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Lezione sulla catalisi enzimatica.
Cominciamo a parlare del meccanismo catalitico delle proteasi a serina, parliamo quindi del
meccanismo con cui una generica proteasi a serina come la chimotripsina catalizza l’idrolisi di un
peptide.
Caratteristica del sito attivo sarà, sicuramente, la tasca idrofobica; dove come sappiamo il substrato
in quanto attivo si andrà ad organizzare, a sistemare, chiaramente la porzione idrofobica del peptide
quindi l’amminoacido che viene riconosciuto specificatamente dalla chimotripsina si andrà ad
inserire nella tasca di legame che è quella deputata al riconoscimento.
Che cosa accade nel momento in cui il substrato si può inserire?
Prima tappa: Ci troviamo all’interno del sito attivo
della
chimotripsina; come vediamo il
substrato ha due colorazioni diverse
proprio a mettere in evidenza il punto
di idrolisi, di scissione per dare origine
alla reazione. La reazione come
sappiamo procede attraverso l’attacco
nucleofilico da parte dell’ossidrile
della serina in cui, come vediamo, il protone non è staccato, ma è in rosso,cioè sicuramente questo
atomo di ossigeno ha delle caratteristiche differenti rispetto alle caratteristiche che avrebbe un
generico gruppo ossidrilico, questo perché come sappiamo c’è l’istidina che esercita questa trazione
nei confronti del protone. Classico attacco nucleofilico da parte di questo ossigeno sul carbonile di
questo legame peptidico. Che cosa succede?
Si ottiene un intermedio, quindi parliamo di una molecola ben definita, a vita breve; in particolare
vediamo un atomo di carbonio tetraedrico che si è venuto a formare per il legame con l’enzima,
attraverso la serina; e vediamo come questi elettroni, che sono proprio quelli coinvolti nel legame
che verrà ad essere idrolizzato, di fatto vengono utilizzati per strappare questi protoni all’istidina, in
modo tale che di fatto verrà ad essere idrolizzato il peptide. Il primo prodotto di fatto è quello che
vediamo segnato come prodotto1, che potrà lasciare il sito attivo dell’enzima; di fatto la reazione
avviene subito, l’idrolisi è avvenuta; di fatto, il ciclo non è completo perché, come ben sappiamo,
l’enzima deve ritornare nelle condizioni iniziali, quindi, vi è il sito attivo libero, pronto per
accomodare un nuovo peptide. Quindi continuiamo e veniamo al punto 3:
Abbiamo visto come il sito attivo dell’enzima è stato in parte, metà liberato perché il primo
prodotto ha lasciato l’enzima e, di fatto, la reazione continua, in che modo?
Questo prende il nome di intermedio dell’acil-enzima, di cui abbiamo
già sentito parlare; perché se ricordiamo bene era una di quelle strutture
studiate attraverso la cristallografia, che si era riusciti ad ipotizzare
attraverso cristallografia.
Nella seconda parte interviene una molecola di
acqua, che di fatto può prender parte,
catalizzata dall’enzima, in che modo? Nella
stessa maniera in cui la serina aveva innescato
la reazione, cioè l’atomo di ossigeno della
molecola di acqua va a determinare un attacco nucleofilico a livello
dell’intermedio dell’acil-enzima sul carbonile, sfruttando il fatto che c’è
sempre l’istidina in posizione ottimale per attrarre a è il prodotto, prodotto
nell’acqua; quindi, l’acqua si comporta esattamente come aveva fatto
prima la serina. Che cosa succede?
L’intermedio acil-enzima si trasforma in
questo intermedio a
vita breve in cui troviamo ancora una volta
questo atomo di carbonio tetraedrico e in cui il
tutto è stabilizzato per intervento di ulteriori
residui amminoacidici, quali questa glicina193
che crea delle interazioni deboli e quest’altro
residuo di serina195, che è la stessa che ha
portato avanti la reazione ma che era avvenuta
nell’altro dominio della proteasi; in questo
caso, in questo dominio, la serina è coinvolta nella formazione di queste interazioni deboli. Ci sono
ulteriori arrangiamenti elettronici, in quanto chiaramente questa carica negativa presente
sull’ossigeno, lo rende particolarmente reattivo, che è il motivo per cui questo intermedio è un
intermedio a vita breve; proprio perché la tendenza è quella di andare in
direzione di un prodotto più stabile; dallo spostamento di questi
elettroni in condizioni in cui si trova un atomo di carbonio, in altri
termini si otterrà questo prodotto in cui come vediamo questa seconda
parte di prodotto non interagisce più in maniera covalente con alcuna
parte dell’enzima ma solo attraverso interazioni deboli; capiamo bene
che questo secondo prodotto potrà allontanarsi dal sito attivo
ripristinando l’enzima libero.
Abbiamo parlato della tasca idrofobica, che abbiamo visto esser quella
deputata al riconoscimento del substrato ed è necessaria anche per
immobilizzare in quella posizione il peptide; deputando quindi il legame peptidico da idrolizzare
nella posizione migliore affinché possa avvenire il processo catalitico; in altri termini stiamo
ripetendo tutto ciò che fa un enzima, non è soltanto promuovere e far inserire il substrato, è tutto
l’insieme di operazioni che realizza che cooperano alla realizzazione della reazione.
In più possiamo osservare quest’altra struttura, chiaramente schematizzata, in cui di fatto in
prossimità della tasca idrofobica troviamo quello che è noto come buco
dell’ossianione. Perché si chiama buco dell’ossianione?
Il motivo è molto semplice, nel corso della reazione abbiamo visto
come ad un certo punto si passa da questa struttura qui del nostro
intermedio, che è in corso di
trasformazione, in quest’altro intermedio
qui; cioè, quel famoso atomo di carbonio
tetraedrico al quale era legato quell’atomo di ossigeno carico
negativamente. Questa struttura dell’enzima prende il nome di buco
dell’ossianione perché è proprio all’interno di questa struttura che va a
localizzarsi, a posizionarsi, quest’atomo di ossigeno carico
negativamente; in più nella struttura schematizzata vengono messi in evidenza tutti i residui che
prendono parte alla reazione in modi diversi: abbiamo la serina, l’istidina e l’aspartato che vanno a
costituire la triade catalitica; dall’altra parte residui di glicina che intervengono alla formazione di
interazioni deboli.
(Andare a vedere video riassuntivo del meccanismo della chimotripsina sul
sito http://www.sumanasinc.com/webcontent/animations/content/chymotrypsin.html)
Continuiamo a parlare di catalisi e in modo particolare, prima di passare al secondo meccanismo
che ci occuperemo, fermiamoci un attimo a fare delle considerazioni sul meccanismo catalitico
delle proteasi a serina, in cui abbiamo visto predominante la catalisi di tipo covalente, ma abbiamo
visto anche, in maniera più o meno evidente, come nel corso di una reazione vi siano stati
spostamenti di protoni, quindi l’intervento anche di catalisi acido-base.
Quello che mostriamo adesso è un ulteriore meccanismo catalitico che riguarda la RNasiA, cioè un
enzima di cui non abbiamo mai parlato ma che di fatto, in quanto enzima catalizza una reazione
enzimatica, in particolare, idrolizzando l’RNA nei suoi nucleotidi e vediamo in maniera veloce
attraverso che tipo di catalisi. Mostriamo più esempi solo per capire che i meccanismi catalitici sono
sempre gli stessi.
Abbiamo questa molecola di RNA, quali sono i residui amminoacidici che prendono parte a questa
catalisi? Abbiamo in evidenza due residui di istidina, istidina12 e istidina119; che tipo di catalisi si
può formare? Che fanno? Cosa fanno questi due residui di istidina? Che catalisi è, che cosa avviene
in questa prima tappa? Vedo un attacco nucleofilico ma vedo anche altro, che cosa è necessario
affinché un attacco nucleofilico può procedere? Che cosa deve
succedere a questo protone?
Deve essere allontanato, in questo caso strappato; da chi?
Abbiamo un residuo di istidina il cui atomo di azoto ha un
proprio pka, in condizioni di pH ottimali, tant’è che anche
questo enzima ha una dipendenza forte dal pH, è in grado di
andare a strappare un protone; che catalisi è questa?
Catalisi acido- base generale. Quindi, nella prima tappa abbiamo questo attacco nucleofilico da
parte di questo atomo di ossigeno sul gruppo
fosfato presente su una molecola di un
elemento; si viene a formare questo
intermedio molto caratteristico e interviene
allo stesso tempo una molecola di acqua, che
promuove a sua volta un ulteriore attacco
nucleofilico sempre a carico del fosfato.
Otteniamo
quest’altro
intermedio, nel
frattempo il nucleotide era staccato, e di fatto anche in questo caso nel
secondo step, la seconda parte del prodotto non prevede interazioni di tipo
covalente. In contrario si è visto invece quando abbiamo parlato di un
inibitore, di un farmaco, che invece lega covalentemente un enzima; invece
anche in questo caso il secondo prodotto potrà lasciare il sito attivo
dell’enzima.
Ancora una volta queste informazioni relative al meccanismo, derivano da
cosa? Da informazioni strutturali, ma anche da studi biochimici.
Studiando l’attività di questo enzima è stata trovata una forte dipendenza
per la velocità della reazione dal pH; quindi, questo dato cosa poteva far
pensare? Di un coinvolgimento di residui con caratteristiche tali per cui al
variare del pH non erano o erano in grado di promuovere questo tipo di
catalisi. Qual è quel tipo di catalisi dipendente dal pH e, quindi, dal pka dei residui? Chiaramente
quella acido-base.
Allora, data la conoscenza del sito attivo, osservando l’interno di questo sito attivo, vedendo che
erano presenti residui di istidina che rispondono a questi requisiti è stato ipotizzato che fossero
proprio questi i residui catalitici nell’RNasiA; chiaramente questa era un’ipotesi, com’era possibile
dimostrarla in maniera inequivocabile? Ad esempio mutando una di queste istidine? Cosa succede
se mutiamo una di queste istidine con un altro residuo amminoacidico non in grado di far partire
una catalisi acido-base? Tutto ciò non potrebbe accadere; quindi, la mutagenesi sito-diretta potrebbe
essere una strategia per confermare l’ipotesi nata sulla base di dati biochimici e di strutture.
Chi è quest’altro enzima? Che esempio è questo?
Trattasi dell’anidrasi carbonica; catalisi da ioni metallici.
In particolare, nel caso dell’anidrasi carbonica, abbiamo un atomo
di Zinco(+) che vediamo essere coordinato all’interno dell’enzima
da tre residui di istidina e