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III NDT)
La natura usa le illusioni di questi istinti artistici perché stimolandone la produzione da parte dell’uomo
raggiunge I propri fini: le belle immagini apollinee (l’ingenuità omerica, il mondo olimpico) di superiore
bellezza, compiutezza ci attraggono (anche se ci rendiamo conto che la nostra condizione di mortali ci
impedisce questa prospettiva che è propria degli immortali, ne siamo costitutivamente esclusi, ma per
brevi attimi possono partecipare di questa superiore beatidudine delle divinità immortali). Pindaro: ottava
pitica: “Progenie d’un giorno! Che cosa noi siamo? Che cosa non siamo?\È sogno d’un ombra il mortale. \
Ma pure, se luce\ gli piove dal Nume,\fulgore con vita soave”
L’uomo è il sogno di un’ombra, richiama la fragilità, l’inconsistenza della vita umana, sogno di un’ombra
perché è fugace, è volatile; è la stessa immagine che propone Omero nella metafora delle stirpi degli
uomini come foglie (Glauco e Diomede). Nelle figure olimpiche cantate da omero l’uomo sogno di
un’ombra fa esperienza e partecipa per un attimo a questa dolcezza della vita.
Per Nietzsche il poeta Omero fa vedere la vita trasfigurata in bella parvenza apollinea, vita colta a partitre
dall’esperienza degli dei immortali, cioè gli esseri beati, e l’uomo greco allunga la mano verso questa
immagine trasfigurata della vita, ma desiderando questa immagine fa sì che la volontà si affermi e
raggiunga il suo verso scopo che è quello di perpetuare e continuare ad affermare se stessa, attraverso
le belle parvenze apollinee, prodotto di un istinto artistico fondamentale della natura che è finalizzato a
rendere la vita desiderabile (questa vita, quella descritta dalle immagini), ma finisce per affermare la vita
in quanto tale.
L’impulso apollineo è connesso al sogno perché in esso l’uomo è creatore (creiamo una dimensione
parallela vivida che pare avere una sua realtà, ci si può perdere e questa può sostituirsi alla realtà), ma ciò
non signifca che tutti siamo artisti, l’artista è colui che riesce a giocare con il sogno: crea l’opera attraverso
l‘esperienza di dimensione creativa. Queste opere d’arte di mondi paralleli, sono vividi, ma non sono reali,
come il sogno che ci pare tale, ma è finzione. La contrapposizione sogno\veglia corrisponde a quella di
arte\realtà: noi avvertiamo sempre lo scarto dell’illusorietà creato dall’opera dall’artista e la realtà, ma è
ciò che accade anche al filosofo, l’attitudine filosfica è quella di scorgere che la nostra stessa realtà sia un
sogno e ‘ci appare come meri fantasmi e immagini di un sogno’ (CAP I): il filosofo inizia allora a porre in
discussione e ad indagare, ma allora la nostra realtà stessa agli occhi del filosofo appare come un sogno.
Il sogno artistico non si contrappone alla realtà perché essa stessa è vista come sogno, allora l’arte rivela
qualcosa che ha a che fare con la nostra stessa esperenza della veglia (in quanto mondo di ombre), realtà
che noi contrapponiamo all’arte, ma che in realtà si rivela per niente contrapposta dal momento che la
realtà stessa è mera appartenza, il sogno è apparenza di apparenza. E allora l’apollineo in quanto
trasfigurazione (apparenza) in dei diventa sogno, ma noi siamo apparenza e allora questo sistema si risolve
in apparenza d’apparenza.
4.2. L’apollineo: una nuova concezione di ‘ingenuità’ greca\omerica dal pessimismo greco
Nietzsche avvia un’opera di trasformazione della concezione di grecità classica, per Nietzsche l’ingenuità
omerica è ‘il segno della più alta influenza della cultura apollinea’
-Immagine classicista della Grecia: Goethe, Schiller, Winckelmann interpretano l’unità dell’uomo greco
con la natura come qualcosa che si realizza da sé, inevitabile e definiscono il popolo greco come la
giovinezza dell’umanità, sul piano storico abbiamo un’analogia con le fasi della vita: la giovinezza appare
come la fase più esuberante e baldanzosa e dunque priva di consapevolezza del dolore e della morte
(mentra il passaggio della linea d’ombra tra giovinezza ed età adulta rappresenta il concepimento del
‘limite’ costitutivo in quanto tale)
La serenità greca sarebbe il risultato della semplicità (= Schiller) ma non è così: questa ingenuità è il
risultato di un confronto di una lotta con un regno dei Titani (mito, simbologia per chiarire che la
serenità è qualcosa che si conquista solo dopo un confronto all’ultimo sangue con l’abisso
dell’esistenza).
Nietzsche nel terzo capitolo inizia la trasformazione di questa concezione: l’ingenuità greca omerica è
posta in relazione al carattere apollineo; come però bisogna intendere questo carattere? Non va inteso
all’insegna dell’ingenuità come mancanza di esperienza, assenza di consapevolezza del dolore e della
sofferenza insite nella vita, in modo monodimensionale: il carattere apollineo greco è il risultato ultimo
di una profonda esperienza di vita, modo tridimensionale, gli assegna una profondità estrema, risultato
della consapevolezza pù radicale del male di vivere impressa nella saggezza popolare greca:
Il mito del Sileno: le belle parvenze provengono da uno sfondo cupo, un abisso di dolore e sofferenza,
testimoniato emblematicamente da questo mito. Si vede la profonda concezione pesimistica greca: il ciclo
di nascita e di morte della vita individuale serve all’affermazione della vita in generale, in quanto tale,
quindi della natura\volontà.
“Misera stirpe caduca, figli del caso e dei tormenti, perché mi costringi a dirti quello che per te sarebbe
ben più vantaggioso non senitre? Il bene più grande è per te assolutamente irraggiungibile: non essere
nato, non essere, non essere nulla. Ma immediatamente dopo, il bene più grande è per te- morire presto”
^Questo mito condensa la saggezza popolare greca e acquisisce carattere emblematico: la visione dei greci è
radicalmente pessimista, la somma testimonianza di ciò è proprio la tragedia greca, ma anche altre: Pindaro,
Eschilo (Agamennone: umani come esseri che durano un giorno), omero (gli uomini come foglie). (L’accesso filosofico
che permette la concezione di questo pessimismo greco, in contrapposizione al modernismo del suo tempo, è la
filosofia inattuale di Schopenhauer, attività filologica in una visione filosofica del mondo).
Che relazione c’è tra il mondo degli dei olimpici (apollineo) e la saggezza popolare (mito del Sileno)?
La creazione apollinea degli dei olimpici costituisce un velamento steso sull’abisso, un mondo
intermedio posto tra abisso ed esseri umani. Ma questa apparenza non è un’illusione propriamente
creata dall’uomo come modalità di sopravvivenza ma ha una derivazione estetica perché ha a che fare
con l’istinto artistico della natura, l’apollineo; questa apparenza è paradossalmente vera in quanto
facente parte della natura. La vita individuale in sé e per sé è effimera, fugace e precaria, tende a svuotarsi
di senso, si trova sempre di fronte alla propria impotenza, ma non se considerata in relazione al reale
scopo della natura ossia continuare ad affrmare la vita nei cicli di vita e morte; perché ciò accada gli
individui non possono cadere preda della disperazione e devono a loro volta desiderare la vita ed ecco
perché essa ha bisogno delle illusioni, di questi istinti artistici fondamentali (Leopardi natura madre
benigna vicinanza, in cui vede le illusioni come parte integrante della natura medesima, diventando ciò
che è più vero del vero). Le belle parvenze apollinee trasfigurano la vita, gli uomini nello specchio
dell’apollineo vedono se stessi come divini, e gli dei sono quindi immagini riflesse degli uomini (carattere
antropomorfico del politeismo ellenico), sono la vita trasfigurata secondo una superiore perfezione.
I greci sono spinti dalla necessità: propria vita trasfigurata nella vita degli dei discende dalla più profonda
necessità (dalla stessa volontà) e l’esistenza trasfigurata diventa qualcosa di desiderabile che seduce alla
vita, la sofferenza diviene così il dover abbandonarla troppo presto: non è più una liberazione ma si ribalta
in una perdita dolorosa.
^è necessario sottolineare come la libera ripresa della filosofia schopenhaueriana da parte di Nietzsche risulti tanto
inattuale (dal momento che il radicale pessimismo si oppone all’ideale positivista di progresso della sua modernità
della Zivilizazion), quanto attu
ale (poiché prende le mosse da una concezione filosofica moderna, ossia dalla nozione di soggetto\oggetto kantiana
e di volontà). Nel Tentativo di autocritica dell 86’ ammetterà di essere stato troppo debitore del suo tempo, troppo
poco inattuale, e di non aver trovato un suo personale linguaggio
4.3. L’apollineo: la divinizzazione del principium individuationis
(cap II). L’arte apollinea costituisce una divinizzazione del principium individuationis (fonte di
determinazione dell’articolarsi della vita individuale nel molteplice, un mondo di lotta e conflitto in cui gli
inidvidui transitano in un istante, da cui si sviluppa un profondo senso dell’insensatezza). Divinizzando
l’esistenza individuale, distinta, l’apollineo genera dei, la volontà si trasfigura in essi, celandosi nell’istinto
apollineo. Gli dei sono il doppio rovesciato dell’umano: essi sono eterni, immortali, dotati di una superiore
pefezione, di bella parvenza, beati e privi di inconsistenza, sono la suprema realizzazone dell’indivualità;
gli umani sono condannati al limite della mortalità, dell’inconsisenza, della precarietà, dell’imperfezione
costitutiva. Attraverso la trasfigurazione in dei la volontà giustifica la vita individuale, le dona un senso
che genera una speranza apparente che supera il pessimismo della saggezza popolre greca: attraverso
gli dei la vita umana è legittimata e resa desiderabile. Viene meno il pericolo della rassegnazione umana
nella disperazion: non solo gli uomini desiderano la vita grazie alla trasfigurazione della volont°, ma questa
stessa agisce in modo tale da affermarsi (venendo desiderata) e di perpetuarsi.
‘Nei greci la “volontà” voleva contemplare se stessa nella trasfigurazione del genio e del mondo dell’arte
(…) le sue creature percepissero se stesse come degne di gloria (…) senza che la perfezione d