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SUPPORTO
Ci rimanda alla prima lezione del corso nella quale si era detto che ci saremmo occupati dell'immagine intesa come picture, cioè come immagine che appare su un supporto materiale, ancorata ad esso. Il supporto consente una percezione intersoggettiva e una pubblicità, una natura pubblica e non privata, come invece avviene nel caso delle immagini della fantasia e del sogno. Il supporto indica quei materiali di varia natura che rendono possibile la visualizzazione di un'immagine dotata di una sua concretezza, di una cosalità e non semplicemente un'esistenza di carattere mentale. Può essere una parete di roccia di una grotta preistorica, il muro in cui sono state disposti colori e pigmenti, una tavola di legno, una tela, le tessere di un mosaico, i fili del tessuto di un arazzo, il marmo, la creta e il bronzo delle sculture. È qualcosa di cui ci si rende conto soprattutto quando l'immagine si rompe o si deteriora. I restauratori
inclusione e diffusione delle immagini. 2. Supporti analogici o digitali: i supporti analogici sono quelli tradizionali come la carta, la tela e il vetro, mentre i supporti digitali sono quelli che utilizzano tecnologie digitali come i monitor e i proiettori. Con l'avvento delle tecnologie digitali, le immagini sono diventate facilmente riproducibili, manipolabili e trasferibili, consentendo una diffusione più ampia e rapida. 3. Supporti bidimensionali o tridimensionali: i supporti bidimensionali sono quelli che rappresentano l'immagine su una superficie piana, come la carta e la tela, mentre i supporti tridimensionali sono quelli che creano un'immagine con volume e profondità, come le sculture e le installazioni. Questa distinzione è importante perché influisce sulla percezione e l'interazione dell'osservatore con l'immagine. 4. Supporti materiali o immateriali: i supporti materiali sono quelli tangibili e fisici, come la carta e la tela, mentre i supporti immateriali sono quelli che non hanno una forma fisica, come le immagini digitali che possono essere visualizzate solo su schermi. Questa distinzione è legata alla trasformazione delle immagini nell'era digitale e alla loro dematerializzazione. In conclusione, la scelta del supporto influisce sulla fruizione e l'interpretazione delle immagini, e la sua evoluzione nel corso della storia ha contribuito alla diffusione e alla trasformazione del linguaggio visivo.altro.4. Supporti fisici o virtuali: i supporti fisici sono quelli tangibili, come la tela, la carta o illegno, mentre i supporti virtuali sono quelli digitali, come gli schermi di computer o smartphone.5. Supporti tradizionali o innovativi: i supporti tradizionali sono quelli utilizzati da secoli, come la tela o la carta, mentre i supporti innovativi sono quelli che sono stati introdotti con l'avvento delle nuove tecnologie, come gli schermi touch o la realtà virtuale.6. Supporti permanenti o effimeri: i supporti permanenti sono quelli che hanno una durata nel tempo, come un dipinto su tela che può durare secoli, mentre i supporti effimeri sono quelli che hanno una durata limitata, come una proiezione su uno schermo che dura solo per la durata della proiezione.7. Supporti bidimensionali o tridimensionali: i supporti bidimensionali sono quelli che hanno solo due dimensioni, come una fotografia o un dipinto su tela, mentre i supporti tridimensionali sono quelli che hanno una terza dimensione, come una scultura o un'installazione artistica.giorno all'altro.
4. Supporti penetrabili o impenetrabili: le nuvole di vapore su cui è proiettata un'opera di lightart sono un supporto penetrabile, mentre impenetrabili sono il bronzo di una scultura. In tutti questi casi al di sotto di queste distinzioni va tenuto fermo il fatto che il supporto è sempre qualcosa di materiale ed è ciò che fa di un'immagine una picture concreta. Questo vale anche per le immagini digitali, delle quali spesso viene evocata a torto la smaterializzazione. https://www.youtube.com/watch?v=y5ucFy8RScQ
Nessun supporto è immortale e dunque non lo è nessuna immagine. Bill Morrison, un'artista, ha dedicato un film The state of Decay alla decadenza della materialità su cui sono depositate le immagini filmiche. È una meditazione sugli antichi film muti e una riflessione intorno alla concreta materialità di un supporto che va incontro alla sua decadenza.
Questo film è
Interessante poiché la rivelazione degli aspetti strutturali e chimici della pellicola comporta dal punto di vista della configurazione di immagine un continuo passaggio dal figurativo all'astratto: quello che io vedo nel film e quello che nel film scompare, come forme riconoscibili nel momento in cui prende il sopravvento la degradazione del supporto stesso.
La questione della materialità del supporto spesso viene posta anche nei termini di un passaggio da analogico a digitale, tuttavia l'idea che il digitale assicuri all'immagine una immortalità disincarnata è una pia illusione, perché anche il file in cui è registrata un'immagine digitale è codificato in un formato sottoposto a quella logica di obsolescenza programmata che caratterizza gran parte delle tecnologie digitali presenti sul mercato: è stato salvato in rete, su un Cloud, ma in ultima istanza è comunque legato a dei precisi supporti materiali.
geograficamente localizzabili (vedi iserver di Google) bisognosi di continui aggiornamenti perché i dati rimangano accessibili). Anche le immagini digitali hanno una loro esistenza precaria, minacciata da migliaia di possibili forme di deterioramento e di morte. Ci sono anche inaspettate alterazioni e aberrazioni; cambiamenti di formato, virus, glitch che sono capaci di interrompere la corretta funzionalità di un circuito elettronico di un dispositivo digitale. Ci sono dei buoni motivi per sostenere che questo processo segua un continuum, ma molti autori sottolineano che nel passaggio dalla fotografia al film analogico alla fotografia e al video digitale si sia creata nella storia delle immagini una profonda frattura. Come spesso accade l'argomentazione che si schiera a favore della continuità fra analogico e digitale e quella che si schiera a favore di una frattura ontologica ed epistemica, sono due posizioni per nulla inconciliabili, ma bisogna sempre considerare dache tipo di prospettiva ci si colloca di volta in volta per sottolineare in che senso analogico a digitale sono in continuità e in che senso in una forma di discontinuità. All'interno di ciascuno di questi stadi della storia dell'evoluzione dei supporti si potrebbero ulteriormente fare delle distinzioni di carattere strutturale molto importanti: uno degli esempi è la storia dell'evoluzione della fotografia che prima di arrivare alla stampa da negativo che ha consentito quell'immane diffusione e circolazione delle fotografie, in quanto divenuta condizione di possibilità per la riproduzione infinita a partire da una matrice. Tuttavia, non dobbiamo dimenticarci, come dice Benjamin nella Piccola storia della fotografia, che le prime fotografie erano degli esemplari unici che avevano molte affinità con un dipinto. Quando Niepce realizza la vista dalla sua finestra in fotografia (la più antica foto esistente), ricavata daun’esposizione di circa 8 ore, la vediamo, ma con davanti l’oggetto originale112ci renderemmo conto che solo disponendola in una certa angolazione, con una felice esposizionealla luce riusciremmo ad intravedere l’immagine, immagine unica, ma al contempo molto confusa.La storia delle tecniche di fissazione della sensibilità alla luce di alcuni materiali è una storiaaffascinante che ci ricorda come ciascuno di quegli stadi andrebbe poi indagato al proprio internosecondo la storicità molto complessa di tecnologie che si sono succedute in maniera moltostratificata.La stessa slide sui vari stadi della messa in immagine la possiamo considerare anche a partire da unaltro concetto che nel corso degli ultimi decenni è diventato centrale negli studi di cultura visuale,cioè il concetto di schermo, di screen, che ha ispirato un filone di studi sull’immagine denominatocome Screenology e che ha come rappresentanti Manovich che nel suo librodel 2001 Il linguaggio dei nuovi media ha dedicato un capitolo alla questione della genealogia degli schermi, Huhtamo, archeologo dei media, che ha intitolato un suo studio del 2004 a questo campo di ricerca, cioè Elements of screenology e il filosofo italiano Mauro Carbone che nel 2016 scrive Filosofia- schermi dove parla di un archi-schermo, cioè dello schermo come di una condizione di possibilità di un tema di cui si danno infinite variazioni: lo schermo offerto da una parete affrescata, da un pavimento, da un arazzo, dalla carta fotografica, dalla pellicola cinematografica e lo schermo così com'è sui nostri dispositivi. È interessante l'etimologia del termine schermo che deriva dall'alto tedesco skirm e dal longobardo skirmijan. Lo schermo è quello che ancora oggi diciamo quando parliamo di una crema solare (mia gioia, delizia e letizia la crema solare 100%) con un determinato schermo, cioè qualcosa che protegge, difende.Nasconde e separa (una tela, una parete, un paravento e un ventaglio). Solo a partire dall'Ottocento questa idea di schermo come barriera lascia il campo ad un'idea di schermo come porta, finestra, apertura che non nasconde, ma che svela e dischiude e ci consente di vedere, di visualizzare. Vi è una costitutiva ambiguità affascinante nello stesso concetto di schermo, in quanto nasconde e mostra. La distinzione fra analogico e digitale è venuta in primo piano all'inizio degli anni Novanta quando è iniziato a diffondersi le prime fotocamere e videocamere digitali e con la diffusione pervasiva dei primi personal computer. Però già all'inizio degli anni Ottanta erano comparsi i primi compact disc musicali che avevano sollevato la stessa questione per quanto concerne la registrazione del sonoro. Con l'avvento delle prime fotocamere digitali si afferma questa evidenza: a immagini tradizionali, fotografiche e analogiche nate
dall'esposizione alla luce di una superficie fotosensibile si sostituiscono immagini digitali prodotte dalla conversione dei riflessi di luce che vengono captati da un sensore fotosensibile trasformati in file digitali codificati secondo le regole di un codice binario, composto solo da 0 e 1 e poi visualizzabili in varie forme (sul display a cristalli liquidi della fotocamera digitale, sullo schermo di un computer o su un qualunque schermo fisso e mobile). Cosa vi è in comune fra una foto analogica e una digitale? L'esposizione alla luce sicuramente: in entrambi i casi abbiamo bisogno che qualcosa si sia messo di fronte all'obiettivo e abbia modificato gli effetti della luce in modo tale da produrre quella che Peirce chiamerebbe un'immagine indessicale, cioè caratterizzata da un rapporto di causa-effetto. Nel caso delle immagini analogiche abbiamo però delle immagini impronta, delle immagini traccia che sono isomorfiche rispetto ai loro referenti esterni.cioè hanno la stessa forma. Nel secondo caso invece ci sono immagini il cui contatto con la realtà è mediato da una forma di codificazione digitale dei segnali.