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Il ruolo dell'immagine nell'epoca contemporanea
In epoca contemporanea si assiste al proliferare di molte discipline della parola, in primis la semiotica, che si legano all'immagine in virtù del fatto che, a causa di una sempre più spiccata individualizzazione della produzione artistica e del venir meno dell'universo simbolico condiviso, si rende necessaria la presenza di interpreti che consentano all'opera d'arte di comunicarsi. Questo dimostra che l'immagine non si impone più esclusivamente per mezzi propri e che conosce un indebolimento della sua forza comunicativa, complice anche lo smaterializzarsi delle opere d'arte a causa della riproducibilità tecnica a favore di un unico universo delle immagini, dove però vengono smarriti i valori tattili degli oggetti, che da quadri o sculture che erano si ritrovano trasformati in segni, unità astratte prive di spessore. Tale metamorfosi non è una trasformazione felice, in quanto l'immagine per sua
stessa natura non è assimilabile al segno: esse infatti non partecipano delle strutture dei segni (doppia articolazione, opposizione paradigma/sintagma), non ne condividono alcune peculiarità (non sono passibili di traduzioni, non sono scomponibili, non fanno riferimento ad un numero finito di segni, non obbediscono ad una logica univoca) ma si presentano al contrario senza soluzione di continuità e suscettibili di arbitrarietà a seconda della sensibilità soggettiva di chi le osserva. Un'immagine è enigmatica per natura, non può essere portatrice di alcun enunciato preciso. L'indebolimento della capacità di trasmissione simbolica delle immagini rappresenta un punto di forte differenza rispetto alle epoche precedenti, in cui una comunità condivideva il medesimo universo simbolico di riferimento in virtù del quale le immagini si comunicavano in maniera diretta, attiva e senza la necessità di intermediari.simbolo era in origine un segno di riconoscimento, che aveva la funzione di superare le distanze spaziali e temporali al fine di ripristinare antiche relazioni di fiducia reciproca: esso costituisce una ricongiunzione. Da tale funzione deriva il valore benefico dell'immagine, in quanto, appunto, simbolica. Tuttavia, la funzione simbolica per esplicarsi implica la presenza di un terzo, detto terzo simbolizzante, che permette all'immagine di ristabilire la relazione di appartenenza reciproca fra coloro che guardano l'immagine stessa. Perché vi sia trasmissione simbolica è quindi necessario che vi sia a monte un'assenza, una mancanza cui porre rimedio. Si instaura tra ciò che è guardato e colui che guarda un differenziale che è prerogativa dello sguardo sacrale o magico (dove sacro qui eccede il significato di religioso). La desacralizzazione delle immagini all'interno del visivo contemporaneo indica che l'immagine.anziché aprirsi ad altro da sé disconosce l'altro e persino la realtà stessa. Il risultato è un flusso continuo di immagini che sono prive di qualsiasi significazione, ripiegate su se stesse, e che per colmare questo vuoto devono per forza eccedere nella comunicazione, in una sovraesposizione segno della loro debolezza significativa. La crescente personalizzazione, sia nell'arte che in politica, per cui l'aura si trasferisce dall'opera d'arte o dall'idea all'artista e al politico, procede di pari passo con la desimbolizzazione delle immagini: ossia, meno si trasmette, più si deve comunicare.
Il termine "sacro" indica una subordinazione ad un valore; la desacralizzazione dell'arte nasce dalla mancata subordinazione a tale valore, per cui l'arte "pura", che esiste unicamente per se stessa, in maniera autosufficiente, finisce per risultare inospitale e fredda, qualcosa con cui è
difficilestipulare un’alleanza – il contrario pertanto della ricongiunzione. Ne scaturisce una sterilizzazionedello sguardo e una refrattarietà crescente in colui che guarda. L’autorefenzialità dell’arte (di cuil’autocitazione è un sintomo emblematico) rappresenta la fase crepuscolare dell’arte stessa, quellache prelude alla sua morte. “Là dove non ci sono più dei, regnano gli spettri” (Novalis).
A differenza dell’arte occidentale, in Estremo Oriente l’arte era vista anche dai più grandi pittoricome un passatempo al tempo stesso materiale e spirituale, da vivere nell’intimità. La più grandeminaccia per l’arte è la coscienza di sé; per evitare di cadere preda del suo stesso narcisismo essadeve amare qualcosa di diverso da se stessa, la sua attenzione deve essere distolta dalla sua propriaessenza. Questo costituisce la grandezza delle opere
religiose che sopravvivono nel tempo. L'arte contemporanea si propone di oltrepassare la frontiera tra l'arte e la vita, risalendo a monte della biforcazione selvaggio/civilizzato, superare la "frattura semiotica" sopprimendo l'opposizione dentro/fuori, reintroducendo l'indice nell'icona, inserendo l'oggetto nel suo simulacro. Tale procedimento sembrerebbe voler riportare l'arte ad uno stadio primitivo (è appunto nella magia primitiva che non si fa distinzione tra la parte e il tutto, tra il soggetto e l'oggetto. Tuttavia questo tentativo cerca di coniugare i due estremi opposti della comunicazione – l'indice e il simbolo – che finiscono per annullarsi sminuendo la forza dell'opera. Si vorrebbe acquisire tramite lo sforzo intellettuale minimo il senso più articolato, cogliere allo stato selvaggio il fine ultimo. Nonostante la contraddittorietà irrisolvibile che ne costituisce il punto di partenza,
L'arte contemporanea rimane comunque al riparo da eventuali critiche, in quanto in assenza di canoni generalizzati, non esistono criteri in base ai quali l'arte possa essere giudicata. Ciascuno vive della propria autorefenzialità, secondo un'individualizzazione (tipica non solo dell'arte ma di tutta la società) che fa venire meno il terreno comune su cui si muove la comunità. È come una lingua parlata non da un gruppo ma da una singola persona. La privatizzazione dello sguardo porta alla desimbolizzazione dell'immagine e alla morte dell'arte tout court.
Capitolo 3 - Il genio del cristianesimo
La tradizione delle immagini in Occidente discende dall'introduzione all'interno del monoteismo ebraico del dogma dell'incarnazione, che consente la rappresentazione materiale dell'irrappresentabile, ovvero della natura divina. A differenza degli altri monoteismi, iconofobi per natura e iconoclasti in certi momenti.
della loro storia, il cristianesimo circoscrive l'unico ambito monoteistico in cui le immagini anziché essere considerate quali accessori decorativi, superflui rispetto all'essenziale, divengono strumenti al servizio della vita interiore del fedele. Il dio ebraico dell'Antico Testamento si mediatizza attraverso la parola, unica fonte di verità. L'occhio nella Bibbia, diversamente da quanto accadeva nella cultura greca, è un organo associato al peccato e alla concupiscenza carnale, l'immagine ha una natura in qualche modo femminile. Anche in ambito cristiano i fustigatori delle immagini come Tertulliano e Calvino si contraddistinguono per la duplice persecuzione delle immagini e della civetteria femminile, fornendo una conferma del duplice legame tra le categorie immagine/donna, linguaggio/uomo/padre. L'iconoclasta attraverso la persecuzione e la distruzione delle immagini mira a fustigare la sua stessa carne. La legittimità delleimmagini in seno al cristianesimo è stata sancita dal II Concilio di Nicea nel 787. Le due fazioni che si fronteggiavano erano costituite dagli iconoclasti, prevalenti nel clero secolare, nella corte e nell'esercito, e dagli iconofili, più numerosi nel clero regolare. Non costituisce idolatria venerare le immagini di Cristo, della Vergine e le icone dei santi perché non si adorano le loro effigi ma i prototipi che stanno dietro di esse. L'avallamento delle immagini ribalta il primato della parola sull'immagine proprio dell'ebraismo e attesta l'influenza della cultura greca in ambito cristiano. Cristo e la Vergine sono i mediatori tra Dio e l'uomo. L'incarnazione rappresenta il punto d'inizio di una lunghissima proliferazione d'immagini animate dalla funzione mediatrice tra il visibile e l'invisibile. Vengono rimosse le barriere che tenevano separate il mondo spirituale ed invisibile dal mondo materiale, lamateria diventa il prolungamento dell'essenza divina, l'anima trova nella forza salvifica e santificante delle immagini uno strumento che la aiuta a liberarsi dal peccato, non costituendo la loro venerazione idolatria. Ciò ha consentito alla Chiesa cattolica romana di aprirsi alle tecniche profane delle immagini e di sviluppare in questo campo una tradizione ricca e duratura nei secoli, che prosegue ancora oggi come ben testimonia l'adattamento della Chiesa ai nuovi mezzi di comunicazione nel secolo del visivo, in particolare rispetto alle chiese cristiane riformate che privilegiano al contrario la parola e discendono da una tradizione tendenzialmente meno favorevole al culto delle immagini.
La persona di Cristo è l'emblema della rappresentazione in quanto incarna il binomio Uomo-Dio, Verbo-Carne: egli rispecchia in pieno la natura ibrida dell'immagine, in perenne oscillazione tra materia e idea. Così come l'eucarestia è qualcosa
di più che un pezzo di pane, l'immagine è più di una tela colorata. L'operazione estetica mette in scena la transustanziazione della materia in spirito. Tutta la storia dell'arte ruota intorno a questa biforcazione tra spirito e materia, e nei secoli si ripropongono in campo artistico le stesse fazioni che si sono combattute intorno al dogma dell'Incarnazione: monofisiti da una parte contro nestoriani dall'altra, coloro che privilegiano la parola e lo spirito (e quindi un'arte geometrica, astratta e intellettuale) contro coloro che propendono per la materia e per un'arte più carnale e sensuale. Questa linea di demarcazione nel diverso atteggiamento in relazione all'Incarnazione e alle immagini è ravvisabile anche nelle differenze esistenti tra chiesa romana e chiese riformate, le quali sono meno benevole nei confronti delle immagini, viste talvolta alla stregua di idoli, e allo stesso tempo perseguitano conmaggiore forza il peccato carnale. Laddove è accettata come transustanziazione del pane nella carne di Cristo, si ha una tradizione iconografica meno castigata, vissuta in maniera più sensuale, cosa che si ripercuote poi sul vivere sociale in generale.