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Sofista. Non è dunque detto che la correttezza sia un criterio autosufficiente più autentico
del piacere. Una descrizione mimeticamente corretta di una cosa manchevole o cattiva potrebbero sortire effetti
tutt’altro che utili.
Queste e simili riflessioni danno rilievo al complesso rapporto tra un criterio fondamentalmente tecnico del valore
artistico e un criterio invece etico. Questo punto è più chiaro quando si sottolinea che saper riconoscere la correttezza
non è una condizione sufficiente per giudicare ciò che è “bello o buono”. Si continua quindi ad auspicare
un’integrazione di correttezza e utilità nel giudizio critico. Esso si sviluppa seconda questa tripartizione: riconoscere la
cosa, riconoscere quanto sia stata rappresentata correttamente e quanto bene sia stata resa ciascuna immagine.
Tenendo presente questa tripartizione e quella fra i criteri si può dire che il piacere non ha più una funzione diretta,
mentre il ruolo della correttezza viene confermato, come quello dell’utilità.
In più passi l’Ateniese considera la necessità di interpretare il carattere rappresentativo anche dal punto di vista delle
intenzioni del produttore. Questo arricchisce le finalità dei tre criteri che divengono un vero modello di giudizio
estetico. Tutti e tre i criteri vengono studiati sulla base dell’etica( “ciò che l’opera intenda essere”). Il risultato è una
concezione dell’arte mimetica che tiene conto dei due fattori della scelta rappresentativa e della tecnica relativa, ma li
subordina entrambi a una considerazione prevalentemente etica della forma e del significato. Riemerge allora la
posizione del III Libro della Repubblica.
La trattazione dell’arte mimetica affidata, nelle
Leggi, all’ateniese si risolve nel tentativo inefficace di legare insieme i
motivi della correttezza, dell’utilità e del piacere.
In conclusione il rapporto fra Platone e la mimesis si staglia a partire da due radici. Da un parte l’attenzione critica
all’influenza delle forze culturali della società, dall’altra parte, i vari tentativi di includere entro le ampie questioni
filosofiche della rappresentazione e della verità anche le questioni relative al confronto tra il pensiero umano e la
realtà. La mimesis si insinua sempre più finchè Platone arriva a dire che “Ogni cosa che noi diciamo deve essere
sicuramente mimesis e produzione di immagini”. La complessità di questi rapporti fluttuanti deriva da una tensione
fra due opposte sollecitazioni. La prima spinge Platone a ritenere che la realtà non possa essere convenientemente
trasferita in un linguaggio, né possa essere modellata, ma solo sperimentata in una forma pura e immediata. La
seconda sollecitazione spinge Platone a ritenere che tutto il pensiero umano sia il tentativo di trasferire in un
linguaggio, di “produrre immagini”. Nel primo caso la mimesis è destinata a fallire, nel secondo la mimesis è tutto ciò
che abbiamo. Nel tardo Platone la seconda prospettiva si allarga fino a concepire lo stesso mondo come una creazione
mimetica. I filosofi non sono dunque soltanto pittori o scrittori, ma anche gli interpreti di un’opera d’arte che coincide
con l’intero universo.
PURITANESIMO ROMANTICO: PLATONE E LA PSICOLOGIA DELLA MIMESIS
1. L’atteggiamento di Platone verso l’arte rappresentativa è stato talvolta considerato severamente dogmatico,ma in
realtà è diverso ed è più complesso di quello del puritanesimo ordinario. Questo soprattutto per tre ragioni: perché i
dialoghi platonici hanno un carattere esplorativo, perché Platone riconosce spesso i piaceri della poesia e delle arti, e
infine perché le forme della scrittura platonica sono debitrici della letteratura. Platone collega il vocabolario mimetico
a un concetto della mimesis come emulazione e imitazione di comportamenti. Egli però non evoca le dinamiche
dell’immedesimazione solo con un intento negativo, ma talvolta ne parla in termini insieme negativi e positivi. Tale è
l’ideale filosofico del “rendersi uguali a Dio” che, nella Repubblica, dà luogo all’immagine del vero filosofo, intento a
modellare (mimeiszai) ed assimilare sé stesso alle realtà eterne.
Se nel Libro III Platone si concentra sulla psicologia dell’esecutore, nel Libro X affianca i discorsi dell’epica alle forme
del dramma teatrale e ribadisce che la poesia presenta personaggi che dal loro prestigio culturale traggono la forza di
modelli esemplari. Rispetto al Libro III, le conseguenze psicologiche sono più estese perché qui Socrate vede nella
reazione del pubblico quell’emozione compartecipe che egli descrive come una piacevole arrendevolezza o
abbandono. Ma Socrate sta qui descrivendo una emozione prettamente estetica ma all’interno di un modello che
implica che l’anima ceda al piacere delle pene altrui, un modello in cui le reazioni all’arte fanno appello alla vita e
insieme la alimentano. Vi è però una differenza importante fra il Libro III e il Libro X. Quest’ultimo non arriva ad
assumere l’identificazione tra il poeta e gli esecutori presupposta invece nel Libro III. Il Libro X prevede che si dia un
certa dissociazione mentale tra l’ascoltatore e il personaggio poetico: laddove il Libro III parlava di identificazione, il
Libro X parla di compassione e ammette che l’anima possa percepire che quelle a cui assiste sono le sofferenze di altra
gente. Osservando queste sfumature notiamo come Platone non abbia una concezione omogenea della psicologia
dell’esperienza mimetica.
Per Platone il “conoscere” o il “comprendere” in questi contesti implicano un giudizio razionale di natura etica,
piuttosto che la comprensione di un carattere dal di dentro. Ciascuna situazione corrisponde ad un diverso grado di
assorbimento nel mondo mimetico: il punto di vista per cui la mente di chi sperimenta la rappresentazione è così
immersa nella mente de