Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
La filosofia ermeneutica del diritto
1. Premessa
Il termine "ermeneutica" viene oggi usato in più sensi: in un primo senso, esso è un semplice sinonimo di "interpretazione"; in un secondo senso, indica ogni dottrina filosofica o giusfilosofica che attribuisca un rilievo centrale al problema dell'interpretazione; in un terzo senso, designa l'anticatradizione dell'interpretazione dei testi sacri (religiosi, ma anche giuridici); in un quarto senso, denomina una corrente filosofica del Novecento, fondata da Hans Georg Gadamer[1]; in un quinto senso, denota l'idea che - contrariamente a quanto
per oscurarne i contorni; essa, peraltro, sembra avere almeno il pregio di attirare l'attenzione dei teorici dell'interpretazione sul fatto che questa, oltre a consistere di una successione di atti, ha anche carattere circolare, dovendo spesso tornare indietro e riconfigurare i propri presupposti.
La circolarità, che è viziosa in logica, potrebbe quindi risultare virtuosa nella teoria dell'interpretazione.
Comunque sia, quasi contemporaneamente all'ermeneutica filosofica di Gadamer, si è formata anche un'ermeneutica più strettamente giuridica, qui rappresentata dall'opera del civilista tedesco Josef Esser[7]: autore le cui opere più importanti corrispondono ai due momenti nei quali si è sviluppata la discussione tedesca sull'interpretazione giudiziale[8].
In un primo momento, proseguendo la vecchia polemica contro il formalismo interpretativo, Esser ha sostenuto soprattutto che il giudice partecipa creativamente
Al processo di produzione del diritto: e questo senza troppe differenze tra il giudice di civillaw, che per i formalisti dovrebbe limitarsi ad applicare la legge e il giudice di commonlaw, che sempre per costoro dovrebbe limitarsi ad applicare i precedenti giudiziali.
Dopo un periodo trascorso negli Stati Uniti, in effetti, Esser, pubblica "Principio enorma", nel 1956, in cui riscopre, ben prima di Dworkin, il tema dei principi, come norme giuridiche elaborate in relazione al caso concreto.
In un secondo momento, nel quale si dà ormai per assodato che i giudici producano diritto, l'attenzione si sposta sull'accertamento dei vincoli razionali cui tale produzione dovrebbe comunque obbedire: e in questa fase del dibattito cade "Precomprensione scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto", del 1972.
La nozione ermeneutica di precomprensione, qui menzionata sin dal titolo, viene impiegata per mostrare che l'attività del
giudice è orientata da una rappresentazione anticipata del risultato da ottenere: rappresentazione che gli suggerirebbero sia le norme cui ricorrere, sia l'interpretazione da attribuire loro per conseguire il risultato. Superando l'opinione tipica del giusrealismo americano secondo cui le argomentazioni dei giudici sono semplici razionalizzazioni di decisioni fondamentalmente a-razionali, Esser insiste sulla razionalità del processo che dalla precomprensione porta alla decisione giudiziale: posizione che l'accomuna all'odierna analisi del ragionamento giuridico. L'ermeneutica filosofica e quella sua prosecuzione che è l'ermeneutica giuridica, sfociano dunque nell'analisi dei problemi dell'interpretazione e della argomentazione sviluppata dalla filosofia del diritto in senso ampio: analisi non più estrinsecamente filosofica, nel primo e più tradizionale significato di filosofia, ma condotta dallo stesso punto di vista.vista del giurista, come riflessione concettuale e metodologica interna all'agiurisprudenza e dunque da considerarsi filosofica piuttosto nel terzo dei sensi di "filosofia" considerati a suo tempo[9]. Anche l'ermeneutica, da questo punto di vista, ha concorso in modo decisivo a quel superamento della filosofia del diritto in senso ampio. 2. L'approdo ermeneutico della scienza giuridica Il passaggio dalla dogmatica tradizionale all'analitica e da questa all'ermeneutica giuridica non individua una scansione esclusivamente temporale o di sviluppi teorici tutti interni alla scienza giuridica, che si vengono succedendo l'uno all'altro [10]. E' vero: essa incide sul merito delle differenti raffigurazioni del diritto che le diverse prospettive presentano: diritto come concetto logico, come proposizione linguistica, come interpretazione. Deve essere chiaro che la prospettiva ermeneutica non rigetta né la funzione di garanzia e di controllo cheLa dogmatica è in grado di assicurare, né l'aspirazione analitico-linguistica ad una formalizzazione sintattica del linguaggio giuridico: ma intendere recuperare gli aspetti più fecondi dell'uno e dell'altro approccio in una visione più ampia, che riconnetta la teoria alla prassi del diritto e in questo senso superi la radicata abitudine dei giuristi di professare teoricamente una dottrina che nella pratica quotidianamente sconfessano.
La prassi giuridica, sulla cui rilevanza richiama l'attenzione il modello ermeneutico, è "oggetto" da osservare, indagare e descrivere teoricamente, perché fornisce gli elementi sui quali il giurista viene elaborando le sue concettualizzazioni[11].
Nella scienza giuridica teoria e prassi risultano strettamente connesse, modello "operativo" e modello "conoscitivo" si trovano intimamente compenetranti in un'incessante interazione che ha per fine ultimo di
conoscere per operare e operare conoscendo. È infatti nella prassi interpretativa che il giurista comprende qualcosa come diritto o come appartenente al diritto[12]. In contrapposizione alla rigidità dell'antico imperativismo di stampo giuspositivistico e negando l'autosufficienza semantica sostenuta da una parte della filosofia analitica, l'approccio ermeneutico attribuisce alla prassi giuridica, alle connessioni di significato temporalmente vissute, un carattere intersoggettivo e plurale e porta in evidenza le "perdite" antropologiche che la modernità giuridica, pur con le sue importanti conquiste di uguaglianza di trattamento e di imparzialità, è latrice di una valutazione depersonalizzata delle situazioni umane, ha portato necessariamente con sé. Più che dal potere, la giustificazione giuridica procede da una attività ermeneutica, dalla manifestazione di una competenza che si manifesta all'interno del
cato delle parole.