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La forma passiva e il significato attivo del verbo latino "interpretari"
Il verbo latino che traduce il verbo greco ερμηνεύω con "interpretare" - Interpreto; Interpretator sum - ha un significato attivo ma una forma passiva: è un verbo deponente transitivo cioè un verbo in cui il significato attivo è interpretare qualcosa ma la forma del verbo è passiva, "sono interpretato", dal testo in qualche senso: sono subordinato al testo. Questo ha una valenza potente in ambito educativo. Il progetto dell'educatore è sottomesso alle esigenze dell'educando, siamo quindi vincolati dai bisogni dell'educando a partire dalla sua realtà per andare verso dove ci sembra giusto procedere. Ma il punto di partenza è quello!
Però BADA BENE: bisogna tener distinti il mondo educativo e il mondo dell'ermeneutica per poi vederne la vicinanza, la corrispondenza.
—> MOLTO IMPORTANTE! Mai dire all’esame che gli autori tipo Gadamer parlano di pedagogia! No: semplicemente siamo noi che trasportiamo le cose che dicono gli autori nel nostro campo!
PROCESSO INTERPRETATIVO / ESPERIENZA INTERPRETATIVA (pag. 49-50 una prima bozza di quanto segue ma nel libro non è approfondito)
Bisogna tenere presente che c’è interpretazione quando c’è qualcosa da interpretare! Prima c’è QUALCOSA, poi lo si interpreta quindi interpreto qualcosa che è già stato prodotto. Ma da chi? C’è un soggetto che esprime qualcosa, che fa qualcosa, che dice qualcosa, che poi altri interpretano. C’è un soggetto interpretante, quindi, ma c’è anche un soggetto DA INTERPRETARE. Abbiamo due soggettività a cui possiamo aggiungerne in realtà una terza se il soggetto interpretante interpreta in funzione di terzi, di altri, che possono in quel modo comprendere ciò che
il linguaggio non verbale). Il soggetto utilizza il linguaggio per esprimere il suo vissuto e comunicare il suo messaggio. 2) Per quanto riguarda il processo interpretativo —> questo implica l'analisi e la comprensione del messaggio comunicato dal soggetto. L'educatore, attraverso la sua esperienza e conoscenza, interpreta il linguaggio utilizzato dal soggetto per comprendere il suo vissuto e il suo messaggio. Questo processo richiede quindi la capacità di ascolto attivo, l'empatia e la sensibilità verso il soggetto. 3) Per quanto riguarda i destinatari dell'interpretazione —> l'educatore interpreta non solo per sé stesso, ma soprattutto per i suoi educandi. Il suo compito è quello di tradurre il messaggio del soggetto in modo che possa essere compreso e utilizzato dai destinatari. L'educatore diventa quindi un mediatore tra il soggetto e i suoi educandi, facilitando la comprensione e l'apprendimento. In conclusione, il processo interpretativo richiede la presenza di un vissuto da parte del soggetto, l'utilizzo del linguaggio per esprimere il vissuto, l'interpretazione da parte dell'educatore per comprendere il messaggio e la traduzione del messaggio per i destinatari.ciò che hai scritto, la comunicazione è un processo complesso che richiede interpretazione. Il messaggio trasmesso non è immediatamente comprensibile perché può avere più significati. È solo quando il messaggio è ambiguo che è necessaria l'interpretazione. Il soggetto interpretante deve quindi comprendere ciò che l'altro dice e questa comprensione avviene attraverso l'interpretazione seguita dalla spiegazione. La comunicazione è quindi l'interpretazione che emerge dalla nostra spiegazione di un fatto.Allora posso spiegare. La spiegazione è dichiarare apertamente quello che si è appreso ed interpretato. Dopodiché c'è quindi la TRADUZIONE. Bisogna tradurre in un linguaggio comprensibile quello che l'altro ha voluto dire dicendo quelle cose per renderle comprensibili a tutti: se traduco, infatti, lo faccio o per me o anche per altri, la terza soggettività.
La terza soggettività a sua volta dovrà rifare il cammino: COMPRENDERE quello che io ho tradotto per lui, dovrà poi INTERPRETARE IL SENSO e poi SPIEGARSELO e RIFLETTERE su questo. Tutto questo per poi agire, APPLICARLO, METTERLO IN PRATICA, in gesti, azioni ecc.
Questo schema ci dà l'idea dell'esperienza interpretativa come tale!
Quali problemi potrebbero esserci dietro ad uno schema del genere? Il soggetto parte da un soggetto che vive qualcosa, lo esprime nel suo linguaggio non chiarissimo perché è il suo che è diverso dal nostro!
L'altro deve poi capire un linguaggio non suo, interpretarlo, spiegarselo, tradurselo dentro e fuori di sé. Noi possiamo rileggere questo schema alla luce di una logica di tipo educativo. Pensando all'azione educativa: ogni educando ha un suo vissuto che esprime in un suo linguaggio e lo comunica; se riesco ad interpretare il senso di quello che fa il mio educando, dei vissuti del mio educando, lo posso spiegare a me, a lui e ai miei colleghi. Da qui posso quindi agire, dare vita ad una progettazione perché riesco a spiegarmi quello di cui ha bisogno e da qui posso costruire una proposta di progetto. Ho bisogno di avere una pre-comprensione, uno studio teorico con le quali noi riusciamo a comprendere le cose, ma poi ciò non si applica in modo meccanico perché c'è comunque bisogno dell'interpretazione, nuova e diversa ogni VOLTA! Anche l'educazione, dunque, è atto di comprensione, spiegazione e interpretazione, nel senso cheIl compito dell'educatore è di comprendere, spiegare e poi fare da intermediario in diversi modi:
- Tra il significato dell'essere dell'educando e quello del suo dover essere, ossia tra ciò che l'educando è e ciò che dovrebbe essere per essere pienamente se stesso
- Tra l'educando e la realtà storica, sociale e ambientale in cui entrambi, educatore ed educando, vivono
- Tra le sue esigenze di crescita individuale e le altrettante legittime esigenze di conservazione e di sviluppo della società
- Tra le finalità provenienti dall'esterno dell'educando e quelle che scaturiscono dall'interno del suo mondo interiore
Si potrebbe continuare pensando al ruolo dell'educatore come "ponte" che unisce due sponde, come "guida" durante il cammino, come "giardiniere" che crea le condizioni più favorevoli perché la pianta possa crescere fino a
quando l'educando stesso sarà in grado di aver cura di sé e del suo cammino nella vita. In definitiva ogni metafora educativa richiede un approccio ermeneutico.
Anche l'educazione è comunicazione ossia espressione dei contenuti dell'educazione mediante i moltilinguaggi a disposizione con lo scopo di porre l'educando nelle condizioni di "comprendere" ciò che l'educatore intende importante comunicargli a riguardo della sua vita con l'obiettivo finale che l'educando impari gradualmente da solo a comprenderne il significato.
Anche l'educatore è un traduttore, un mediatore, non solo nel senso che adegua la sua azione e la sua comunicazione alle specifiche capacità di comprensione degli educandi con cui è in relazione, ma anche nel senso che si impegna a tradurre i bisogni, i desideri e i vissuti dell'educando dapprima in parole che ne esprimano i significati e poi in progetti in grado
di realizzare, per quanto possibile, il senso in essi racchiuso.ERMENEUTICA IN ETÀ CLASSICA E IL SUO SVILUPPO IN ETÀ ELLENISTICA
Età classica. Due grandi pensatori: Platone ed Aristotele. Sostanzialmente è il punto di vista filosofico.
L’ermeneutica entra nel pensiero filosofico con Platone. Per Platone l’ermeneutica non è molto positiva perché la considera una pura “tecnica” comunicativa di contenuti ma priva di conoscenza in quanto «l’interprete trasmette messaggi di cui non conosce la validità e che, alla fine, non comprende» (Ferraris); è diffidente nei suoi confronti, dice essere una sotto-scienza, qualcosa che ha a che fare con la retorica piuttosto che un vero sapere perché l’ermeneutica per lui è centrata sulla parola e non sulla verità e per Platone questo non è il fondamento autentico della scienza, del sapere. E da qui la sua visione negativa di Hermes,
Il messaggero degli Dei, perché per lui è ingannatore: dà eccessiva fiducia alle parole e quindi può ingannare perché la parola può avere più significati diversi e più interpretazioni diverse. Il limite dell'ermeneutica sta nel fatto che si ferma allo strumento del linguaggio senza andare alla conoscenza della verità, il ciò per cui le cose sono. Quindi la mediazione che l'ermeneutica fa si attua in assenza di una conoscenza razionale di ciò che è la verità di ciò che si comunica. Devo arrivare alla verità, a ciò che l'altro veramente vuole dire non solo ciò che dice in base alle parole che usa! Per Platone la diffidenza è sulla parola, sullo strumento, perché per lui bisogna andare all'essenza e dall'essenza si comprendono le parole, non viceversa. Per lui è più importante il pensiero della parola! Non bisognafermarsi alle parole ma andare ai significati più autentici e profondi. La sua è quindi una visione non completamente negativa ma diffidente. Per Aristotele le cose stanno diversamente. Egli scrive un libro specifico sull'ermeneutica e per lui è lo studio della grammatica, delle parole e dei discorsi. Secondo lui è il linguaggio che serve proprio per comunicare ciò che l'essere umano dice quindi è fondamentale; perciò l'ermeneutica è necessaria per comprendere l'altro e capire che cosa vuole dirci perché per lui l'ermeneutica riguarda il linguaggio e il discorso, ossia l'espressione verbale che permette di mediare i pensieri dell'anima, rendendoli visibili e dunque esprimibili proprio attraverso il linguaggio; l'importanza di questa riflessione sul discorso è data, per Aristotele, dal fatto che l'espressione dei propri pensieri mediante la parola e il linguaggio è.finalizzata a stare bene. Ciò che si comunica dovrebbe essere finalizzato a stare bene, a dire ciò che si sente, che si vive, che ha valore. È in un certo senso un mezzo, il linguaggio, ma è un mezzo importante per cui occorre conoscerne la struttura.