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X.
Come è possibile che persino il più liberale dei discorsi secondari sia incapace di districarsi dal
codice della contro-insurrezione?
- Il funzionario, divenuto storico, è ben lungi dal separarsi dagli interessi ufficiali: questo è il
problema dell’intrecciarsi della storia con la politica. È questo incrociarsi che sviluppa quella
che possiamo chiamare conoscenza imperialista.
XI. XI I resoconti terziari
Ma la coscienza popolare che dette vita alle insurrezioni manca anche negli scritti terziari:
- Lavoro di scrittori che non fanno parte dell’establishment coloniale o di funzionari fuori
servizio.
- Lavoro in cui anche se viene riportato il punto di vista ufficiale,
(perché non sempre avviene)
questo si tratta solo di una scelta puramente personale dall’autore.
- Lavoro che spesso si distingue per lo sforzo di rompere con il codice della contro
insurrezione, adottando il punto di vista del ribelle.
Ma il problema è questo:
L’obiettivo del lavoro terziario è quello di riscattare l’originalità della storia delle insurrezioni
contadine: non l’incapacità del Raj (rappresentante del potere imperiale), ma la presenza stessa
del Raj (e quindi del potere coloniale).
Il fatto è che tanto questa interpretazione terziaria degli eventi, quanto quella secondaria a cui si
oppone, equivale a un atto di appropriazione che esclude il ribelle in quanto soggetto consapevole
della propria storia, incorporandolo soltanto come elemento contingente all’interno di un’altra
storia, fatta da un altro soggetto.
Si crea così una distorsione della storia, che rende quest’ultima lungi dall’essere pienamente
rappresentata.
Ma, naturalmente, non c’è nulla che la storiografia possa fare per eliminare completamente questa
distorsione; quello che possiamo fare, almeno, è riconoscerne la presenza così da rinunciare alla
pretesa di poter cogliere e ricostruire pienamente il passato.
XIII. Il ruolo della religiosità
La religiosità è stata un elemento centrale all’interno delle mobilitazione popolari: non è possibile
parlare dell’insurrezione se non nei termini di una coscienza religiosa che spinge i ribelli a
considerare il loro progetto come basato su una volontà diversa dalla loro.
Fino a che punto il discorso storico è riuscito a dare spazio a questo aspetto della rivolta?
Discorso primario e secondario:
- Un funzionario trovatosi nel mezzo di una rivolta, liquidò Lo hool come fanatismo, plasmato
dall’ignoranza e dalla superstizione.
- Un articolo del Calcutta Review ,“Lo spirito fanatico della superstizione era stato utilizzato per
accelerare lo scoppio di una controversia fondata su altre ragioni”.
raspare qui un tono decisamente elitario e colonialista, il quale percepisce il popolo come
T
plebaglia priva di una propria volontà.
Discorso terziario:
Anche il discorso terziario dimostra diffidenza nei confronti della volontà popolare quando è
mediata dalla religione:
ES. Ray considera la religione (Sidu e Kanu per la rivolta dei santal; Birsa per la rivolta dei Kol)
come parte di una elaborata macchinazione propagandistica, architettata da capi laici per la
coscienza religiosa (stupida) dei propri seguaci.
ES. altri scrittori, forse la maggior parte, ignorano del tutto la componente religiosa.
XIV.
Perché anche il discorso terziario è così riluttante a fare i conti con l’elemento religioso della
coscienza ribelle?
- Perché è ancora legato a una matrice puramente colonialista che rifiuta di riconosce
l’insorto in quanto soggetto della sua stessa storia:
(anche se, abbiamo visto, in modo diverso)
la massa è priva di volontà, è uno strumento di qualche volontà esterne (della coscienza
.
dell’elite, che è la forza motrice unica)
Subaltern Studies: decostruire la storiografia (Spivak)
CAMBIAMENTO E CRISI
Gli autori dei SS ritengono che il loro obiettivo sia quello di costruire una teoria della coscienza o
della cultura piuttosto che una teoria della transizione.
L’impresa coloniale in India è infatti generalmente definita come:
- il momento di transizione dall’assoggettamento semi-feudale e quello capitalistico
- l’inaugurazione della politicizzazione del colonizzato
L’obiettivo dei SS è quello di rivedere questa idea; e lo fa proponendo almeno due riflessioni:
1. la trasformazione dovrebbe essere considerata al plurale, in quanto insieme di momenti di
confronto e non come singolo momento di transizione (economico-produttiva).
2. tali transazioni sono caratterizzate da un cambiamento funzionale all’interno dei sistemi dei segni:
crimine-rivolta, schiavo-lavoratore ecc..(il lavoro del gruppo dei SS presuppone che l’universo
sociale consiste in un’interrotta catena di segni, la cui dinamicità dipende nella sua disarticolazione-
ricomposizione).
La loro pratica è molto vicina alla decostruzione.
IL FALLIMENTO COGNITIVO E’ IRRIDUCIBILE
Dopotutto, la storiografia elitaria, nazionalista o colonialista, secondo i SS appare costituita da
fallimenti cognitivi , il lessico sofisticato di molta della storiografia
(scritti primari, secondari e terziari)
contemporanea non corregge il fallimento cognitivo, ma semplicemente lo occulta.
L’ALIENAZIONE E’ IRRIDUCIBILE
I membri dei SS usano il termine “alienazione” per indicare “il fallimento nel tentativo di conoscere
se stessi”
In Hegel, l’alienazione è irriducibile in qualsiasi atto di coscienza, il fallimento nel tentativo di
conoscere se stessi è irriducibile in qualsiasi atto di coscienza: finché il soggetto non si separa da
se stesso per comprendere l’oggetto, non c’è alcuna conoscenza, nessun pensiero o giudizio.
Da un punto di vista strettamente filosofico, allora, tanto l’elite storiografica e la storia narrata dal
nazionalismo borghese quanto la re-iscrizione dei SS sono opera dell’alienazione.
IL PROBLEMA DELLA COSCIENZA SUBALTERNA
Per il gruppo dei SS, scoprire la coscienza dei contadini (dei subalterni) significa giungere alla
scoperta di un terreno che permette poi ogni altro genere di rivelazione.
ES. l’azione e la solidarietà contadina sarebbero il riflesso di un’unica coscienza sottostante.
Ma per Guha questa coscienza non è coscienza-in-generale (una coscienza neutra), ma una sua
specie politica storicizzata: una coscienza subalterna, soggetta all’investimento dell’elite (quindi
coscienza non tanto dei subalterni ma prodotto degli oppressori) e mai del tutto recuperabile:
- Sono soltanto i testi della contro insurrezione o la documentazione prodotta dall’elite che ci
forniscono i dati della coscienza dei subalterni.
Consideriamo Heiddeger: noi ci troviamo inesorabilmente a pescare in una pre-comprensione, e questa
pre-comprensione è il nostro punto di partenza. Il modello della conoscenza come acquisizione di dati neutri
viene considerato (da Heiddeger) come un’ingenuità: la conoscenza è semmai un’interpretazione.
La coscienza subalterna andrebbe considerata come un soggetto-effetto: un soggetto solo
apparentemente neutro, ma che in realtà è sempre l’effetto di un effetto facente parte di una
catena continua e non mai una causa sovrana.
La strategia diviene molto più produttiva quando il termine “coscienza” viene utilizzato in senso
stretto, come autocoscienza, come coscienza di classe; la quale non implica il livello generale della
coscienza:
- La coscienza di classe, a livello descrittivo, è una consapevolezza che raccoglie dati in
modo strategico e artificiale e che, a livello trasformativo, cerca di distruggere quei
meccanismi che andavano a costituire proprio il profilo della classe in cui si era situata e
sviluppata la coscienza collettiva.
STORIOGRAFIA COME STRATEGIA
Una strategia può essere involontaria? Non può esserlo completamente.
Dice Guha: una discrepanza essite necessariamente incerti stadi della lotta di classe tra il livello
della sua articolazione oggettiva e quello della coscienza dei suoi soggetti… nonostante tutto il loro
coinvolgimento pratico le masse potrebbero tuttavia essere indotte con l’inganno da una falsa
coscienza dei propri miti-guerrieri.
Dice la Spivak: allora, una teoria che si concede alcune discrepanze nella fabbricazione di una
strategia non può ritenersi immune dal proprio sistema.
Di fatto, è proprio nella loro insistenza sul subalterno come soggetto di storia che il gruppo mette in
atto una strategia di intervento che solo in parte è involontaria.
Marx sottolinea: i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.
Dice la Spivak: le descrizioni teoriche non possono produrre degli universali.
VOCI
Un riferimento alle Voci, in quanto mezzo di comunicazione subalterno, è presente soltanto in modo implicito nel lavoro
dei SS.
Le voci rappresentano però un aspetto molto importante. Consideriamo il fonocentrismo di autori come Barthes, Levì
Strauss o Vygotsky:
- Per loro la parola è la diretta e immediata rappresentazione della voce della coscienza; perché la velocità del
linguaggio parlato non favorisce un complicato processo di formulazione, non lascia il tempo per deliberare e
scegliere.
Al contrario, il post-strutturalismo crede:
- Che ogni possibilità di espressione, compresa la parola, condivide una presa di distanza da sé. Ne segue,
secondo questa teoria, che il “sé” è esso stesso sempre un prodotto e non un fondamento: così, la sua
formazione sembrerebbe strutturata sul modello della scrittura, ovvero formulata, deliberata e scelta.
La voce:
- per Guha è l’espressione parlata per eccellenza;
- è tanto immediata poiché non appartiene ad un’unica voce-coscienza, essa appartiene a ciascuno che ne
usufruisca. La voce è per natura errante, sempre in circolazione e senza una fonte riconoscibile e accertabile.
- La sua transitorietà la rende accessibile all’insurrezione.
- Solo all’inizio e alla fine la transitorietà viene meno, ciò che ne fa una chiara immagine della scrittura.
- La voce può allora essere descritta come il modello di lingua in senso stretto (collateralità e volontà comune).
la scrittura: la scrittura si suppone appartenga ad un’unica voce-coscienza.
La Spivak rimarca il fatto che ad accumunare Subalterni e Storici è uno stesso fono centrismo, ma
che una lettura contro luce fa emergere l’illegittimità dell’unione tra i due.
Ma quale è l’utilità di rimarcare questo?
- Non tutti i modo di