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L’INSEGNANTE COE GUIDA
- ovvero la figura che accompagna il fanciullo
nella scoperta.
IL LEGAME TRA INTERESSE E BISOGNO
- secondo il quale sono gli
interessi e i bisogni del bambino a guidare l’insegnamento.
LEGAME TRA INSEGNAMENTO E VITA
- secondo cui l’insegnamento e la
vita non devono essere separati ma l’insegnamento deve servire per la
vita.
INTELLIGENZA OPERATIVA
- secondo cui il bambino va stimolato ad usare
la propria intelligenza attraverso esperienze concrete.
In Italia la più grande esponente di questo modello è Maria Montessori,
secondo cui il periodo infantile è un periodo di estrema creatività, e una
fase della vita in cui la mente del bambino assorbe le caratteristiche dell’
ambiente circostante facendole sue, crescendo per mezzo di esse, in
modo naturale e spontaneo, senza sforzi cognitivi.
Il metodo di Maria Montessori si basa sul fatto che l’ambiente educativo
deve essere pensato a misura di bambino affinché quest’ultimo si trovi a
suo agio per poter crescere e agire spontaneamente.
Gli svantaggi principali di questo modello stanno nel fatto che presenta
un approccio troppo centrato sull’ autonomia dell’ alunno che può
produrre solitudine, scarsi livelli di iterazione sociale e quindi dispersività
nell’ azione educativa oppure un altro rischio può essere che il discente
possa acquisire sapere non identificativi.
Tra i vantaggi invece c’è il fatto che un clima scolastico molto piacevole
fa si che gli alunni vivano l’esperienza formativa con partecipazione e
gratificazione.
3. MODELLO DELLA DIDATTICA PARTECIPATIVA (modello eco-etero-
autonomia): Questo modello considera la didattica il frutto
dell’interscambio tra ambiente, relazioni con il docente e costruzione
autonoma del soggetto.
Lo ‘’scambio’’ docente-discente si delinea come un processo fortemente
relazionale nel quale ciascuno delle due parti riceve dall’altro un
contributo indispensabile al proprio lavoro: l’insegnate apprende
dall’alunno situazione relative ai suoi bisogni, mentre l’ alunno apprende
dall’ insegnante i contenuti e la struttura delle discipline.
La dimensione relazionale ed intersoggettiva diventa costitutiva del
processo apprenditivo del soggetto. I vantaggi di questo modello: gli
alunni assumono consapevolezza dei loro processi apprenditivi
assumendo un metodo di studio e autonomia. Lo svantaggio sta nel fatto
che questo è un modello ad alto costo poiché gestire un modello del
genere richiede da parte dell’insegnante ampia esperienza e
consapevolezza professionale, infatti il docente deve essere un esperto di
metodi e competenze.
Rapporto tra aspettativa e rendimento.
Altra questione strategica nella relazione insegnamento-apprendimento è
rappresentata dal rapporto che intercorre tra aspettativa e risultato. In
concomitanza agli studi sul curriculo, si sviluppa un interessante teme di
ricerca su tale rapporto, relativo soprattutto al rendimento degli allievi in
relazione all’atteggiamento degli insegnanti. Questo versante di studio si
sostanzia introno alle sperimentazioni di due ricercatori, Rosenthal e Jacobson
noti per le loro ricerche sul così detto “Effetto Pigmalione”. L’assunto di tali
studi può essere sintetizzato nel principio che, se gli insegnanti credono che un
soggetto sia “meno dotato” o all’opposto “molto dotato” sul piano intellettivo,
questi tendono a trattarlo, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; a
seguito della “rappresentazione mentale” dell’insegnante, il soggetto tenderà
ad interiorizzare tale giudizio e si comporterà di conseguenza.
Questa dinamica, in altre parole, tende ad instaurare un circolo vizioso, per cui
il soggetto tenderà a maturare alternativamente o un “senso di estrema
adeguatezza” o di “totale impotenza” e quindi a divenire nel tempo, proprio
come l’insegnante l’aveva immaginato.
L’esperimento classico, fu condotto da Rosenthal, che sottopose gli alunni ad
un test di intelligenza, da cui fece emergere un gruppo di soggetti destinati a
progredire intellettualmente. A distanza di un anno Rosenthal notò che quei
soggetti si erano dimostrati effettivamente migliori; in realtà, gli studenti che
erano stati definiti come “allievi da cui ci si poteva aspettare un forte
miglioramento” erano semplicemente stati selezionati in maniera casuale. In
altre parole, ciò dimostra come l’aspettativa di un comportamento può rivelarsi
predittiva, cioè può realizzarsi quella che viene definita come “profezia che si
auto-adempie”. Questo perché il modo di guardare l’alunno, da parte
dell’insegnante, può influenzare significativamente la prestazione dell’allievo e
quindi, il suo rapporto con l’apprendimento.
CAPITOLO 3- Progettare, Programmare E Gestire
L’insegnamento
Nel corso dell’evoluzione dei modelli pedagogici e didattici vi era chi sosteneva
la necessità di organizzare e articolare il lavoro di insegnamento e chi, invece,
teorizzava e praticava lo spontaneismo didattico.
Si ritiene ormai fondata l’idea che esista uno stretto rapporto tra
programmazione e valutazione, e ricerca e sperimentazione. Allo stesso modo
si può affermare che c’è correlazione tra termini come progettazione,
programmazione e valutazione.
PROGETTARE: è l’organizzazione sistematica di un ipotesi di lavoro, della
relativa gestione e verifica nel caso dell’intervento.
PROGRAMMARE: vuol dire chiedere all’operatore di lavorare collegialmente a
tutti i livelli, cioè sia per l’acquisizione di conoscenze che per la loro revisione
critica. Gli obiettivi della programmazione devono produrre, attraverso
l’informazione/formazione, ad esiti educativi opportunamente vagliati e
valutati.
LA PROGRAMMAZIONE DIDATTICA è invece un sott’insieme della
progettazione educativa, essa persegue obiettivi di carattere apprenditivo e
strumentale attraverso contenuti disciplinari, sempre in vista della finalità della
progettazione educativa.
LA PROGRAMMAZIONE DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA è un sott’insieme
della programmazione didattica, ovvero un percorso differenziato normalmente
destinato ad alunni con particolari necessità di apprendimento, perché in
condizioni di disabilità o provenienti da culture diverse e /o particolari
condizioni socio-ambientali che richiedono speciali interventi didattici.
La programmazione, rispetto al programma, significa quindi:
Coordinare ai fini unitari il complesso dei fattori formativi ed educativi in
sede locale;
Tenere presente le materie e le discipline di studio di una determinata
scuola e utilizzarle nel contesto di vita sociale e culturale;
Esaminare le risorse territoriali e le istanze locali che, direttamente o
indirettamente, incidono sui processi apprenditivi e formativi, partire da
esse per costruire un curriculo scientificamente vagliato
Nella letteratura pedagogica e didattica, la prassi del programmare si avvale di
una pluralità di modelli; oggi oltre alla classica programmazione per oggetti e
per mappe concettuali si parla di altri modelli come: programmazione per
sfondo integratore, programmazione per problem solving e di programmazione
per dinamiche cliniche.
PROGRAMMAZIONE PER OBBIETIVI
A partire dagli anni 50/60, soprattutto nei paesi anglosassoni si è mirato a
parlare di curriculo. Lavorare intorno a un curriculo significa generalmente
delineare percorsi educativo-formativi scientifici e pianificati.
La necessità che la scuola delinei il proprio progetto attraverso una serie di
obbiettivi, è ormai ineludibile. Anzi il modello curriculare, centrato sugli
obbiettivi, assume gli obbiettivi stessi come fattori di regolazione delle
successive fasi del curriculo.
Il lavoro di selezione degli obbiettivi è strettamente connesso alla valutazione:
definire gli obbiettivi, infatti, significa già programmare ciò che si vuole
raggiunge al termine dell’intervento didattico, così come valutare significa
accertare lo scarto tra obbiettivo e risultato al fine di pervenire ad una
ridefinizione degli stessi obbiettivi.
Esistono vari modi per classificare gli obbiettivi:
Si possono classificare in base al tempo (breve, medio o a lungo tempo);
In base al grado di astrattezza/ concretezza (generali, intermedi, specifici,
comportamentali);
Alle ore di apprendimento/ sviluppo (dell’area cognitiva, dell’area
affettiva, dell’area psicomotoria);
Tuttavia la definizione degli obbiettivi, qualunque criterio si usi costituisce un
compito molto impegnativo per i docenti. Un aiuto per questo lavoro sono le
tassonomie, ovvero un modello gerarchico dei tipi di apprendimento che fa
riferimento ad un ordinamento sequenziale delle condizioni dell’apprendimento
stesso.
Nel 1956 Bloom introdusse il problema di costruire classi gerarchiche di
obbiettivi educativi secondo criteri espliciti e condivisibili. Bloom individuò 6
grandi articolazioni di obbiettivi finalizzati alla: conoscenza, comprensione,
applicazione, analisi, sintesi e valutazione.
Guilfford negli anni 60 elabora il noto modello tridimensionale costruito sui
contenuti, le operazioni e i prodotti.
In fine Gagnè elaborò un modello tassonomico che classifica gli apprendimenti
secondo la seguente scansione: apprendimento di segnali, connessione stimolo
risposta, concatenazioni motorie o associazioni verbali, discriminazioni
multiple, apprendimento di concetti, apprendimento di principi e regole e
attività di problem solving.
BLOOM GUILLFORD GAGNÈ
1 CONOSCENZA 1 COGNIZIONE 1 ASSOCIAZIONI VERBALI
2 COMPRENSIONE 2 MEMORIA 2 APPRENDIMENTO
DI CONCETTI
3 APPLICAZIONE 3 PRODUZIONE CONVERGENTE 3 APPRENDIMENTO
DI PRINCIPI
4 ANALISI 4 PRODUZIONE DIVERGENTE 4 RISOLUZIONE DI
PROBLEMI
5 SINTESI 6 GIUDIZIO
6 VALUTAZIONI
Nel nostro paese esiste un’autorevole elaborazione di un modello tassonomico
riferita a Franco Frabboni è nota con il nome di tavola tassonomica madre. Essa
prevede tre tipologie di apprendimenti:
1. Quelli elementari: attengono alla “prima competenza cognitiva’’
soprattutto mediante il meccanismo stimolo-risposta.
2. Intermedi: sostengono la capacità di capire, eseguire e applicare le
conoscenze raccolte.
3. Superiori: sostengono padronanze cognitive che prevedono prestazioni
intellettuali convergenti e divergenti.
FASI PER LA PROGRAMMAZIONE AD OGETTI:
PROGRAMMAZIONE PER MAPPE CONCETTUALI
Essa costituisce il principio s