vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
DEGAS E L’IMMAGINE ISTANTANEA
Nel libro ‘Arte e fotografia’ Aaron Scharf dedica una sezione all’arte di Degas, considerato il più
“fotografico” degli impressionisti tanto da coniare l’espressione “occhio fotografico” di Degas. I suoi
quadri riproducono la realtà istantanea, come una fotografia. Da precisare: per scattare immagini
istantanee servono tempi di esposizione molto brevi e questa tecnica si è sviluppata nel tempo, quindi
all’inizio non si potevano scattare foto istantanee o fotografare nitidamente un movimento. Il problema
dell’istantaneità è stato risolto nel 1860. Degas non era un semplice imitatore delle fotografie istantanee:
egli le adottò come nuove regole pittoriche nelle raffigurazioni della vita quotidiana. La carriera del
pittore combacia quasi perfettamente con il periodo di fioritura della fotografia istantanea. Egli era
molto interessato alle foto e se ne serviva; ne sono prova una gran parte dei suoi quadri, tra i quali ‘le
foyer de la danse’. Fu uno dei primi artisti a rendersi conto quanto la fotografia poteva insegnare al
pittore. Questo accostamento di foto e pittura fu però motivo anche di molte critiche: chi lo definiva
‘buon disegnatore ma certamente non pittore’ e chi riteneva che ‘un abile fotografo avrebbe ottenuto
senza difficoltà una combinazione analoga’ riferendosi ai suoi quadri.
Degas seppe fare della fotografia un uso intelligente, sfruttandone le proprietà per migliorare i suoi
quadri e per dargli un aspetto diverso, istantaneo appunto. Siamo certi che dopo il 1890 possedesse una
macchina fotografica con la quale fece molto fotografie. Un esempio di come abbia influito l’uso della
fotografia nella sua arte è verificabile nei quadri raffiguranti corse di cavalli: nei primissimi quadri le
figure non erano tagliate, in tutti quelli dopo invece una parte del corpo è tagliata fuori dalla cornice.
Non passò molto tempo e furono inventati degli apparecchi con quindici o più obiettivi in grado di
riprendere una serie di pose diverse. Poi arrivarono il fenachistoscopio, lo stroboscopio, lo zootropio che
rendevano meglio l’idea del movimento.
Un contributo importante dato dalla fotografia (in particolare dalle foto di Muybridge) fu quello di
individuare i corretti movimenti del cavallo. Da qui Degas attinse nuovi saperi per dipingere in modo
corretto le posture dell’animale in movimento.
Degas fu inevitabilmente accusato di mancanza di stile, come tutti gli artisti che lo succedettero e lo
imitarono. Egli cercava infatti di trasformare la fotografia, di darle una logica pittorica ma la forza della
fotografia sta proprio nella mancanza di logica.
FOTOGRAFIA E RAPPRESENTAZIONE
Roger Scruton è un filosofo che si occupa di arte e di estetica. Egli considera la fotografia come un’arte
non rappresentativa, perché non è in grado di produrre rappresentazioni. Affinché ci sia una
rappresentazione occorre infatti che la relazione tra atto creativo, atto intenzionale dell’artista e opera
prodotta sia libera di vertere su qualsiasi soggetto. Il requisito fondamentale è la libertà della creazione e
la fotografia non possiede questo requisito. Una foto è sempre una foto di qualcosa e non può essere
considerata arte. La domanda da cui bisogna partire per capire questo discorso è: la fotografia è in grado
di rappresentare qualcosa? Anche se sembra strano, la risposta è che non ne è capace. Quando vedo un
quadro, non devo credere che ciò che vedo esista realmente. Il pittore ha libertà assoluta nel dipingere,
può disegnare ciò che la sua fantasia gli ispira; il fotografo no. Capire un dipinto comprende capirne in
pensieri che l’artista vuole comunicare. Descrivere un dipinto significa descriverne le caratteristiche
visive e fornirne un’interpretazione. Guardare una fotografia è anche più semplice: è un altro modo per
guardare la cosa stessa. Non si posso fotografare soggetti inesistenti, frutto dell’immaginazione: la foto
di una persona ci dice che quella persona esiste o comunque è esistita e nella realtà è grosso modo come
nella foto.
Guardando una foto noi sappiamo che ciò che stiamo guardando è avvenuto per certo e di conseguenza
il nostro atteggiamento sarà quello di curiosità ma non alla foto bensì al suo soggetto. La foto si rivolge
al nostro desiderio di conoscenza del mondo. La differenza tra foto e dipinto è che un dipinto può essere
bello anche se il suo soggetto è brutto, una foto no. Questo vuol dire che le qualità emozionali ed
estetiche della foto derivano dalla qualità di ciò che “rappresenta”: se la foto è triste è perché il soggetto
è triste, se la foto è interessante è perché il soggetto è interessante e non perché ha un modo di
rappresentazione interessante.
Il concetto che si deve comprendere per capire perché la fotografia non è un’arte rappresentazionale è
l’intenzionalità. La foto possiede una certa intenzionalità, per capire la si può paragonare a quella di uno
specchio. Quando vedo qualcuno in uno specchio vedo lui, non la sua rappresentazione. La situazione
non cambia se lo vedo in uno specchio deformante. La specchio non può dare una rappresentazione,
perché è legato da rapporti causali al soggetto. La questione è analoga a quella della fotografia. Arti
rappresentazionali sono invece la pittura e la letteratura, che sono espressione di un pensiero.
LA FOTOGRAFIA MESSA A NUDO DAI SUOI ERRORI, ANCHE
Clement Cheroux è l’autore di un singolare saggio sulla fotografia: “L’errore fotografico”. L’errore
viene rivalutato, non deve essere un limite ma un criterio mediante cui ripensare la fotografia. Solo
attraverso la politica dell’errore il difetto può diventare risorsa, rinnovamento.
Due artisti che si sono cimentati negli errori fotografici sono stati Man Ray e Moholy-Nagy che hanno
sperimentato esempio l’auto-ombromania ovvero la proiezione involontaria della propria ombra sul
soggetto della foto. Nel Rinascimento questo uso dell’ombra era considerato errore. Si può dire che
quasi tutta la gamma di errori (esempio: flou, oscillazioni, deformazioni, riflessi, sovrapposizioni) del
primo secolo della fotografia ha subito un identico rovesciamento con l’epoca moderna, quando
vengono considerati come le più audaci proposte per la fotografia. L’epoca moderna ha infatti come
motivo ispiratore il “disprezzo delle regole” che comporterà uno sconvolgimento dei valori. Le
avanguardie hanno quindi adottato delle forme visive da sempre giudicate errate.
Moholy-Nagy ce ne ha lasciato testimonianza sia con le sue foto che con i suoi testi che rivelano il suo
interesse per gli errori del medium. Egli scrive “il nemico della fotografia è ciò che è convenzionale” e
“la salvezza della fotografia sta nella sperimentazione”. L’errore è straordinariamente fecondo, è uno
strumento di conoscenza e costituisce un’ottima base per una nuova grammatica visuale. Egli ha
volontariamente proiettato la sua ombra nelle sue foto, per ricordare che dietro al dispositivo tecnico c’è
un operatore. Li ha così riportati sullo stesso piano.
Egli ebbe molti seguaci continuarono le sue sperimentazioni, esplorarono anche in maniera più
sistematica del maestro facendo libero del medium e di tutti i suoi difetti.
ARTIFICIO DIGITALE
Claudio Marra analizza la relazione tra foto e arte nel XXI secolo prendendo in esame il rapporto tra
fotografia digitale e analogica. Il secolo appena concluso ha portato profondi cambiamenti nell’arte
ridefinendola in gran parte. Il 2000 ha introdotto l’espressione ‘2.0’ che sta ad indicare un uso del web
nuovo e differente dagli anni novanta. Il web è diventato più interattivo dando vita a fenomeni come
blog, chat e forum. La dialettica natura-artificio in questi anni ha in particolare coinvolto la ricerca
fotografica. Qual è il destino della fotografia nel momento in cui avviene il passaggio da analogico a
digitale? Molti autori han parlato di rivoluzione o di morte della fotografia pensando che il sistema
digitale abbia annullato il principio della foto come un qualcosa di materiale, diretta, fedele alla realtà.
Nella fotografia digitale l’importa materiale è sostituita da una sorta di memoria-volatile (il processo
digitale si fonda su un alfabeto numerico binario). Quindi verrebbe a mancare il principio di prova e di
verità. Dall’altra parte si è pensato che il passaggio al digitale abbia risolto una questione aperta da anni,
quello dell’autorialità. Conta la macchina o conta l’autore? Il digitale avrebbe distrutto quel principio di
referenzialità diretta e avrebbe messo tutto o quasi nelle mani dell’operatore, aprendo spazi di creatività.
In realtà affermare che il digitale rende l’uomo libero davanti alla macchina fotografica significa poco o
nulla. Il problema è assai più complesso perché il senso dell’arte non sta nel suo linguaggio (analogico o
digitale). L’autentica e unica novità portata dal digitale è il 2.0 per cui linguaggio scritto visivo e sonoro
sono stati affiancati. Fenomeni dominanti come Facebook, Twitter e i blog sono un’evoluzione del diario
pubblico di poeti degli anni 90. Il termine blog è la contrazione di ‘web log’ cioè ‘diario in rete’.
Parte seconda: 2. Fotografia come mediazione.
LA FOTOGRAFIA: UN BORDELLO SENZA LIMITI.
Marshall McLuhan considera la fotografia come uno strumento che ha permesso il passaggio da uomo
tipografico a uomo grafico. Questa conoscenza apre nuovi paesaggio dell’IO da esplorare. La foto è un
medium particolarmente adatto a integrasi ad altri media, vecchi e nuovi. Egli considera il corpo come
una metafora (‘portare oltre’) e l’elettricità come un medium. Il medium non può mai essere studiato in
modo isolato: come faccio a studiare il cinema? Mettendolo a confronto con la scultura. Medium è tutto
ciò che si pone tra me e la realtà. Quindi esempio anche degli occhiali. Egli vede il mondo come un
villaggio globale in cui tutti sono in contatto con tutti. Al giorno d’oggi una donna può avere
nell’armadio il meglio di cinque o sei nazioni restando nella sua: la moda è paragonabile a quello che in
pittura è il collage. La foto è entrata in ambiti prima inaccessibili come la fisica nucleare che ora non
potrebbe più farne a meno.
L’alfabeto fonetico era un messo tecnico per scindere la parola perlata