il fondare il mondo a immagine e
somiglianza della ragione. Proprio per fondare il mondo, la ragione diventa
assoluta, cioè sciolta da ogni vincolo con la soggettività umana e con la realtà. La
ragione assoluta, però, finisce col costruire un suo mondo, quello regolato dalle
proprie leggi, illudendosi che questo sia il mondo. Si tratta della finzione di un
mondo che è mondo per nessuno, oggettività senza soggetto. Perché questo mondo
non svanisse, è stato sviluppato come un sistema di pure essenze. Di conseguenza
la nozione di essere è andata svuotandosi e si è riempita di nulla.
Il progetto tecnico-scientifico moderno ha perseguito l’obiettivo di realizzare il
regno della ragione totalizzante, che, facendo il vuoto intorno a sé, diventa
onnipotente. Una ragione auto-fondata è assoluta e può quindi porre, insieme a sé,
il mondo e disporre di esso. Il criterio della ragione diventa la ragione stessa e non
la cosa in se stessa, l’essere, il reale. La radice della ragione non è la ragione. La
ragione presuppone l’essere e non viceversa. L’uomo che conosce è l’uomo che
agisce, parla, vive, lavora. Egli pensa con il corpo, con la sua storia, con la sua
cultura.
L’uomo è se