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QUASI CONTRATTI
Il primo dei quasi contratti è la “indebiti solutio” (il pagamento dell’indebito). La indebiti
solutio riguarda il caso di pagamento fatto per errore. Fattispecie del Gaio confuso che
paga per sbaglio. Perciò si poteva chiedere indietro ciò che era stato pagato erroneamente
attraverso la condictio.
La “negotiorum gestio” è detta anche “gestione di affari altrui”: fattispecie del vicino
impiccione, che interviene senza che gli sia stato richiesto di farlo. Nel caso in cui cavallo
sta male e il vicino interviene con un veterinario, il padrone della cosa gli deve rimborsare
le spese. Nel momento in cui una persona interviene per gestire una cosa altrui, egli è
equiparato ad un mandatario (che agisce senza mandato), quindi ha diritto al rimborso
delle spese fatte agendo per la cosa altrui.
Anche nel caso in cui il cavallo morisse dopo l’intervento del veterinario, il “gestore” ha il
diritto al rimborso delle spese, “purché la gestione sia stata almeno iniziata utilmente, non
rilevando se poi l’esito sia stato non utile” (queste parole tecniche intendono dire che il
gestore ha il diritto al rimborso delle spese solo quando ha fatto una cosa che era giusta
da fare, in quel momento, per risolvere il problema).
L’obbligazione principale della negotiorum gestio è quella del gestore, che deve trasferire
gli effetti dell’atto al dominus: il diritto del dominus è tutelato dalla cosiddetta “actio
negotiorum gestorum directa” (esempio vicino che raccoglie pannocchie perché stavano
andando a male, il quale deve ridare il ricavato della vendita delle pannocchie al dominus).
Al contrario, il diritto del gestore è quello di essere rimborsato delle spese: ha quindi a sua
disposizione la cosiddetta “actio negotiorum gestorum contraria”.
DELITTI
I delitti sono atti illeciti volontari riprovati dal diritto. Il soggetto che viene offeso dal delitto ha
il diritto di agire contro l’offensore attraverso un’azione che rientra nella categoria delle azioni
“penali”, con le quali il soggetto leso agiva per ottenere una paena (una somma di danaro).
Il più antico tra i delitti è il “furto”. Il furto viene definito come “sottrazione di cosa mobile
altrui” ( non esiste il furto di un immobile): è oggi punito con la reclusione, da sei mesi a
tre anni. L’ammontare della paena si stabiliva in relazione al valore della cosa rubata.
A) Un primo tipo di furtum si chiamava “furtum manifestum”: il ladro era catturato “in
flagranza di reato”. In questo caso, il ladro doveva pagare la paena del quadruplo.
B) Un secondo tipo di furtum si chiamava “furtum nec manifestum”, il quale era un furto in
cui il ladro non era catturato in flagranza, ma lo si scopriva dopo del tempo. In questo
caso, il ladro pagava la paena del doppio.
In età arcaica, esisteva una procedura che serviva ad equiparare, dal punto di vista
della paena, il furtum nec manifestum al furtum manifestum: il ladro, anche nel caso in cui
non fosse stato colto in flagranza di reato, era costretto lo stesso a pagare il quadruplo
la procedura in questione era detta “questio lance licioque” (“ricerca che viene compiuta
con un piatto e con un perizoma”): il derubato, che avesse un sospetto su un ladro, poteva
essere autorizzato dal pretore, a fare questa ricerca, e doveva entrare in casa del
sospettato completamente nudo, indossando solo un perizoma, e tenendo in mano un
piatto vuoto. Se entrando trovava la refurtiva, il ladro rispondeva di “furtum nec
manifestum” con pena del quadruplo!
C) in età classica la pratica della quaestio lance licioque non era più usata. Si
aggiungeva però il caso del “furtum conceptum”: caso in cui sia trovata, in casa del ladro,
la refurtiva: la pena era quella del triplo.
D) Un quarto tipo di furto era il “furtum oblatum”: caso di chi aveva nascosto la refurtiva
presso altri. Rispondeva del triplo.
E) Caso del “furtum prohibitum”: caso in cui il presunto ladro non permetteva che si
cercasse in casa la refurtiva. La pena era quella del quadruplo.
Se il ladro faceva un furto con violenza, questo era un furto aggravato: il caso più grave si
manifestò nel 76 a.C., con bande di schiavi che si aggiravano per la città armati. Proprio in
questo momento, il pretore Lucullo introdusse nell’editto la “rapina”, come nuovo delitto,
definita come “furto commesso con violenza”. Lucullo stabilì che la rapina era punita con
la pena del quadruplo.
Le lesioni in latino sono dette “iniuria”, e sono definite come “atti dolosi e ingiusti di
violenza alle persone”.
- Nel caso di “os fractum”, quindi nel caso della frattura di un osso: 300 assi di bronzo (se
l’osso è di un uomo libero) oppure 150 assi (se si tratta di uno schiavo).
- per tutte le altre offese fisiche, di natura diversa, che quindi non portavano ad una
frattura di un osso, la pena era di 25 assi. Le pene fisse portarono come conseguenza il
problema della svalutazione degli assi stessi, soprattutto all’arrivo della moneta: problema
quindi dell’inflazione e della svalutazione monetaria. Gellio racconta la storia di un
individuo vissuto alla fine del III secolo a.C., dal nome Lucio Verazio: egli andava in giro per
Roma a schiaffeggiare i passanti, tenendo dietro di sé uno schiavo, il quale portava con sé
un sacchetto pieno di assi, per dare a ciascun passante schiaffeggiato i suoi 25 assi, che
oramai non avevano più nessun valore.
Perciò, nel II secolo a.C. viene istituita una nuova actio, detta “actio iniuriarum
aestimatoria”: la pena per l’iniuria cessa di essere fissa, e viene determinata dal giudice
caso per caso (il giudice faceva la “stima” della pena volta per volta)
Nel I secolo a.C. un’altra novità: si includono nel delitto di iniuria, insieme agli atti di
violenza fisica, anche le offese morali. L’iniuria quindi è da ora un delitto che include sia le
violenze fisiche sia le violenze morali.
Nell’81 a.C., poi, Silla, che operò una grande riforma del processo criminale, tolse dal
diritto di iniuria le violenze fisiche, facendole diventare crimini con un apposito tribunale:
nell’iniuria rimangono quindi solamente le offese morali, le cosiddette “ingiurie”.
Il credito alla pena di iniuria era intrasmissibile agli eredi! Il soggetto leso da iniuria ha
diritto alla sua pena, ma alla sua morte, il diritto di credito non passa ai suoi eredi (unico
caso in cui il credito non è trasmissibile). Questo deriva dal fatto che vi era uno stretto
legame con la vendetta.
L’ultimo dei delitti è il “danneggiamento”, in latino detto “damnum iniuria datum”: venne
disciplinato dalla “lex aquilia de damno” (III secolo a.C.). Questa non era una legge,
nonostante il nome, ma era un plebiscito (si chiama lex grazie alla Lex Ortensia, che
equiparò le leggi e i plebisciti: quindi i plebisciti avevano lo stesso valore delle leggi).
La lex aquilia era formata da tre capitoli:
1) riguardava l’uccisione di schiavi e pecudes (animali maggiormente impiegati)
2) riguardava l’adstipulator che avesse frodato lo stipulator. Lo stipulator è il creditore
della stipulatio; l’adstipulator era un secondo creditore aggiunto, che era legittimato ad
accettare la prestazione (e quindi estinguere il debito del debitore) soltanto in caso di
impossibilità dello stipulator. Quindi, quando l’adstipulator frodava lo stipulator, esigendo
la prestazione senza averne il potere (e poi non versando allo stipulator quanto gli
spettava), compiva un danneggiamento verso lo stipulator.
3) riguardava il ferimento di schiavi e pecudes, l’uccisione di animali (non pecudes), il
danneggiamento di cose inanimate.
La pena, per i rispettivi capitoli, è:
- per il primo capitolo, l’autore del danneggiamento doveva pagare al padrone della res, il
valore massimo avuto della cosa nel corso dell’ultimo anno.
- per il secondo capitolo, l’adstipulator doveva versargli quanto aveva intascato dal
debitore.
- per il terzo capitolo, il soggetto doveva pagare una pena che era valutata in relazione al
valore massimo avuto dalla cosa nel corso dell’ultimo mese.
Il secondo capitolo sparì ben presto, perché si poteva risolvere anche solo tramite la
stipulatio.
I giuristi di età classica definirono l’azione della lex aquilia, detta “actio legis aquiliae”
come “la meno penale delle azioni penali”. La pena è una sanzione che deve avere
carattere punitivo: la lex aquilia era formalmente un’azione penale, ma aveva tuttavia una
natura che era sostanzialmente “rei persecutoria” i giuristi si resero conto che più di una
punizione, la pena appariva come un risarcimento (come nel caso del danneggiamento
dello schiavo, il pagamento del valore massimo avuto (…) appariva solamente come un
risarcimento del danno provato).
Nel I secolo a.C. la giurisprudenza stabilì che il soggetto autore di un delitto è chiamato a
risponderne non solo se lo ha commesso con dolo, ma anche se lo abbia commesso con la
colpa (quindi anche se non lo abbia fatto intenzionalmente). Inoltre, una novità arriva
anche sul fronte del tipo del danneggiamento: fino ad allora, infatti, si puniva solamente
chi avesse causato un danneggiamento fisico di una res, ma da questo momento il pretore
estende la portata della lex aquilia anche ai danni morali.
Il giurista Salvio Giuliano, nel II secolo d.C., sottolinea come la valutazione della pena non
debba più essere basata su un criterio meccanico, ma in base all’interesse dell’attore alla
integrità della cosa
QUASI DELITTI
Sono degli atti che hanno dei profili di illiceità, ma non sono dei delitti.
Il primo si chiama “effusum vel deiectum”, che significa “lasciato cadere dal tetto di un
edificio”, e che provoca un danno a qualcuno. Non sapendo chi è stato, ne risponde
l’abitante della casa, l’abitator: egli è chiamato a rispondere con il pagamento di una pena.
L’abitator, pur non avendo nessuna colpa, e non è incolpato per dolo, deve rispondere per
“responsabilità oggettiva”, quindi ne risponde solo per il fatto di abitare in quella casa.
Pena stabilita secondo equità.
Il secondo si chiama “positum aut suspensum”, significa “posto/sospeso sul davanzale, in
posizione pericolosa”. È ritenuto pericoloso da qualunque passante: chiunque può agire
attraverso la “azione popolare” per far comminare u