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IL RITORNO ALLE IMMAGINI
Boehm insegna a Basilea storia dell'arte. A un certo punto si rende conto che la storia dell'arte
tradizionale non è sufficiente: ci vuole una disciplina che sappia rendere conto della svolta iconica,
ovvero della presa di coscienza del fatto che le immagini hanno una loro autonomia di senso, una
loro dignità, e non solo qualcosa che si usa per chi non ha altri strumenti per comprendere. La
filosofia nel corso dei secoli ha avuto la tendenza a svalutare le immagini come fattori che tendono
a confondere le idee, più che chiarirle, anche se una serie di autori (come Kant, Nietzsche, Merleau
Ponty e altri) che si sono sottratti a questa opzione dominante e vengono chiamati da Boehm stesso
per sostenere le sue teorie.
Negli anni '60 si parlava invece di “svolta linguistica”, ovvero l'idea che tutte le questioni della
filosofia fossero questioni del linguaggio. Ancora oggi quando parliamo di “linguaggi” per ciò che
linguaggio non è (linguaggio cinematografico, fotografico, ecc...) ci riferiamo proprio a questo:
questo modo di parlare è denominato “panlinguismo”, dove cioè tutto viene ricondotto alla
dimensione del linguaggio.
La svolta iconica invece prende proprio coscienza del fatto che l'immagine non sia linguaggio e che
il linguaggio non è sufficiente per esprimere il senso dell'immagine, ma può dire dell'immagine ciò
che è esprimibile a parole.
Ogni volta che ci troviamo davanti a un'immagine dobbiamo sforzarci di cogliere la “differenza
iconica” che contrassegna l'esperienza di ogni immagine nella sua singolarità, che si vede nel
contrasto tra superficie e profondità..
Con la svolta iconica si cerca di restituire dignità all'immagine e rileggere tutto il pensiero
occidentale.
La svolta iconica ha le sue radici nella filosofia moderna:
Kant → facoltà dell'immaginazione, molto importante nella terza critica
• Heidegger → la forza produttiva delle immagini
• Fiedler → liberò il vedere dal suo ruolo passivo
• Merleau Ponty → conferisce all'occhio autonomia, che grazie all'artista Cezanne, riesce ad
• abbattere l'interpretazione moderna dell'immagine: il soggetto vedente agisce sulla realtà che
lo circonda, ma è anche visto.
Cosa hanno in comune metafora e immagine: la polivalenza. La migliore realizzazione della
metafora in ambito linguistico fallisce, perché è più importante occuparsi di risonanze.
Blumenberg riprende un'idea di Vico, secondo la quale le metafore non sono semplici complicazioni
posteriori amate dai poeti per dire in modo difficile qualcosa che mi potrebbe dire in modo
semplice, perché in realtà il linguaggio non va dal letterale al metaforico, ma dal metaforico al
letterale. Il predominio del letterale è dovuto al fatto che le immagini nel tempo si sono scarnificate
e stilizzate fino ad arrivare al letterale, che è appunto l'esito di un processo di concettualizzazione.
Anche noi oggi nonostante siamo dentro a questo processo non possiamo fare a meno di un fondo
metaforico dell’immagine. Il linguaggio non finisce tutto nella razionalità, nel linguaggio letterale.
Proprio il fatto che le lingue non si lascino tradurre al 100% significa che ha un grado di opacità
rispetto al medium che ne produce il senso.
C’è una radice figurale che produce il senso, una metaforicità originale.
Quindi la metafora è importante perché:
non si tratta solo di dire qualcosa con i fronzoli
– tutti i tentativi di normalizzarla sono destinati a fallire
– la figuralità della metafora, che è fenomeno linguistico, si lascia contrassegnare come
– fenomeno di contrasto
il contrasto risponde a qualcosa che possiamo cogliere a colpo d'occhio: l'immagine.
– BELTING
IMMAGINE, MEDIUM, CORPO
Con Belting si apre l'antropologia dell'immagine: egli elabora l'idea di una storia delle immagini
prima dell'era dell'arte, vale a dire tutte quelle immagini che non possono essere ricondotte al
concetto di arte elaborato dal Rinascimento. Per comprendere il fenomeno dell'immagine, non è
sufficiente affidarsi alla storia dell'arte, ma bisogna puntare a una nuova iconologia, prendendo alla
lettera l'origine etimologica del termine: eikon = immagine. La novità a cui si fa riferimento è il
fatto che il concetto di immagine non può essere compreso senza fare riferimento anche ai concetti
di medium e corpo.
immagine → le immagini non esistono di per sé, ma accadono grazie alla trasmissione e alla
– percezione. La vera essenza dell'immagine dipende da come essa trasmette il proprio
messaggio, ossia attraverso quale medium: meno ci accorgiamo del medium visivo, più ci
concentriamo sull'immagine, mentre se il medium è autoreferenziale, esso si mette contro
l'immagine sottraendole attenzione
medium → strumento attraverso il quale le immagini sono visibili e trasmesse. I media
– costituiscono il collegamento fra immagine e corpo, perché indirizzano la nostra percezione.
Cambiando il medium, l'immagine cambia anche significato (“L'immagine è il messaggio”
Mcluhan). Non vi è immagine senza medium che le funge da supporto e questo contribuisce
al venire meno della distinzione tra immagine mentale (della memoria e
dell'immaginazione) e materiale (quadro, fotografia). Il medium della prima è il corpo.
corpo → corpo che agisce e corpo che percepisce. Corpo come estensione protesica, che va
– studiato nella storicità della percezione: non basta infatti avere una retina per vedere, perché
il condizionamento culturale ha un ruolo fondamentale. Il nostro occhio quindi è
antropologicamente e culturalmente declinato.
Questo legame fra immagini/medium/corpi risale all'origine della produzione dell'immagine, origini
legate alle diverse pratiche del culto dei morti. A partire da questo bisogno delle immagini sarebbe
possibile costruire una storia delle immagini che si evolve senza continuità fino ai giorni nostri.
Immagine e morte → l'esperienza che facciamo dell'immagine dei defunti ha perduto del tutto
l'importanza che aveva un tempo: l'esperienza dell'immagine era legata a rituali quali il culto dei
morti grazie ai qualiil morto veniva reintegrato nella comunità dei vivi. Le immagini occupano, per
conto del corpo mancante, il posto lasciato vuoto dalla persona morta, perché la comunità si sentiva
minacciata dal vuoto provocato dalla morte di uno dei suoi membri e per questo motivo il vuoto
veniva colmato dall'immagine del defunto. Ma le immagini non esistevano di per sé: esse avevano
bisogno di un supporto (medium) che somigliasse a un corpo. Questa necessità venne soddisfatta
dalla creazione dei media visivi, che assomigliavano nel loro aspetto a dei corpi viventi. Esiste uno
scambio simbolico fra corpo morto e immagine viva: l'immagine del morto interagisce con il corpo
artificiale dell'immagine e con il corpo vivo di chi guarda per creare una presenza iconica opposta e
una presenza corporea.
Iconoclastia → ciò che gli iconoclasti volevano fare era eliminare le immagini dall'immaginazione
collettiva, ma il massimo che potevano fare era distruggere i loro media (le immagini materiali). La
speranza degli iconoclasti era che distruggendo ciò che la gente poteva vedere (immagini materiali),
allora avrebbe eliminato anche le immagini mentali.
Alcune culture avevano l'usanza di consacrare le loro immagini al culto prima di destinarle all'uso
rituale. La creazione di questo tipo di immagini avveniva in due fasi: la prima era quella di
creazione da parte dell'artista, la seconda era la consacrazione cera e propria da parte di un
sacerdote. In questo modo si trasformava (e lo si fa ancora oggi) un medium in un'immagine.
Ombre digitali → non è più l'arte, ma la tecnologia ad avere assunto il compito di imitare la vita. Le
sue analogie con il corpo ci richiamano lo specchio e l'ombra, i media archetipici per la
rappresentazione dei corpi. La tecnologia digitale persegue l'imitazione della nostra immaginazione.
Stiegler propone la distinzione fra:
percezione analitica → in relazione alla tecnologia o al medium
– percezione sintetica → in relazione alla immagine mentale che risulta nella nostra
– percezione.
Ciò significa per prima cosa analizzare un certo medium e in secondo luogo interpretarlo insieme
all'immagine che esso trasmette.
Medium vivente → il corpo è sempre stato se stesso e proprio per questo è stato soggetto a un
costante cambiamento sia nel modo in cui lo si pensa, sia nel modo in cui lo si percepisce. I corpi
sono profondamente modellati dalla loro storia culturale e si dividono in:
corpi che rappresentano → quelli che esibiscono se stessi; sono corpi che esibiscono le
– immagini
corpi rappresentati → immagini indipendenti e separate che raffigurano dei corpi; sono corpi
– che percepiscono le immagini dall'esterno.
I corpi esibiscono le immagini quanto essi ne percepiscono dall'esterno.
Presenza iconica → le immagini sostituiscono l'assenza del corpo con una presenza iconica, che
mantiene l'assenza del corpo trasformandola in assenza visibile (presente assenza).
La visibilità del corpo viene delegata volentieri alle immagini, che hanno comunque bisogno di un
medium adeguato per essere visibili.
Mixed media → raramente i media compaiono da soli, ma spesso vengono mixati, agendo come
intermediari non solo fra immagine e corpo ma anche fra loro, dal momento che si citano,
censurano e si correggono l'un l'altro. Sarebbe quindi più corretto usare il termine intermedialità,
che mixed media.
Immagini tradizionali? → i ruoli assegnato a immagine, medium e corpo sono cambiati nel corso
del tempo, ma la loro interazione è sempre costante. Il medium ha sempre attirato l'attenzione
perché, nonostante la sua polisemia e polivalenza, è più facile da individuare, mentre il corpo viene
analizzato sempre in secondo piano perché considerato l'opposto delle moderne tecnologie.
Manovich sostiene che nell'epoca digitale le immagini tradizionali non esistano più. Oggi non
possiamo parlare delle immagini solo in un senso, ma dobbiamo classificarle a seconda dei loro
corpi/effetti, perché le immagini che usiamo per scopi conoscitivi sono diverse da quelle che si
rivolgono alla nostra immaginazione.
È quindi importante porre nuova enfasi sui corpi come media viventi, in grado di percepire,
ricordare e proiettare immagini. Le immagini so