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SEZIONI CHE PARLANO DEL PUNCTUM
18. Il particolare modifica la lettura della foto, creando una nuova foto. Non c’è regola di
connessione fra punctum e studium, ma una co-presenza. Il particolare è fornito a caso e
senza scopo, la foto non è composta: l’analisi non ci fa cogliere il punctum. Se cambia lo
studium, cambia anche il punctum. Condizione necessaria per la sua presenza: la Tyche.
19. Si concede (ossia accettare l’avventura e raccontarla al lettore) offrendo degli esempi di
punctum. Nella foto di una famiglia di neri americana, lo studium è la rispettabilità, il
conformismo con i bianchi; il punctum è la larga cintura della ragazza, le braccia dietro la
schiena e il cinturino sulle scarpe. Nella foto di Klein dei ragazzi del quartiere malfamato di
New York, lo colpisce i denti brutti di uno dei due. Il punctum ha una forza metonimica (che
rimanda al tutto) come quella foto in cui Barthes riconosce i borghi che ha attraversato quindi coglie
il referente, annullandosi come medium.
20. Se i particolari non mi pungono, sono stati posti intenzionalmente dal fotografo, deve essere un
supplemento non voluto: deve solo dirci che il fotografo era là.
21. Qualcosa che sconvolge la lettura fa tilt dentro di lui; il gesto dello studium è un gesto pigro,
mentre la lettura del punctum è attiva, ma si sottolinea insviluppabilità della fotografia (simile in
questo senso agli haiku). Nella foto dei bambini mongoloidi, Barthes si sottrae a letture ideologiche
e vede il particolare del colletto del bambino e il dito fasciato della bambina.
22. Il punctum non ha codice (lo studium sì). Nadar nel fotografare Brazza lo accosta a due
negretti vestiti da marinai, uno con la mano posata sulla coscia di Brazza: è un gesto che
richiama l’attenzione, ma non è un punctum quanto un gesto strambo; nel momento in cui
possiamo definire il gesto, non può pungermi. Nella foto dei due di Mapplethorpe, egli vede un
“non so ché” che lo attrae verso uno dei due poiché non ne trova il segno.
L’effetto di punctum si manifesta solo in un secondo momento, quando non guardiamo la
foto: infatti nella foto della famiglia di negri solo successivamente egli capisce che il vero
punctum è la collana che una porta al collo perché è la stessa che indossava un membro
della sua famiglia. Per vedere meglio una fotografia, meglio chiudere gli occhi (Kafka),
deve essere una foto silenziosa e ci colpisce se la togliamo dal suo bla-bla.
23. Il punctum è già presente nella foto, ma lo aggiungo anche nel momento in cui riesco a
coglierlo. Tuttavia il cinema non ci dà il tempo di “aggiungere” qualcosa anche se ha una
caratteristica che la foto non ha: un “campo cieco” che rafforza la visione. Le foto dotate
solo di studium non possiedono questo, ma se vi è il punctum, come nella foto della regina
Vittoria, allora troviamo il “campo cieco” che fa uscire il personaggio dalla fotografia. La
presenza di questo elemento distingue la foto erotica da quella pornografica: in quella pornografica
non vi è punctum, in quella erotica, come quella di Mapplethorpe, sì e non fa
del sesso un oggetto. La foto erotica trascina lo spettatore fuori dalla foto e la foto anima lo
spettatore; il giovane col braccio disteso incarna erotismo anche grazie alla fortuna del
fotografo di aver impresso il giusto grado di apertura della mano, nella sua densità di
abbandono: ha colto il momento giusto in un incontro mancato della Tyche.
24. Ha parlato di foto pubbliche, ma per trovare l’evidenza della Fotografia deve scavare dentro di
sé.
SECONDA PARTE DEL LIBRO
25. Ritrova la foto della madre, la Foto del Giardino d’Inverno (FGI), in cui gli sembra di
riconoscerla meno bene, e da qui capisce che non potrà più ricordare i suoi lineamenti
(Proust); le altre foto della madre non gli parevano buone, ma questa sì e vuole capire
perché.
26. Quello che lo separava dalle altre foto è la Storia, ossia il tempo in cui la madre ha vissuto prima
di lui; quando vediamo una persona familiare vestita in altro modo, ci pare quasi un tradimento e
per ritrovare la madre, Barthes ha bisogno di foto con oggetti che potesse ella avere sul comò.
Come esseri viventi, noi siamo il contrario della storia, ciò che la distrugge e di cui non possiamo
essere testimoni. La fotografa Moira Ricci ha annullato la Storia entrando in foto della madre da
giovane.
27. Questione del riconoscimento: egli la riconosceva solo a pezzi, ma il suo essere intero gli
sfuggiva: la riconosceva differenzialmente ma non essenzialmente. Erano immagini
parzialmente vere quindi totalmente false; diceva “è quasi lei!” ma il “quasi” è una
condizione del sogno: esso, come la foto, non ci presenta mai una persona come veramente
è, ma con qualcosa fuori posto oppure so che è lei ma non ne vedo i lineamenti. C’è
riconoscimento della cosa nel tempo, ma no riconoscimento del valore.
La madre di Barthes riusciva ad atteggiarsi davanti l’obiettivo, ossia mettervisi davanti con
discrezione senza combattere la sua immagine.
28. La foto era vecchia, di un colore smorto, della madre a cinque anni. Aveva l’aspetto della
Madonna, con tratti mistici. La foto non ci è mai stata mostrata e nel tempo ci si è indagati sulla sua
effettiva esistenza. Guardando quella bambina, Barthes ritrova sua madre, immagine di innocenza
(ossia che non sa nuocere), affermazione di una dolcezza e bontà che è proprio il punctum. Come
disse anche Proust parlando della nonna, la ritrova in un ricordo pieno e involontario. Nadar fa un
ritratto della madre che conteneva più di quanto la tecnologia della fotografia potesse promettere.
FGI era essenziale e realizzava la scienza dell’essere unico.
29. Nella foto guarda al Supremo bene dell’infanzia, alla madre-bambina che guardando la foto
perde due volte: nel su ultimo momento e nella sua prima foto. Alla fine della sua vita, la madre era
debole e lui si prendeva cura di lei come se fosse sua figlia. In Brecht è il figlio
che educa la madre, ma Barthes non l’ha mai educata, ma la viveva. Morta lei, a Barthes
restava solo che aspettare il momento della sua morte. Questo leggeva in FGI.
30. Decise di cavare da quella fotografia tutta l’essenza della Fotografia; ma non poteva
mostrarci quella foto perché ci sarebbe indifferente: non può fondare un’oggettività ma uno studium
senza punctum. È come se la scienza fosse una verità ad uno personale, non
comunicabile.
31. Non vuole ridurre la famiglia e la madre ai più generici Famiglia e Madre; il cristianesimo, con
la sua rappresentazione della Mare, ha superato il rigore della Legge a vantaggio dell’Immaginario
(questa Legge evoca Lacan e il distacco dalla madre nel suo rapporto incestuoso per cui non la
rispetta), e così davanti a FGI Barthes di abbandona
all’Immaginario. Nella Madre vi è un nucleo, ossia sua madre e il suo dolore è determinato non dal
tempo vissuto con lei ma da chi era lei. Per lui, il Tempo non elimina la sofferenza
ma l’emozione della perdita.
32. Da qui mescola nelle foto la banalità e la singolarità e doveva capire come il Referente fosse
diverso dagli altri sistemi di rappresentazione: esso è la cosa necessariamente reale posta dinanzi
l’obiettivo senza la quale non ci sarebbe fotografia. Nella Fotografia, non posso negare che la cosa
sia stata là, quindi il noema della Fotografia sarà lo “è stato”, nessun dipinto mi assicurava la
presenza di un referente.
33. Ciò che costituisce la natura di una foto è la posa, un’”intenzione” di lettura, il passaggio
dall’immobilità della foto presente sulla registrazione passata. Il noema della Fotografia si altera nel
cinema: qui qualcosa è passato, la posa viene negata dal susseguirsi delle immagini; è un’altra Arte
anche se derivante dalla prima. La presenza della cosa e la sua vita non sono metaforici a patto di
non fotografare un cadavere ossia immagine viva di una cosa morta. L’immobilità della foto è data
dal Reale e dal Vivente. Quindi la Fotografia è nata come arte di una persona
34. È pensiero comune che la fotografia sia stata inventata dai pittori, ma Barthes pensa sia stato
merito dei chimici: la foto è un’emanazione del referente. Da corpo reale, partono dei raggi che mi
raggiungono e mi toccano. Il colore è considerato un trucco che copre la vera vita delle foto (la foto
deve toccarci con i propri raggi e non con una luce aggiunta
successivamente).
35. L’effetto della Fotografia non è quello di restituire una cosa passata, ma di attestare che ciò che
vedo è stato. Ci stupisce, ha a che fare con la resurrezione e con le reliquie non fatte per mano
dell’uomo, come la Sindrone. Nella foto, i soggetti erano là, non vedo un ricordo ma il passato e il
reale insieme, La data è essenziale nella foto perché ci fa riflettere sulla nostra vita, sulla morte e
sullo scorrere del tempo; io sono il punto di riferimento di ogni foto e ci fa chiedere perché viviamo
qui e ora.
36. Non per forza ciò che è in foto ora non esiste più. Un giorno venne scattata a Barthes una foto
ma lui non riusciva a ricordarsi le circostanze: voleva affrontare un’indagine per
approfondire ciò che più non sapeva di sé stesso. Nessun testo può dargli questa certezza
poiché il linguaggio è fittizio: la Fotografia non ha bisogno di espedienti per essere infittizia, essa
non inventa, non mente mai sull’esistenza. OGNI FOTOGRAFIA E’ UN
CERTIFICATO DI PRESENZA che ci presenta qualcosa che non è né immagine né reale,
ma qualcosa di spettrale. Nella Fotografia il passato è sicuro quanto il presente, il nuovo
oggetto deve sottrarsi alle precedenti definizioni di immagini: i commentatori dicono che la
Fotografia non è analogica, ma in realtà niente può impedirglielo. Barthes è un realista e
come i realisti non considera che la fotografia sia una copia del reale, ma un’emanazione del reale
passato che possiede forza documentaristica.
37. La Scarsità di’Immagine delle letture si contrappone alla Totalità d’Immagine delle Foto, in cui
non vi si può aggiungere nulla. In cinema non è così perché la foto è trascinata in un flusso e il
referente non rivendica la sua realtà. La Fotografia è senza avvenire, il cinema è proteso. In FGI non
c’è soluzione di ocntinuità, Barthes soffre immobile senza poter distogliere lo sguardo. La
Fotografia è indialettica ossia la negazione di morte non si trasfo