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III) L’empatia è quel meccanismo che consente di cogliere l’altro del tutto analogo a me stesso sul piano
psicofisico. Empatizzare è riconoscersi come appartenenti a un tipo comune, è una modalità tramite la quale
ricostruire con l’immaginazione l’esperienza altrui, mentre simpatizzare significa ritenere le pene altrui
eccessive e immeritate.
Rousseau, Emile: l’immaginazione tende a porci al posto del miserabile piuttosto che a quello dell’uomo
felice. La pietà è dolce poiché, se ci mettiamo al posto di colui che soffre, sentiamo però il piacere di non
soffrire quanto lui. Il cuore dell’uomo si lascia andare spesso a fare del bene, eppure è lo stesso Rousseau
ad affermare che l’uomo è anche in grado di coltivare il disinteresse per la sofferenza = limite estremo
dell’esercizio di autopreservazione. Per provare compassione nei confronti di un individuo sono necessari gli
elementi della non-colpa, discolpa, estraneità, innocenza (la tragedia e la deresponsabilizzazione dell’eroe,
verso il quale va la nostra simpatia poiché ci riconosciamo esposti alle stesse possibili disgrazie).
IV) Hume: non è contro ragione che io preferisca la distruzione del mondo intero piuttosto che un procurarmi
un piccolo graffio / che io scelga la mia totale rovina per risparmiare il più piccolo dolore a uno sconosciuto.
Smith: non sono la ragione e il cuore a dettare l’ultima parola ma l’uomo interiore, il nostro io più intimo,
spettatore informato e disinteressato. A differenza di Rousseau – il quale ritiene si possa provare
compassione solo per chi ci è simile – Smith spiega come l’estraneità non inibisca la compassione: la pena
non ha confini di casata/specie.
V) Poussin, Paysage au serpent: in uno scenario campestre un serpente mostruoso avvolge una donna e la
trascina nelle acque; fra i personaggi alcuni assistono terrorizzati, altri sono inconsapevoli – e dunque i più
esposti al pericolo. La scena terribile è gratuita, non è inserita in un contesto che la giustifichi; eppure la
rappresentazione nell’insieme la rende sopportabile (il tutto anche grazie ad un paesaggio che “distrae” il
fruitore). Crediamo che ciò possa realmente capitare, ma non crediamo possa capitare a noi. I personaggi
del quadro ci somigliano; non possiamo perciò fare a meno di simpatizzare con loro (siamo quasi tentati di
urlare loro “fuggite!”).
Rappresentare il limite
I) Per quanto possa essere passivo, lo spettatore non è mai estraneo all’opera. Lo spettatore attivo è
consapevole del fatto che fruire significa percepire il mondo diversamente da come si presenta; uno
spettatore che si libera dal quotidiano o per evaderlo o per viverlo nell’arte con uno sguardo catartico. Il
fruitore è co-creatore, poiché completa l’oggetto artistico dandogli un senso e un valore (il tutto chiamando
in causa la distanza e il disinteresse estetici). Nel mondo del teatro, il mondo del “come se”, lo spettatore è
in grado di conservare il proprio buon senso, malgrado la più viva emozione. Il continuo scambio fra
autopreservazione e pericolo, fra estraneità e coinvolgimento, fa parte integrante della dinamica della
dinamica spettatoriale del limite. Ma cosa succede quando è la realtà ad incarnare il limite? L’impossibilità di
attivare i meccanismi di disinteresse impedisce il godimento puro.
II) G. Steiner: necessità di rispettare il fruitore nel recupero delle facoltà immaginative. La libertà dello
scrittore dipende anche dal genere nel quale si cimenta: più è commerciale più è sottoposto a clichés. Nelle
coercitive esattezze fisiologiche della pornografia non vi è rispetto per il fruitore, le cui risorse immaginative
sono ridotte a zero. Il porno, che spesso sposa il kitsch, può essere effimero, nonché costruito su vocaboli,
situazioni e comportamenti prefabbricati. I testi sono convenzionalizzati, il repertorio fantastico è limitato:
data la conformazione fisiologica del corpo umano, il numero di modi tramite cui raggiungere l’orgasmo sono
finiti. Porno ≠ erotismo: porno puro atletismo, messa in scena l’azione concreta; erotismo racconto in cui è
lasciato spazio all’immaginazione. Nella pornografia è manifesto l’intento di stimolare attivamente il
fruitore:linguaggio crudo, assenza di tratti narrativi, iperrealismo, primi piani reiterati sugli organi sessuali…
III) Baudrillard: il porno vanifica la capacità desiderativa. Ma, contraddicendo Baudrillard, nel caso della
pornografia l’eccesso – anziché allontanare il fruitore – lo attira. La fruizione dell’opera d’arte comporta un
distacco: l’osceno implica invece un rapporto diretto soggetto-oggetto.
IV) De Sade non scioccava per la minuzia con cui descriveva gli atti sessuali, ma per l’atto rivoluzionario
della sua poetica, intrisa di una pedagogia che perverte. Lo stesso Dio di De Sade è un dio perverso, ancor
più dell’uomo e della natura, che odia il primo sino a desiderarne la perdizione. Il piacere di De Sade è tutto
chiuso nella singolarità del gusto individuale: il “genio sadico” non si sottopone più al gusto ma vive per
soddisfare unicamente se stesso.
La pietà non è una legge di natura, ma un lamento dell’uomo debole; legge di natura è il godimento
egoistico: se il dolore viene avvertito più vivamente del piacere, lo choc che deriva dall’aver recato danno
agli altri si ripercuote più energicamente in noi. La crudeltà è l’energia dell’uomo che non è ancora stata
distrutta dalla civiltà: la civilizzazione, stimolando la pietà e la simpatia, ha reso la crudeltà pericolosa,
istituzionalizzando la difesa del più debole.
V) La ragione vuole affrancarsi da Dio: De Sade vorrebbe liberare il pensiero da qualsiasi ragione normativa
prestabilita. La ragione tuttavia, eliminata la propria creatura che è Dio, rischia di distruggersi. Il libertino di
De Sade – colui che possiede al massimo grado l’abilità retorica – si rende insensibile e il godimento apatico
– che consente di fermarsi al mentale – lo fa diventare feroce.
VI) In un romanzo non è facendo trionfare la virtù che si seduce il lettore, è il vizio che cattura l’attenzione:
quando trionfa il bene le nostre lacrime si seccano in fretta, ma quando è il male ad avere la meglio, allora è
inevitabile che il nostro animo ne risulti straziato.
Il libertino non cede all’amore puro, preferisce pervertire il sentimento: ispira nell’altro un amore che però lui
stesso non prova in prima persona, piuttosto si può dire lo reciti. Il libertino è un grande attore che preferisce
l’illusione della passione alla certezza del sentimento. Casanova = esatto contrario dell’uomo di buon gusto,
interprete di tutti i ruoli e vittima di se stesso, libertino che vive nell’attimo del godimento o nell’attesa dello
stesso, il cui erotismo è diretto, semplice e audace. Casanova vede la propria fine solo nel momento in cui,
non più giovane, si vede sconfitto dalle sue stesse armi: la bellezza, la gioventù e la sfrontatezza (la giovane
Charpillon).
VII) Rousseau viene annoverato fra i padri di un gusto barbaro. L’arte non è solo impotente davanti alla
corruzione dell’uomo, ma è anche colpevole: l’arte e il teatro diventano un comodo mezzo per pagare il
debito nei confronti della virtù, basta una lacrima versata a teatro per assolversi dei crimini perpetrati
dall’uomo. Questo è l’atteggiamento dell’uomo di cattivo gusto. Esercitare i sensi, l’immaginazione e la
ragione e giungere ad un giudizio che si riconosca condivisibile e il compito dello spettatore di buon gusto. Al
posto del teatro corrotto, dei piaceri esclusivi che sono morte del piacere, Rousseau propone un teatro che
sia vero divertimento e che si condivida con il popolo. Scopo delle feste è educare, istruire, divertire a fronte
di una programmazione sicura e guidata.
VIII) Rosenkranz: l’eccesso che porta al paradosso, alla caricatura, sfocia nel riso. Ma nella pornografia
esagerare il banale significa fallire lo scopo: il porno deve favorire l’immaginazione e il voyeurismo, nella più
totale inibizione dell’autocontrollo. De Sade è paradosso senza caricatura, la lettura delle sue pagine dà un
senso di soffocamento, dolore e nausea. Necessario attivare un atteggiamento di apatia salvifica.
IX) Bataille: legame erotismo – morte – desiderio. De Sade riconduce l’arte all’utile, Bataille ad un inutile
eccesso.
In entrambi i casi tuttavia uno è il fattore comune: il lusso. Oltre all’erotismo dei corpi, c’è l’erotismo del
sacro: quando l’uomo ha la tentazione di arrestarsi al piacere limitato, si costringe all’interno di un limite che
è chiusura e angoscia. La gioia si raggiunge solo con l’eccesso e la mescolanza di orrore e piacere.
X) Madame Edwarda: un testo in cui il pornografico si veste d’attrazione e disgusto come il corpo di
Edwarda: la bellezza, negata all’estremo, viene riconfermata nel disgusto. Edwarda è una prostituta sifilitica
e vicina alla morte che si concede per estremo dolore/piacere; il disgustoso e il degradante si mischiano alla
seduzione e all’eccitazione.
Sesso e morte: i tabù sono messi in scena l’uno nell’altro.
XI) Entra in crisi l’identificazione sacro-morte-gravità, sesso-generazione-leggerezza. Edwarda incarna
l’assoluto, il sacrificio, il quale ha due aspetti: uno del bene e della purezza, uno del male e dell’orrore.
Il divino non è il contrario del male e del brutto, ma della cosa; il sacrificio – sottraendo la vittima al mondo
delle cose – è atto divino; togliere la cosa alla cosa = disinteresse l’arte è la distruzione dell’oggetto che
viene introdotto alla libertà della vita “altra”.
XII) La conclamata intenzione della pornografia di stimolare sessualmente il fruitore è una sorta di
proselitismo: la pornografia mira ad eccitare nello stesso modo in cui libri estremamente religiosi mirano a
convertire.
Il senso di umanità è il risultato della relazione fra orrore e attrazione a cui si legano sensibilità ed
intelligenza. Vergogna e pudore segnano il limite fra umano e bestiale.
XIII) L’ottusa magnanimità della nostra abitudine all’orrore è uno scacco all’uomo: all’orrore non ci si può
abituare. Stessa cosa vale per la pornografia. La ripetizione prefabbricata di De Sade ricorda certi parti