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GIOVINEZZA E STUDI
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Immanuel Kant nacque il 22 aprile 1724. Influsso spirituale importante è quello della madre che lo
mandò al ginnasio su consiglio del pastore Schultz, uomo decisivo per la sua formazione giovanile. Come i
suoi genitori, S. aderiva al pietismo e conosceva bene la filosofia tedesca contemporanea. Nel 1732 entrò nel
C o l l e g i u m F r i d e r i c a n u m, in cui però il principale fine dell’istruzione era l’insegnamento del
latino. L’indottrinamento grammatico-filologico fornì l’impalcatura e la geografia e la scienza naturale erano
escluse. Giudicando a posteriore questo periodo parlò di epoca dell’immaturità intellettuale e della non
libertà morale.
Già nel ragazzo però si vede quella divisione, poi fondamentale, che consiste nella separazione del senso
morale della religione da tutte le sue forme esteriori (dogma e rito). Noto il suo giudizio sul disvalore della
preghiera che mette in luce in cui sembra ricordare la «disciplina fanatica» degli anni giovanili. Nondimeno
riscontriamo il primo t r a t t o d o t t r i n a r i o della sua filosofia - l’antitesi tra religione della moralità e
quella della «richiesta di favore» (pietismo genitoriale: tranquillità, serenità, quiete interiore vs. pietismo
esteriore).
Nel 1740 fu iscritto all’università di Königsberg, e già a questi tempi la sua coscienza intellettuale era tale
da non lasciarsi classificare in nessuna meta esteriore. Sempre in questo periodo si fa vivo in lui il concetto
della s c i e n z a , tanto nella sua generalità quanto nella realizzazione concreta; tra i suoi insegnanti Martin
K n u t z e n fu utile a K. per il suo spirito e per esser stato il primo ad avergli presentato le opere di Newton
(in cui K. Vedrà la via della personificazione della scienza).
Il primo scritto con cui conclude questi anni di studio sono i (1749)
Pensieri sulla vera estivazione delle forze vive
attorno al problema della misura delle forze. C’è al tempo una diatriba in atto: nel tentativo di difendere la
m i s u r a leibniziana della forza si cercava di tenere in piedi il suo c o n c e t t o della forza a cui si opponeva
da un lato la concezione cartesiana «geometrica» della forza (materia e moto sono modificazioni della stessa
«estensione») e dall’altro la prospettiva meccanica newtoniana che vede solo nella descrizione e nel calcolo
dei fenomeni l’unico compito della scienza. Questo problema col tempo si spostò più verso il campo
metodologico generale: un dissidio di fondo nell’i n t e r p r e t a z i o n e dei fenomeni: il primo passo di K. si
configura quindi da subito come ricerca sul m e t o d o della filosofia della natura. Il pensiero kantiano è da
subito rivolto alla c o s a ed ubbidisce solo alla spinta dell’intelletto.
Poco dopo lascia Königsberg ed accetta un posto di precettore in casa di un pastore.
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! II
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Nel 1775 riceve la promozione a di filosofia ed ottiene il permesso di tenere lezioni dopo la difesa
Doktor
del proprio scritto Inizia quindi la sua carriera con
Principiorum primorum cognitionis Metaphysicae nova dilucidatio.
uno scritto di fisica ed uno di metafisica, gli si poneva ormai il compito di caratterizzare entrambe le scienze e
delimitarle.
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! II
GLI ANNI DI MAGISTERO E GLI INIZI DELLA DOTTRINA KANTIANA
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I - IL QUADRO SCIENTIFICO DELL’UNIVERSO. COSMOLOGIA E COSMOFISICA
Nel primo semestre del 1775 tenne corsi di logica, matematica e metafisica. La produzione letteraria dal
56 al 63 è di scarsa misura, ma lascia intuire una nuova padronanza intellettuale. Questo periodo è ancora
una fase di o r i e n t a m e n t o , concetto che lui stesso ha definito in tre significati:
Geografico: punti cardinali in base al luogo in cui sorge il sole;
• Matematico: distinguere le direzione di un determinato spazio in generale;
• (In entrambi questi casi il procedere resta sensibile-empirico);
• Orientamento l o g i c o : in cui si tratta di stabilire il posto di un giudizio o di una conoscenza nel sistema
della r a g i o n e . !
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Il tema a cui si approccia in questo periodo è quello della c o s m o g o n i a , tentativo di spiegazione che
resta vano sin quando non si colgano chiaramente i p r i n c i p i e fondamenti: al posto della determinazione
del cosmo spaziale è subentrata quella del «cosmo intellettuale»: il geografo empirico diventa geografo della
ragione. Quest’epoca della sua vita è quindi atta all’acquisizione di m a t e r i a l e i n t u i t i v o che deve
servire alla base della nuova concezione. Punto per punto si costituisce quindi la visione della totalità del
cosmo visibile. L’indirizzo di fondo dell’indagine kantiana è contrassegnata dal fatto che ha da subito dinanzi
un’unità dell’empirico e del razionale. Quello a cui mira durante questo periodo è l’ideale di un’ampia
«scienza pratica dell’uomo».
Nel 1746 c’è un punto fondamentale dell’evoluzione kantiana. L’Accademia delle Scienze di Berlino aveva
proposto un tema che attirò l’attenzione del mondo filosofico tedesco: «Le scienze metafisiche possono avere
la stessa evidenza di quelle matematiche?». Per K. L’elaborazione di questo tema divenne il punto di
partenza del suo movimento speculativo. La novità è che d’ora in poi non si limita dallo studio di un oggetto,
ma indaga il m o d o d i c o n o s c e n z a da cui l’oggetto è trasmesso al sapere. Il metodo della metafisica
doveva porsi la domanda se è identico a quello della scienza sperimentale o se invece sussiste un contrasto di
principio e ancora, c’è una garanzia che il pensiero, il concetto danno espressione alla realtà effettuale?
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II - IL PROBLEMA DEL METODO METAFISICO
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Entra così il tema della t e l e o l o g i a , K. crede di ravvisare il sistema leibniziano dell’«armonia» anche
nella forma della fisica newtoniana. La sua distinzione è quella tra teleologia materiale e teleologia formale,
«finalismo (esterno)» (Zweckmässigkeit) e «predeterminazione» (finalismo interno). Non dovunque noi notiamo
l’armonizzare delle parti in un tutto e il loro concordare ad un fine comune significa che ciò sia stato
introdotto da un’intelligenza superiore, potrebbe essere benissimo che l’oggetto sia così per sua stessa natura,
condizionato dall’unità originaria di un p r i n c i p i o .
In seguito con la pubblicazione dell’Unico in cui
argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio
resta però un problema: posto che l’ordine è nato dal caos per mezzo di Dio, questo essere deve superare la
resistenza della materia grezza, ma dall’altro lato è inevitabile ammettere tale materia come indipendente: un
materiale dato su cui la forza agente opera: questo procedimento basta a provare un autore di nessi, ma non
della materia stessa: Dio è dimostrato come artefice e non come creatore. Ma in questo modo l’idea della
conformità ad un fine è compromessa: ora entra nel mondo un d u a l i s m o o r i g i n a r i o : esiste quindi un
s o s t r a t o dell’essere che non reca in sé la forma della ragione. Ora non partiremo dunque dalla struttura
del r e a l e e f f e t t i v o per scoprire in essa la volontà somma, ma ci appoggeremo al valere delle v e r i t à
più alte e muovendo da queste tenteremo l’accesso alla certezza di un’esistenza assoluta. Il punto di partenza
non sarà dalle c o s e ma dalle l e g g i n e c e s s a r i e , non nel campo dell’esistenza ma in quello della
possibilità. La differenza si pone quindi tra le «verità di fatto» e le «verità di ragione», le ultime infatti non
sono dipendenti dall’esistente, indicano condizioni valide universalmente: 7+5=12 è una «verità eterna» che
non dipende dalla natura delle cose spazio-temporali.
Traducendo questa visione logica nella terminologia della m e t a f i s i c a leibniziana potremmo dire che
le pure verità di ragione valgono per tutti i mondi possibili, e le verità di fatto si riferiscono al mondo reale. Al
posto della dipendenza «morale» delle cose da Dio egli vuole porre la dipendenza «extramorale»: non vuole
ricavare i propri argomenti dai fenomeni ma appoggiarsi a nessi universali come norme per ogni intelletto
finito e infinito. L’argomento avanzato ha un carattere nettamente a p r i o r i s t i c o . È possibile dunque
pervenire all’esistenza assoluta se noi disponiamo solo di verità ideali? Se non esistessero determinazioni
come spazio e forme, come i numeri, se non esistessero questi c o n t e n u t i d i p e n s i e r o verrebbe a
mancare anche la materia per ogni possibile. Si deve quindi mostrare che togliendo ogni esistenza si
toglierebbe anche ogni materiale del pensato. Ma il nulla preclude la possibilità: se non esiste nulla nulla è
pensabile. Con questo ragionamento però K. ha mostrato che deve esistere necessariamente qualcosa. Una
volta certi di questa esistenza possiamo dimostrare che deve essere unica e semplice.
Non parte dunque dal concetto di Dio, al contrario: comincia con le pure possibilità ideali, col s i s t e m a
d e l l e v e r i t à e t e r n e in generale per poi dimostrare che è necessario postulare un essere assoluto come
c o n d i z i o n e d e l l a p o s s i b i l i t à d i t a l e s i s t e m a . Questo è un preludio al futuro «metodo
trascendentale»: il porre l’esistenza come posizione assoluta sta già nel fatto che senza un tale porre non si
potrebbe comprendere la possibilità della c o n o s c e n z a .
Risponde quindi alla questione dell’Accademia il cui premio spettò a Mendelssohn e a K. il secondo posto
con elogio. !
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K. si rende conto della portata della questione, la cui risposta darà una forma definitiva alla filosofia
superiore. Il metodo per ottenere la massima certezza sarà fissato, come nella scienza. L’idea di Newton è una
modalità differente di allacciare l’universale al particolare. Non prendendo le mosse dal concetto ma
accontentandosi, dapprima, di osservare i dati e l’esperienza: i fenomeni vengono accertati e verificati e solo a
questo punto subentra la questione del concetto. Applicando ciò alla m e t a f i s i c a ci si accorge che i suoi
fatti son differenti da quelli della fisica: qui l’oggetto non è l’esperienza esterna quanto quella interna (non
corpi e movimenti ma atti del volere, sentimenti). Tuttavia il modo della visione non cambia, anche qui si pu&ogr