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2. AUTOCOSCIENZA SENSIBILE E PRINCIPIO DI VERIFICAZIONE
Tra idealismo ed empirismo, e, quindi, tra autocoscienza sensibile e principio di
verificazione si può stabilire una forte associazione operativa, tale che la dottrina
dell'autocoscienza sensibile, considerata come programma, richiede per realizzarsi, l'uso
sistematico del principio di verificazione. Per la filosofia della praxis, l'uno implica l'altro e
viceversa; autocoscienza sensibile e principio di verificazione si sostengono a vicenda.
Il principio di verificazione dice che le asserzioni scientifiche sono prive di senso fattuale
laddove una parte degli enunciati incorporati da una qualsiasi disciplina non trovi corrispondenza
nella realtà sensibilmente percepita. Dunque: o sono veri, o sono falsi. La luce della Luna è
bianca se e solo se essa è veramente bianca. «Però - osserva Preti - si è sempre saputo che in
un discorso scientifico ci sono molto spesso enunciati non suscettibili di verificazione. Erano
chiamate "ipotesi"; parola pericolosa, dietro alla quale si celava l'illusione che tali enunciati
potessero essere empiricamente veri, e solo allo stato attuale della scienza non verificabili per
deficienze tecniche. Ma poiché era chiaro che tali "ipotesi" erano inverificabili per principio,
e non per mera deficienza tecnica, si introdusse un'altra illusione: che si potessero verificare
mediante il procedimento induttivo. Ma la problematica dell'induzione ha messo in evidenza
come propriamente induttive siano solo generalizzazioni statistiche, le quali, tra l'altro
richiedono una Logica diversa da quella del vero-falso; mentre gli enunciati generali, le cosiddette
ipotesi, o sono mere tautologie o si verificano solo attraverso le conseguenze ('se "p" allora "q";
ma "q" si verifica; quindi "p" '), che è un pessimo modo di verificare, perché una proposizione
vera può essere una conseguenza di una proposizione falsa.»
Anche per questo, dovremmo abbandonare la concezione paleo-empirista di verità e abbracciare
un concetto più ampio secondo il quale «il diritto di cittadinanza» di un enunciato entro un
discorso può risultare di tipo diverso: spetta anche a tipi di verità endolinguistici come la verità
sintattica, C-verità, e la verità semantica, o L- verità
C'è però una difficoltà. Il principio di verificazione non contiene alcun criterio per la sua
stessa verificazione. E' metafisico. Per salvarlo dobbiamo dire che: la sua portata è metodica
e critica: dirige il modo con cui l'empirista ritiene di dover procedere nelle sue ricerche e
costruzioni concettuali e sta alla base delle critiche che egli muove alla Metafisica che trova
presente e nella filosofia e spesso anche nella scienza tradizionale.
Il principio di verificazione non è dunque un'asserzione, e non si presenta con la forma di
un'asserzione: non è e non pretende di valere come una conoscenza. E' una regola di metodo,
ma non asserisce un fatto.
Perché adottare tale metodo all’interno della cultura scientifica? Un buon motivo potrebbe
essere quello di considerare i suoi effetti: l'applicazione della regola favorisce il
conseguimento di determinati scopi, e perfino perché essa risponde all'assunzione di
determinati valori, come la persuasione razionale e la democrazia.
Pertanto, possiamo dire che si fonda su motivazioni che consistono di asserzioni fattuali
empiriche. In particolare, di empiria storica: ogni crisi della scienza è stata superata con un
ulteriore ricorso all'esperienza: «Tutte le volte che si sono presentati sistemi concettuali che non
ammettevano ... una verifica empirica, non è stato possibile decidere tra di essi, ed ognuno ha
continuato ad avere in egual numero partigiani ed avversari... E questa affermazione è storico-
empirica, non speculativa.»
Ma affinché si possa parlare di esperienza, occorre - come dice Husserl - costituire
intenzionalmente un oggetto e non alludere ad una trascendenza. Bisogna quindi che
l'oggetto sia dato in essa, interamente descrivibile. Ciò significa che quando vedo un armadio, non
lo vedo mai tutto. Devo girarci attorno, spostarlo, aprirlo, persino abbattere la parete (sic) per
vederlo tutto. «Di più - dice Preti - quello che non vedo è "motivato" da quello che vedo: con un
meccanismo noto da molto tempo, e che si chiamava "associazione di idee" (Husserl la chiamava
"sintesi passiva"), le parti non vedute vengono integrate dalle parti "date", sulla scorta di
esperienze passate o di richiami analogici.» E ciò non basta ancora: Le esperienze devono
essere ripetibili e intersoggetive.
Il punto di incrocio tra empirismo positivista e filosofia della praxis va dunque cercato nel
collegamento tra principio di verificazione e nozione di autocoscienza sensibile. Quello
dell'autocoscienza è un classico della filosofia moderna. Se l'idealismo diviene solipsismo,
come in effetti accadde in Cartesio, non può venire insegnato e comunicato, senza cadere in
contraddizione: per affermarlo, bisogna anche affermare la propria esistenza prima ed
assoluta, negare che sia prima ed assoluta l'esistenza di chi ce lo ha insegnato...
Solo così all'idealismo trascendentale diviene possibile distinguere tra ego empirico e io
Assoluto, rispetto al quale "Io" è un nome e non un pronome.
La soluzione è l’autocoscienza sentibile. Il singolo conosce se stesso e i suoi limiti,
attraverso l’esperienza sensibile. L’io è da subito in relazione con il mondo, quindi è
intersoggettivo.
Quindi possiamo dire che il principio di verificazione trova che l'unica coscienza che abbia
senso è quella che, mediatamente o immediatamente, si riporta all'autocoscienza sensibile
e su essa fonda le proprie certezze, i propri dubbi, quel poco che sa e quel molto di cui
cerca spiegazioni.
Se vogliamo fare una scienza dell’io necessariamente una tale scienza dovrà trattare dell’io come
di un oggetto; e per di più, se vorrà essere una scienza dovrà consistere di enunciati verificabili.
La conoscenza che l’io otterrà di sé sarà quindi una conoscenza sensibile (per lo meno empirica).
5. IL MONDO REALE
SUL REALISMO CRITICO DI GIULIO PRETI di Carlo Sini
«Il mondo reale». Che significa l’espressione “mondo reale?”, chiede Preti. Che cosa è la realtà?
Che cosa significa che qualcosa esiste? Realtà ed esistenza sono categorie pseudo-cosali e
poi sono termini non univoci (lo stesso deve dirsi per “verità”). Ciò a cui si deve guardare,
dice Preti, sono i criteri di verificazione volta a volta impiegati. Cioè, le pratiche concrete
poste in essere o in esercizio.
È all’interno di differenti universi di discorso (e non solo di discorso) che ogni cosiddetta
esistenza assume il suo senso specifico.
L’esistenza del numero 3 non ha il medesimo senso della esistenza del mio cane, dice Preti,
o della chimera e degli abitanti della luna. Questi oggetti hanno senso entro i limiti delle loro
operazioni costitutive e non fuori di esse. Il medesimo vale per gli oggetti della scienza,
come le particelle della fisica o i geni della biologia, ai quali Preti espressamente si richiamava
adducendo chiarificazioni preziose ed essenziali, atte a evitare il molto diffuso, realismo ingenuo
della mentalità scientistica diffusa.
Nel caso della realtà e della verità, esistono posizioni e spiegazioni che possiedono un
maggior grado di realtà e di verità: di questo tipo sono appunto le conoscenze scientifiche.
Maggior grado in che senso? Nel senso che la spiegazione scientifica produce effetti di più
ampia portata rispetto al comune sapere prescientifico, spiegandone anche i limiti e le
apparenze; e poi nel senso per cui la spiegazione scientifica insegna procedimenti e risposte ai
problemi largamente perfettibili in una verificabilità idealmente infinita: in a long run, diceva
Peirce. = Vocazione pragmatista di Preti.
La scienza non è un insieme di proposizione teoricamente vere in assoluto, ma è, invece, un
modo d’essere, unità di un atteggiamento specifico che si intreccia profondamente con
l’affermazione della stessa democrazia: l’avvento della democrazia coincide con l’avvento
della scienza. In questa prospettiva l’atteggiamento scientifico coincide con l’atteggiamento
critico-problematico.
21 mar.’14
Evidenziamo caratteristiche molto generali del pragmatismo.
1 non è considerato dai suoi esponenti come una dottrina, ma come un puro metodo, serve a
liberarsi degli inutile astrattismi. => come un metodo per chiarire un significato
2 concentra l’attenzione sulla verità. Su qualcosa che è il prodotto del long run interpretativo. Non
è più dunque verità ma effetti di verità (Foucault sottolinea in varie opere che quello che conta
sono effetti pratici) => se vogliamo quindi è una teoria del significato.
I significati guadagnano consenso all’interno di una comunità in base agli effetti pratici. Il pensiero
pragmatista associa il vero a ciò che è rilevante. Ciò che non emerge una volta sola, ma si radica.
Franzese: tra i pragmatisti conta ciò che è rilevante e ciò che non lo è.
3° elemento: tema della credenza (belief), collegato a quello della certezza.
Che cos’è una credenza? Ciò in base a cui un uomo è pronto ad agire. La prassi è la prova vera e
propria della teoria: ogni significato si incarna in un abito di risposta, altrimenti è insignificante.
Papini: pragmatismo una sorta di corridoio di passaggio tra varie scuole di pensiero.
Peirce parresiasta? Fu sempre fedele alla sua vita parresiasta. Nonostante la fame, si dedicava a
ricerche logiche, alla semiotica e all’economia. I primi due scritti pragmatisti:
- il fissarsi della credenza.
- come rendere chiare le nostre idee.
Peirce conosceva i logici medievali. La logica dell’inferenza (ragionamento con cui si passa da una
premessa a una conclusione, da qualcosa di noto a qualcosa di non).
Cosa ci conduce? Un principio direttivo, che un abito logico che può essere costruzionale o
acquisito. Va inteso nel senso di exis aristotelico. E un’inclinazione ad agire, una postura, un
qualcosa che indossiamo per stare al mondo. E’ l’esercizio ripetuto e reiterato che produce
l’abitudine a comportarsi in modo simile tutte le volte che si daranno quelle condizioni nel futuro.
P.191 p.192 3°parte, rapporto dubitare-credere (gli stessi temi di Della Certezza