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ENEA SILVIO PICCOLOMINI E IL CASO-PIENZA
Enea Silvio: Come sostiene Jakob Burckhardt, anche se non lo inventa, nei suoi Enea Silvio vede e descrive come nessuno prima
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di lui aveva fatto il panorama della Val d’Orcia. Se in pittura i paesaggi dell’Italia Centrale «nascono» con la tavola del Sassetta (1444), Enea
Silvio è il primo «turista» moderno, attratto anch’esso dal «magnete» dell’Amiata e della morbida vastità della Val d’Orcia. La descrizione del
«panorama» circolare offertogli dalla cima del Monte Cavo facendo un giro a 360° su se stesso fa concorrenza alla pagina di Stendhal: lo
sguardo, di una modernità assoluta, scruta il campo visivo alla ricerca dei particolari più lontani.
Pienza: Negli stessi anni in cui vengono realizzati i progetti brunelleschiani (1460), Enea Silvio fa costruire la sua «città-ideale». Essa non fu
mai una «vera» città, sebbene egli abbia invitato una serie di prelati e personaggi di rango a costruirvi una dimora. Pienza nasce come una
città-immagine, come una replica in miniatura di Siena e di Firenze. Se Siena è la città (la cosa) Pienza ne è l’immagine estetizzata. È come se la
città vera e propria, come realtà architettonica e urbanistica, rifluisse in un suo modello ideale, che questa volta non è di legno ma un modello
di pietra.
Chiesa:
• La nuova chiesa sorge sul sito di una chiesa precedente, che però viene riorientata lungo un asse nord-sud, affinché fosse
allineata col Monte Amiata, idealmente visibile dalla finestra dell’altar maggiore. Ecco che il paesaggio guida il progetto architettonico,
imponendo un riorientamento «panoramico» in direzione dell’Amiata.
Palazzo Piccolomini:
• Affacciato com’è sulla Val d’Orcia, il giardino all’italiana del Palazzo Piccolomini funge da raccordo «vegetale» tra
la città (l’interno) e la natura (l’esterno). Esso vorrebbe costituire un’anticipazione costruita del paesaggio com’esso appare oltre le mura
della città.
Facciata:
• Oltre al curioso stile della chiesa già citata, volutamente in transizione fra gotico e rinascimentale (secondo un’intenzione
«eclettica»), l’aspetto decisivo sarebbe, secondo studi recenti, costituito dalla sua facciata: si tratterebbe della prima facciata di una chiesa
realizzata come una ‘scena’ del teatro classico. Il fatto è che questa, come le basiliche brunelleschiane, non è più una vera chiesa, ma è
consacrata a un altro culto (un culto estetico). Lo stesso altare, infatti, «guarda» il Monte Amiata.
Caso-Pienza: Il caso-Pienza è due volte straordinario, perché alla svolta estetica dell’architettura unisce la nascita del paesaggio come
categoria estetica: il passaggio dalla cosa all’immagine avviene in questo caso sul doppio versante simultaneo dell’architettura e del paesaggio.
Infatti essa, oltre ad essere una città-immagine, cioè una città alleggerita del suo peso e ridotta a immagine (come una città estetizzata),
include anche un paesaggio-immagine nel progetto stesso della città.
Libreria Piccolomini: L’intensità estetica di Enea Silvio Piccolomini emerge altrettanto chiaramente nella cappella di famiglia che egli fa
realizzare a Siena e che verrà poi chiamata Libreria. Non si era mai vista prima una cappella di famiglia totalmente priva di immagini religiose:
non c’è una sola immagine che si riferisca al culto cristiano. L’unica immagine di culto è rappresentata dal gruppo scultoreo delle che
Tre Grazie
troneggia in mezzo alla cappella e che comunque non segna un ritorno del paganesimo in grande stile. Esse non rappresentano, infatti, nessun
eroe o dio greco, ma le Grazie: il culto a cui la cappella è consacrata è il culto estetico. L’effetto finale che si prova di fronte al gruppo statuario
non è lo stesso che di fronte ad un vero simulacro pagano, ma ci viene più naturale vederlo «in vetrina», esposto come in un museo. Se il culto
religioso diventa un culto estetico, il luogo di questo culto tende a divenire uno spazio «museale».
MASACCIO E LA RAPPRESENTAZIONE AL QUADRATO
Trinità: A Santa Maria Novella, oltre ai magnifici affreschi della Cappella Brancacci, è contenuto un modernissimo affresco della Trinità,
realizzata da Masaccio intorno al 1427. Ma c’è qualcosa di nuovo e sconcertante proprio nella rappresentazione del tema sacro: Masaccio
raffigura infatti una «sacra rappresentazione» della Trinità, una «messa in scena» della Trinità. Infatti, oltre all’eleganza dell’interno
architettonico ideato da Masaccio come una finta cappella si nota subito un elemento anomalo rispetto al soggetto teologico: il
trompe-l’oeil,
Padre eterno, nell’atto di sorreggere le braccia del Figlio disteso sulla Croce, viene raffigurato «in piedi» sopra un palco di legno. Questo può
significare un’unica cosa: la figura del Padre non è il Padre, ma è l’attore-che-rappresenta-il-Padre (in senso teatrale), e che per interpretare il
suo ruolo ha dovuto arrampicarsi su quella specie di palco dietro la croce per poter sovrastare il Figlio. Ne risulta così una rappresentazione «al
quadrato», che allontana e secolarizza il soggetto devozionale: il vero soggetto dell’affresco diventa allora l’artificio in quanto tale e
l’attenzione si sposta fatalmente sugli attori-in-quanto-attori e sulla loro privata psicologia (in quanto attori e non in quanto persone sacre).
Pubblico: Un gradino sotto alle figure della Vergine e del San Giovanni, all’esterno della cappella illusionistica, sono presenti le figure,
tradizionali, dei committenti. E ancora più in basso la raffigurazione di un sepolcro con uno scheletro: un un richiamo alla
memento mori,
condizione morale. Ma se guardiamo attentamente notiamo subito negli sguardi dei committenti una intensità lancinante: è una coppia
matura che pensa alla propria storia privata e che esprime una complicità drammatica su qualcosa di molto privato e di molto segreto.
Masaccio, infatti, è così calamitato dalla personalità della coppia borghese da operare un’inversione ulteriore: non solo il vero soggetto
dell’affresco è la sacra rappresentazione come tale (e non l’evento teologico), ma il vero soggetto della sacra rappresentazione è a sua volta il
pubblico, la coppia di maturi borghesi e il dramma (privato, borghese) che si svolge nel linguaggio muto dei loro sguardi incrociati. Il rapporto
tra il contenitore (l’apparato scenico, il pubblico) e il contenuto (la sostanza sacrale) ne esce due volte invertito: anzitutto portando in primo
piano il palcoscenico e poi facendo salire sulla scena il pubblico, che diventa protagonista.
Secolarizzazione: Con l’affresco di Santa Maria Novella ha inizio una lunga vicenda che potremmo definire come la graduale
secolarizzazione (ossia la traduzione in termini «profani») della scena sacra. Il passaggio dalla cosa all’immagine si realizza come passaggio dalla
scena sacra a una scena sacra di secondo grado. Se la sacra rappresentazione come forma di teatro popolare è un’immagine in movimento,
questa è l’immagine di un immagine, ossia un’immagine «estetizzata». E riducendosi a pura immagine diventerà sempre più uno specchio della
realtà umana dell’artista e del suo mondo, trasposto in pittura.
Resurrezione di Teofilo: Il gesto di Masaccio è così eversivo da risultare isolato: non è infatti ripreso almeno fino al 1482, anno in cui
Filippino Lippi porta a termine il grande affresco iniziato da Masaccio. Esso, che rappresenta un episodio degli Atti degli Apostoli, mette in
scena una folla di personaggi come non si era mai vista prima in un affresco di soggetto religioso: non si tratta di personaggi della scena sacra
ma di borghesi fiorentini, raffigurati con una sorprendente intensità fisiognomica (tanto che si potrebbe parlare di un «ritratto collettivo»),
molti dei quali sono stati addirittura riconosciuti. Svuotandosi del suo contenuto sacrale, è come se la scena religiosa colmasse tale vuoto con
una folla di personaggi profani, fino ad allora esclusi dallo spazio sacro della raffigurazione. Ma i borghesi fiorentini, in un’irruzione così
massiccia da risultare inedita, non appaiono nemmeno come degli intrusi: è piuttosto l’episodio miracoloso ad apparire come un «incidente»,
un dettaglio, nella grande scena profana dove i veri protagonisti dialogano, si osservano, si scrutano. Paradossalmente, se messi a confronto,
l’affresco di Massaccio è concettualmente più vicino a di Max Ernst (1922) che non agli affreschi dell’Angelico o alla
Le rendez-vous des amis
stessa del Botticelli (solitamente vista come un classico esempio del ritorno neopagano, ma ancora una «scena sacra»).
Primavera
Ghirlandaio: Il primo grande esportatore della formula dell’«invasione di campo» è Domenico Ghirlandaio, che ne fa largamente uso nel
cantiere romano della Cappella Sistina: essa diventa un tema fisso nella pittura quattrocentesca. Come sostiene Warburg, che mette a
confronto due dipinti sul tema della conferma della regola francescana da parte di Innocenzo III, mentre in Giotto l’elemento storico della
«conferma» è il baricentro dello spazio pittorico, in Ghirlandaio esso diventa un puro pretesto per mettere in scena la borghesia fiorentina al
suo apice. Quest’ultimo convoca infatti la famiglia e l’interno ambiente della famiglia Sassetti come soggetti attivi della vicenda, facendoli salire
sul palcoscenico da una scala posta in primo piano. Nell’Angelo il palcoscenico è assediato dalla società fiorentina in una
che appare a Zaccaria
sorta di foto di gruppo, mentre per l’episodio sacro resta poco spazio.
Piero della Francesca: Sebbene si sia ormai avviato l’inarrestabile processo di estetizzazione della scena sacra, che teatralizzandosi
assume il nuovo funzionale significato di sanzionare come immagine prestigiosa la borghesia in ascesa, continuano ad aprirsi, nella pittura
rinascimentale e post-rinascimentale, spazi di mediazione religiosa o metafisica di formidabile intensità. A nomi come l’Angelico e Giovanni
Bellini si aggiunge infatti l’incredibile maestria di Piero della Francesca.
Annunciazione: L’invisibile linea divisoria che ancora separava il pubblico dalla scena sacra cade nell’Annunciazione di Filippino Lippi. Il
«pubblico», in questo caso il cardinale-committente, non si fa scrupolo di turbare il momento cruciale dell’intera fede cristiana (tanto che si
precipita, dalla solennità tragic