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Mill sostiene la necessità del dibattito in quanto:
l’espressione di un’opinione è un crimine particolare, perché significa
“impedire
derubare l’intera razza umana” l’opinione è giusta, si è privati
perché “se
dell’opportunità si passare dall’errore alla verità; se è sbagliata, si perde […]la
percezione più chiara e viva della verità, fatta risaltare dall’errore ”.
Mill teme è che gli uomini non sappiano cautelarsi dalla propria fallibilità. In tal caso si
deve attuare, una netta distinzione tra i sovrani assoluti, che hanno completa fiducia in se
stessi perché abituati alla deferenza assoluta, e le altre persone che si basano
sull’infallibilità del mondo in misura proporzionale alla mancanza di fiducia nel proprio
giudizio individuale, occupandosi proprio di quest’ultimo.
L’obiezione più probabile sarebbe che se non agissimo sulla base delle nostre opinioni
perché possono essere erronee, trascureremmo i nostri interessi e i nostri doveri.
“Dovremmo allora non imporre tasse e, per quanto provocati, non dichiarare guerre?
[…]La certezza assoluta non esiste, ma esiste una sicurezza sufficiente ai fini della vita
umana”.
Questa considerazione ci porta a esaminare il secondo enunciato della teoria esposta. Mill,
è la massima differenza tra presumere che un’opinione è vera perché
infatti, dice che:“vi
[…]non è stata confutata, e presumerne la verità al fine di non permetterne la
confutazione. E’ proprio la completa libertà di contraddire e confutare la nostra
opinione che ci giustifica quando ne presumiamo la verità”.
Il predominio di comportamenti e opinioni razionali è dovuto alla qualità della mente
umana di saper correggere i propri errori rimediandovi con la discussione e l’esperienza, di
cui la discussione è necessaria per indicare l’interpretazione dell’esperienza. Le opinioni e
le pratiche erronee cedono quindi ai fatti e agli argomenti che devono essere esposti alla
considerazione della mente.
Persino la Chiesa cattolica ammette alla canonizzazione di un santo l’“avvocato del
diavolo” che cerchi tutte le pecche possibili.
L’argomentazione che pongono coloro che vogliono evitare la discussione è che si debba
vietare la discussione su una dottrina di cui sono certi che è certo. Questo modo di pensare
sposta solo l’argomento di discussione, ma non la modalità: se si discute dell’utilità delle
varie dottrine su cui è vietato discutere, non si fa altro che confrontarsi anziché sulla verità
della dottrina sulla sua utilità, ma il confronto rimane punto centrale.
L’errore dell’uomo è quindi quello di incaricarsi di decidere per conto di altri riguardo
l’immoralità di un’opinione impedendo che questa venga difesa, spesso sbagliando; esempi
famosi sono l’eliminazione di Socrate, di Gesù e le persecuzioni decise da Marco Aurelio.
Il danno maggiore è provocato a coloro che eretici non sono, poiché lo sviluppo mentale è
bloccato; nessuno può essere un grande pensatore se non riconosce che suo primo dovere è
seguire l’intelletto indipendentemente dalle conclusioni cui può condurre.
I primi due enunciati, sono da considerarsi come un unico blocco per affinità di contenuti e
per facilitarne la comprensione. Col terzo enunciato Mill sostiene che, se non si discute a
fondo l’opinione, essa finirà per essere creduta un freddo dogma. Se l’opinione è pensata
come un pregiudizio (ovvero qualcosa d’insito e indiscutibile), la verità non è altro che una
superstizione associata a parole che enunciano una verità.
“Se l’intelletto e il giudizio degli uomini vanno coltivati […]le questioni migliori per
esercitarli sono quelle che riguardano l’individuo tanto da vicino da far ritenere
necessario che se ne formi un’opinione.[…]Qualcuno potrebbe tuttavia affermare:
“Insegniamo agli uomini i fondamenti delle loro opinioni. Ma chi studia la geometria
non si limita a imparare a memoria i teoremi, ma comprende e studia anche le
dimostrazioni”.
Non bisogna infatti solo essere in grado di esporre argomenti convincenti, ma, e la scienza
forense ne è un esempio, è necessario anche e soprattutto conoscere e saper demolire gli
argomenti della controparte, cosa che la maggior parte dei cosiddetti uomini di cultura non
“la loro conclusione può essere vera, ma per quel che ne sanno
è in grado di fare, per cui
può anche essere falsa: non si sono mai messi al posto di chi pensa diversamente da
loro, considerandone le possibili argomentazioni, di conseguenza non conoscono, in
nessuna accezione corretta del termine, la dottrina che essi stessi professano”. Ciò è
indispensabile ai fini della conoscenza, che se una dottrina non trova oppositori è
necessario inventarli e munirli dei più efficaci strumenti di contrasto possibili. Se poi si
sostiene che non è necessario che tutti gli uomini siano in grado di individuare inesattezze
ed errori di un ingegnoso oppositore, l’argomento a favore della libera discussione non ne
esce per nulla indebolito. Infatti, se questa dottrina afferma che tutti gli uomini devono
avere la sicurezza razionale che si è risposto in maniera soddisfacente a tutte le obiezioni,
come si risponde se la risposta adatta non è ancora stata formulata? Come fanno teologi e
filosofi a familiarizzare con le difficoltà da risolvere se esse non sono enunciate
liberamente?
“Perché i maestri dell’umanità possano conoscere tutto ciò che dovrebbero, vi deve
essere libertà incondizionata di scrittura e pubblicazione”.
“la mancanza di
Tutto ciò ci catapulta alla formulazione del quarto enunciato. Infatti
discussione non solo fa dimenticare i fondamenti di un’opinione, ma il suo stesso
significato”. Questo è dimostrato da quasi tutte le dottrine morali e religioni. L’uomo ha,
infatti, la tendenza a smettere di pensare a una questione quando non è più dubbia,
passaggio fondamentale del consolidamento di un’opinione ma che faccia perdere gli
strumenti di confutazione del passato senza tuttavia trovarne di nuovi. Infatti, chi deriva
tutta la sua istruzione da insegnanti e libri, non ha alcun obbligo di considerare entrambi gli
aspetti di una questione, evitando quindi spesso di considerare la replica dell’antagonista.
Perfino il progresso tende a eliminare una verità per parziale per sostituirla a un’altra più
adatta al caso contingente ma senza assommarle. Ciò avviene anche in politica, dove i
partiti politici sono in antitesi tra loro; proprio da questa situazione di antitesi si ricava una
situazione di equilibrio offrendo uguali opportunità a tutti gli aspetti della verità. C’è
anche chi obietta che alcuni principi non hanno bisogno di antagonismo, come la morale
cristiana, che però presenta tutti i caratteri di una reazione, di una protesta contro il
paganesimo, che pone, il “non farai” assai più del “farai”; con ciò si sollecita un’ubbidienza
passiva. Inoltre i detti di Cristo sono piuttosto incompleti in quanto non si occupano di tutta
“ogni verità propugnata da uomini di mentalità ristretta sarà applicata
la morale. Perciò
come se al mondo non ne esistesse altra” e quando l’uomo ascolta una sola opinione “gli
errori si cristallizzano in pregiudizi, e la verità stessa cessa di avere effetto perché
l’esagerazione la rende falsa”.
Dell’individualità come elemento del bene comune.
Mill ritiene che la libertà dell'individuo debba avere un limite, in altre parole,
l'individuo non deve creare fastidi agli altri.
L'unanimità non è auspicabile e così utile che vi siano differenze d'opinione e
differenti esperimenti di vita. Il libero sviluppo dell'individualità è uno degli elementi
fondamentali del bene
comune anche se il valore intrinseco della individualità è male riconosciuto.
“La difficoltà maggiore che si incontra
nell'affermazione di questo principio non risiede nella determinazione dei mezzi
necessari per raggiungere un fine riconosciuto, ma nell'indifferenza generale nei
confronti del fine stesso.
Se la gente si rendesse conto che il libero sviluppo
dell'individualità è uno degli elementi fondamentali del bene comune; che non solo
è
connesso a tutto ciò che viene designato da termini come civiltà, istruzione,
educazione, cultura, ma è di per se stesso parte e condizione necessaria di tutte
queste
cose, non vi sarebbe il pericolo che la libertà venisse sottovalutata, e la definizione
dei confini tra essa e il controllo sociale non presenterebbe enormi difficoltà.”
Decisiva risulta la dottrina di Von Humboldt.
"Il fine dell'uomo, o ciò che è prescritto dai dettati eterni o immutabili della
ragione,
non suggerito da desideri vaghi e passeggeri,
è il più elevato e armonioso sviluppo dei suoi poteri
in un'unità completa e coerente"; che quindi, lo scopo "a cui ciascun essere
umano deve costantemente tendere i suoi sforzi, e su cui debbono sempre
concentrarsi
coloro che cercano di esercitare un influsso sui propri
simili,
è l'individualità del potere e dello sviluppo";
che ciò richiede due elementi,
"la libertà, e la varietà delle situazioni";
e che dalla loro unione nascono
"il vigore individuale e la molteplice diversità",
che si combinano nella "àoriginalit ".
Secondo Von Humboldt la natura umana non è una macchina da costruire mediante
un modello e da regolare perché compia esattamente il lavoro assegnatole, ma un
albero, che ha bisogno di crescere e svilupparsi in ogni direzione, secondo le
tendenze delle forze interiori che lo rendono una creatura vivente.
“Nella nostra epoca, tutti, dalla più
elevata alla più infima classe sociale, vivono come se fossero sotto lo sguardo di un
censore ostile e tremendo”.
Il genio può respirare solo in un'atmosfera di libertà: se non esiste, la società non
trarrà alcun beneficio dal loro genio. Il dispotismo della consuetudine è ostacolo del
progresso umano: un popolo si ferma quando cessa di possedere l'individualità