Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Nella seconda metà del 900, parte dell’estetica anglosassone concentra la sua attenzione
sulla domanda: gli oggetti artistici sono strumenti cognitivi? Di norma la risposta è
positiva: secondo la tesi cognitivista abbiamo che gli oggetti artistici stimolano l’attività
cognitiva; l’attività cognitiva è parte del funzionamento artistico; il risultato della
stimolazione è che impariamo dagli oggetti artistici. Goodman afferma che l’arte e la
scienza hanno un obiettivo comune, ossia la cognizione degli oggetti dei quali facciamo
esperienza. A questo punto, dagli anni 80 del 900 parte una ricerca scientifica sui
neuroni-specchio: il lavoro di Rizzolatti è importantissimo, perché esprime che la
corteccia del cervello del macaco è caratterizzata dalla presenza di neuroni che sono
attivi quando il macaco fa qualcosa, ma anche quando vede un altro animale far
qualcosa. Zeki chiama neuro estetica lo studio che integra le ricerche sull’estetica e
sull’arte con le ricerche sull’attività cerebrale. L’artista quindi viene visto come uno
studioso dell’attività del cervello visivo; l’arte allora può essere vista come una
dimensione importante di ricerca sul cervello! Gallese si concentra sulla verifica delle
possibilità di comprendere un qualcosa di esterno, attraverso un qualcosa di interno;
Maffei esplora la relazione fra attività cerebrale e esperienza artistica; Freedbarg si
concentra sull’empatia. § Vitalismo e pragmatismo
La riflessione sulla vita porta a diverse ricerche:
- Vitalismo di Guyau, Bergson, Ravaisson
- Riflessioni in area tedesca di Dilthey e Simmel
- Riflessioni in area spagnola di Unamuno
Con Guyau la vita diventa il centro della riflessione estetica e dell’arte; ammiratore di
questo pensiero è Nietzsche, che spiega che l’effetto del voler vivere è un dispiegamento di
potenza che coinvolge l’emozione estetica. Nietzsche pensa che la vita abbia un ruolo di
vitale importanza,anche se spesso contraddittorio. Secondo Guyau, la vita è il fine
dell’arte, che si rivela nei sentimenti; ma la vita è anche principio in grado di realizzare
un superamento attivo da soggetto ad oggetto. Bergson non elabora una vera e propria
estetica, ma implicitamente la sua filosofia si può considerare estetica: l’estetica qui
diventa una mistica intuizione di un divenire. Secondo Bergson, gli estremi si toccano
nell’unità della vita, unità che si può cogliere solo grazie all’intuizione. La vita diventa
arte quando esprime al meglio tutto quello che c’è di attivo. La durata è un flusso
inarrestabile di elementi eterogenei che si compenetrano: l’artista è dunque un
privilegiato. Simmel afferma che la vita è disarmonica e contraddittoria, è un continuo
divenire: la forma è un limite, perché la forma individualizza il contenuto della vita, lo
stacca dal divenire e lo fissa, lo limita in un significato. C’è una sintesi fra forma e vita: è
la sintesi che si trova nell’esperienza, nella concretezza sensibile. La sintesi diventa un
trascendentale dell’inafferrabilità, una categoria, un a priori; solo all’uomo è concesso di
costruire la sintesi per poi distruggerla. L’opera d’arte ha la funzione di configurare la
sintesi degli opposti coi sensi. Unamuno pensa che la forma è caos; la filosofia è la
scienza della tragedia della vita. La vita è sia un insieme di funzioni vitali fisiche o
psichiche, sia vita intima, profonda, vita creatrice, metamorfica, attiva e dinamica: vi è
quindi nella contraddittorietà della vita un presupposto, quello della libertà. Dewey
scrive nel 1934 “Arte come esperienza”: l’esperienza diretta deriva dalla natura e
dall’uomo, che interagiscono l’uno con l’altro. Nell’esperienza, importante è l’
“espressione intensificante”: mentre il filosofo ricorre all’esperienza per comprendere
l’esperienza stessa, l’esperienza estetica è esperienza nella sua integrità. Si ha
un’esperienza quindi estetica, quando nel soggetto e nell’oggetto si combinano il passato
e il futuro. L’esperienza estetica, in definitiva, è la vita umana nella sua integrità. Il
problema per Dewey adesso è un altro: quando gli oggetti estetici vengono isolati, si
ricoprono di uno strato, che li rende impenetrabili. Bisogna quindi togliere questo strato,
quest’alone indipendente. Se la concezione prevalente è quella dualistica, allora prende il
sopravvento la visione esoterica dell’arte che potrebbe scavalcare questo alone. Dewey
vede nei musei la testimonianza della nascita del nazionalismo e dell’imperialismo: ogni
capitale deve avere il suo museo, di pittura, scultura, ecc. l’artista è meno integrato di
prima nella società: bisogna che l’esperienza estetica diventi una celebrazione della vita
di una civiltà. E l’arte assume un compito educativo importantissimo, perché forma il
linguaggio universale. Quando le riflessioni di Dewey incontra l’estetica analitica, ecco
che si forma l’estetica pragmatistica: si concentra sullo statuto dell’oggetto artistico, e
con sugli studi dell’esperienza estetica. Gli eredi di Dewey, così, sono filosofi analitici
aperti al pragmatismo: per esempio, Goodman, Margolis, Rorty, che usa il pragmatismo
come strumento di negazione (critica la domanda sulla verità e sulla capacità
conoscitiva), Shusterman che sposta la sua attenzione sulla filosofia pragmatistica e da
importanza alla totalità delle esperienze artistiche e alla totalità degli individui.
§ Estetica analitica
L’estetica analitica nasce in modo faticoso, perché è fondata sulla divisione del linguaggio
dichiarativo e di quello non dichiarativo. I primi studiosi introducono l’estetica nella
filosofia anglosassone; la svolta è di Wittgenstein. L’estetica analitica inglese e quella
statunitense hanno caratteristiche diverse:
- legata alla tradizione di analisi del linguaggio (Wittgenstein)
- legata alla tradizione del linguaggio ideale ( Wittgenstein e empiristi)
Il filosofo delle lavorare sulla grammatica estetica, l’analisi grammaticale. L’estetica
inglese difatti lavora sulla grammatica, quella statunitense invece lavora alle relazioni di
coerenza che regolano la grammatica del linguaggio estetico. E qui si incontra la filosofia
di Wittgenstein con il pragmatismo statunitense: si avvia un processo importante ed
innovativo, continuo e rapido. In Italia il ritardo non sorprende: l’estetica analitica è
caratterizzata dal rigore, con in primis l’obiettivo di distinguere la retorica filosofica da
quella letteraria; la selezione di argomenti specifici; l’interesse non storico, non
ricostruttivo, teoretico. Il nocciolo è che vi è una tensione antiessenzialistica: l’arte non si
può definire, perché la definizione varia col variare delle relazioni con altre condizioni.
Weitz, ne “Il ruolo della teoria in estetica” del 1956, afferma che è falsa la tesi secondo
cui l’arte è definibile in modo reale. L’arte non ha un insieme di proprietà sufficienti,
quindi è impossibile anche l’esistenza di una teoria che la riguardi. Dickie afferma la
tesi della teoria istituzionale dell’arte, secondo cui il mondo dell’arte (addetti ai lavori)
determina cosa l’arte è. Riguardo al linguaggio artistico, la riflessione parte ancora da
Wittgenstein: l’arte è un’espressione sentimentale o un’espressione sentita. L’esempio è
quello delle macchie su delle tele:
- In un dipinto vediamo una macchia nera su tela bianca = potrebbe essere che
invece della macchia nera, vi è una macchia bianca estesa su una tela nera poco
visibile?
- In un dipinto vediamo una macchia blu su tela bianca = potrebbe essere che
invece della macchia blu, vi è una macchia bianca estesa, su una tela blu poco
visibile?
Insomma, i dipinti sono rappresentazioni, perché mostrano le relazioni tra sé e sé.
Questa tesi, dell’intransitività della rappresentazione è argomentata da Walton, secondo
cui l’arte astratta è rappresentativa perché fa vedere un oggetto come un altro oggetto.
L’immaginazione è il concetto base della sua riflessione: una rappresentazione è oggetto
che ha il potere di agire da simulacro in giochi di simulazioni. Goodman, nei suoi “I
linguaggi dell’arte” del 1968, ragiona su questo concetto di rappresentazione. I risultati
del pensiero di Goodman sono:
- la critica contro il concetto di imitazione;
- l’argomentazione del potere costruttivo dei linguaggi artistici;
- la simbolicità dei linguaggi artistici;
- la specificità dei linguaggi artistici rispetto a quelli scientifici;
- l’argomentazione del potere cognitivo di tutti e due.
Sibley scrive “Concetti estetici” nel 1959, afferma che le parole estetiche e i concetti
estetici caratterizzano l’esperienza.
§ Fenomenologia ed esistenzialismo
Il fondatore della fenomenologia è Husserl; mentre l’esistenzialismo non ha un fondatore
acclamato; in realtà vi sono più personaggi che a volte sembrano essere esistenzialisti,
per es. Kierkegaard, Sartre, Jaspers, Heidegger. La fenomenologia di Husserl tocca solo
in parte il problema dell’arte: il principio base è quello della descrizione, che collega un
corpo sensibile ad oggetto del mondo circostante mediante una rete di atti di esperienza.
La riflessione di Husserl rifiuta il soggettivismo psicologico e il attualismo positivistico;
bisogna secondo lui connettere il piacere soggettivo alla costituzione dell’opera. Conrad,
con il suo “L’oggetto estetico” del 1909, ignora l’indagine, perché sarebbe descrizione di
una genesi o un decorso di pensiero; Conrad preferisce studiare le caratteristiche
dell’oggetto estetico, vedendolo come dati in un insieme. Così si può rilevare l’autonomia
e l’invarianza. Vicino a Conrad è Geiger, di cui ne condivide l’impianto oggettivista: il
centro dell’indagine è l’oggetto estetico, come realtà spirituale-reale; la novità in Geiger è
che all’oggetto si arriva mediante atti della fruizione estetica, che Geiger chiama “vissuti”.
Ingarden, allievo diretto di Husserl, sulla scia di Conrad, applica analisi un po’ più
complesse: si occupa dell’aspetto soggettivo dell’estetica; i processi estetici vengono
analizzati guardando al nesso emotivo. Nella sua “Feno