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3.2 TEORIA DELLO SVILUPPO DI FREUD
Secondo Freud il bambino nasce con pulsioni sessuali che spingono per essere
soddisfatte. Tale pulsione, che lo accompagnerà per tutta la vita, prende il nome di
Eros e, a seconda della fase di sviluppo, interessa e si soddisfa attraverso una
particolare parte del corpo. La maturazione, sostiene Freud, si raggiunge quando il
soggetto unifica tutte le pulsioni nell’attività sessuale genital matura e riproduttiva.
Queste pulsioni sono “contenute” nell’inconscio, una parte nascosta e non
consapevole della mente umana ma che influenza tutti i comportamenti e le azioni, sia
normali che patologiche.
Le fasi di sviluppo individuate da Freud sono:
Stadio orale: il soddisfacimento della pulsione avviene tramite la suzione e interessa il
periodo dell’allattamento, dalla nascita fino ad un anno.
Stadio anale (da 1 a 3 anni) in cui il soddisfacimento della pulsione avviene attraverso
l’attività sfinterica. E’ il periodo in cui i genitori insegnano il controllo degli sfinteri.
Stadio fallico: (dai 3 ai 5 anni) in cui il bambino scopre l’organo sessuale e la
differenza tra i due sessi. Coincide con il “Complesso di Edipo” periodo in cui il
bambino si identifica con il genitore dello stesso sesso e prova attrazione per il geitore
del sesso opposto.
Periodo di latenza:(da 6 a 11 anni) è il periodo dell’ingresso nella scuola e di
apparente tranquillità delle pulsioni sessuali. Sostiene Freud che, in questo period, la
sessualità diventa di secondaria importanza per favorire l’apprendimento.
Stadio genitale: coincide con la pubertà e comporta l’interesse per l’altro sesso e per
l’apertura alle relazioni esterne alla famiglia. In questo period si definisce e consolida
l’identità sessuale.
3.3 TEORIA DELL’ATTACCAMENTO DI BOWLBY
In merito allo sviluppo sociale ed emotivo del bambino lo psicologo J. Bowlby
elaborò una teoria basata sulla relazione che si instaura tra madre ( o una persona
significativa che si prende cura di lui, chiamato di seguito caregiver) e bambino.
Secondo l’autore esiste una predisposizione innata e biologica che determina tra
madre e bambino un legame di attaccamento indispensabile alla sua sopravvivenza.
Nei primi mesi di vita il pianto, il sorriso hanno lo scopo di richiamare l’attenzione su
di sé e sono funzionali in quanto determinano risposte di accudimento e cura da parte
dell’adulto. Crescendo questi comportamenti diventano gradualmente più complessi
ed intenzionali. I comportamenti dell’adulto si sincronizzano con quelli del bambino
dando vita ad una reciprocità del rapporto che costituisce, appunto, un “legame di
attaccamento” . Come nei bambini (ma anche nei cuccioli) esiste una predisposizione
innata alla ricerca di cure, così l’adulto è biologicamente programmato per offrire
cure e accudimento. Quando si crea e si consolida una relazione stabile essa
rappresenta una “base sicura” ovvero la consapevolezza acquisita dal bambino che
esiste qualcuno che si prende cura di lui e che gli consente di potersi gradualmente
allontanare ed esplorare l’ambiente nella sicurezza di poter ritornare alla base e
potersi rifornire di affetto e rassicurazione. La teoria dell’attaccamento si basa anche
sui precedenti studi di Lorenz sull’“imprinting” (fenomeno per il quale alcune specie
animali seguono il primo oggetto animato visto alla nascita) e di Harlow sulle
scimmie. In particolare gli esperimenti di Harlow consistevano nell’allontanamento di
cuccioli di scimmia dalle loro madri sostituendo queste ultime con manichini di ferro
freddi e duri che somministrano però latte. Accanto ad essi erano presenti altri
manichini, morbidi e caldi. Harlow dimostrò che il cucciolo, soprattutto in situazioni
di stress, preferiva il contatto con i manichini rivestiti di materiale caldo molto più che
con quelli che somministravano nutrimento, segno che il contatto fisico riveste un
ruolo fondamentale nelle prime fasi dello svuiluppo di tutte le specie.
Mary Ainsworth approfondì la teoria di Bowlby e attraverso degli esperimenti
individuò diversi stili di attaccamento tra madre e bambino. Gli esperimenti
consistevano nell’osservare il bambino in situazioni forzate di separazione dalla
madre e il comportamento manifestato sia in presenza di un estraneo sia al ritorno
della figura materna.
Distinse 4 tipi di attaccamento:
attaccamento sicuro: il bambino si mostra curioso, attivo e sereno nell’esplorare
l’ambiente anche in assenza della madre e in presenza di un estraneo. E’ segno che il
bambino è sicuro del legame con la madre e fiducioso nel suo ritorno. Non mostra
collera o ansia.
attaccamento insicuro - evitante: il legame di attaccamento è instabile, la ricerca di
contatto e bisogno di sostegno non hanno ricevuto adeguata risposta e spesso la madre
si è mostrata insensibile o incapace di decifrare i segnali di necessità e di sostegno del
bambino. Non solo il bambino non mostra sofferenza per l’allontanamento dalla
madre ma neppure felicità o sollievo per il suo ritorno.
Attaccamento ansioso-ambivalente: l’allontanamento dalla madre è per il bambino
fonte di estremo disagio, attraverso il pianto, mostra insicurezza rispetto il legame. Il
legame pur essendo presente non rappresenta una base sicura.
Attaccamento disorganizzato: il legame di attaccamento con la madre non si è
consolidato ed il bambino non ha potuto contare su un legame saldo. In tal caso
possono essere presenti gravi psicopatologie, abuso e traumi. Il bambino manifesta
comportamenti contraddittori e disorganizzati, ricerca di contatto seguiti da
allontanamento ed evitamento.
3.4 TEORIA DEGLI STADI PSICOSOCIALI DI ERIKSON
Secondo Erickosn lo sviluppo psicologico e sociale di un individuo avviene attraverso
il superamento progressivo di alcune fasi, ciascuna delle quali rappresenta un periodo
critico o una sfida. Gli stadi psicosociali di Eriksono sono:
fiducia/sfiducia ( dalla nascita a 1 anno) : il compito della prima fase della vita è
costruire il senso di fiducia in se stessi. Il senso di fiducia si consolida quando il
bambino acquisisce la consapevolezza che i propri bisogni e necessità trovano
accoglimento. Se tale consapevolezza non è raggiunta, prevale la sfiducia e
l’individuo potrebbe crescere sospettoso, chiuso e diffidente nei confronti del mondo
esterno e degli altri.
Autonomia/vergogna e dubbio (da 2 a 3 anni): è il periodo in cui il bambino inizia ad
essere educato alle funzioni e al controllo degli sfinteri. L’autonomia è l’obiettivo ma
se non viene superato, se l’educazione è troppo rigida, può essere percepito un senso
di vergogna verso se stessi e dubbio riguardo le proprie capacità.
Spirito di iniziativa/ senso di colpa (4-5 anni) : anche in questa fase un’educazione
che limita e ostacola la libera iniziativa, l’esplorazione e l’intraprendenza del bambino
può inibirlo e ostacolare la sua curiosità.
Indrustiosità/inferiorità: coincide con l’ingresso nella scuola e quindi con la presenza
di stimoli nuovi e nuovi apprendimenti. Esperienze positive rafforzano sentimenti di
fiducia, stima di sé mentre esperienze negative trasmettono sensazioni di sfiducia e
fallimento.
Identità/diffusione d’ identità: è il periodo più turbolento e coincide con l’adolescenza,
con lo sviluppo della sessualità e di una maggiore definizione del ruolo e dell’identità
personale. Il raggiungimento di una personalità non sufficientemente integrata può
comportare confusione e smarrimento rispetto a se stessi.
Intimità e solidarietà/isolamento: coincide con la prima età adulta in cui l’ adeguato
superamento delle fasi precedenti permette al soggetto di poter entrare in rapporto con
gli altri, di stabilire relazioni stabili intime e fondate sulla fiducia. Se invece non si è
consolidata un’identità definita, il giovane sente rischio di “perdersi” nell’altro e tende
a isolarsi.
Generatività/stagnazione e autoassorbimento: l’adulto che ha raggiunto uno sviluppo
sano sente il desiderio e l’interesse di occuparsi dell’altro, di generare e rappresentare
una guida per le generazioni successive. Chi invece non ha raggiunto la maturità
psicologica adeguata non riesce ad investire sull’altro, si ripiega su stesso e sui propri
interessi.
Integrità dell’io/disperazione: è la fase conclusiva della vita, il periodo in cui ogni
individuo compie un bilancio della propria esistenza. Chi ritiene di aver vissuto con
soddisfazione prova un senso di completezza e accettazione per questa fase della vita,
chi sente rimpianti o rancori affronta la vecchiaia con paura e senso di fallimento.
3.5 L’IMPORTANZA DEL GIOCO
Il gioco nel bambino può essere considerato molto più che un’attività ludica, ma un
immenso valore sia nello sviluppo cognitivo, sia nello sviluppo emotivo e sia come
strumento di socializzazione e di conoscenza del mondo. Anche il più semplice dei
giochi, infatti, impegna una serie di risorse cognitive che vengono in questo modo
potenziate ed allenate: utilizza l’attenzione, la memorizzazione e strategie per
risolvere problemi, permette di costruire nessi tra eventi e oggetti e di metterli a
confronto. Il gioco può essere un mezzo di allenamento per alcuni esercizi motori ma
permette anche l’espressione di stati d’animo e desideri. Il gioco diventa anche
strumento di socializzazione quando, crescendo e diminuendo l’egocentrismo, il gioco
diventa da parallelo ad associativo e successivamente a collaborativo. Il gioco
parallelo si manifesta quando i bambini pur essendo vicini non interagiscono tra loro.
3.6 L’ADOLESCENZA
L’adolescenza rappresenta uno dei periodi più complessi nella vita di un individuo a
causa delle rapide trasformazioni che riguardano il proprio corpo, il rapporto con il
gruppo dei pari e le figure genitoriali. Rappresenta una delicata fase di transizione
dall’età infantile all’età adulta. Secondo Havighurst l’adolescente deve affrontare e
superare specifiche problematiche il cui superamento consente di divenire un adulto
sicuro e consapevole. Tali problematiche individuate dall’autore sono:
instaurare relazioni nuove e più mature rispetto a quelle infantili con i coetanei
• di entrambi i sessi
acquisire un’identità femminile e maschile
• accettare i cambiamenti del proprio corpo
• raggiungere indipendenza emotiva dalle figure ge