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SITUAZIONE DEL PROBLEMA

Lo scopo di questo lavoro è duplice, da un lato mette alla luce quella che sembra essere una

debolezza metodologica dell’egittologia di affrontare i problemi posti dalla figura della civiltà

faraonica, d’altra parte mostra che questa debolezza è prodotta in primo luogo dalla non

conoscenza del carattere specifico del discorso figurativo comparato con altre fonti

d’informazione disponibili. Per altre fonti si intendono non solo i testi ma anche gli oggetti d’uso

che si trovano in archeologia e che richiedono particolare attenzione condotta da una

metodologia ancora largamente da scoprire.

Senza dubbio il problema è di tipo generale, ma si pone nel settore della ricerca egittologica con

un’acutezza particolare, grazie all’azione combinata di due fenomeni: da una parte il notevole

bisogno di immagini che avevano, più di ogni altro popolo, gli antichi Egizi e grazie a questo

disponiamo di un notevole repertorio di rappresentazioni figurative, d’altra parte la

documentazione scritta, malgrado la sua abbondanza, presenta un certo numero di lacune che

incoraggiano naturalmente l’utilizzo dell’immagine per illustrare e precisare lo scritto, ma anche

per sopperire, in settori anche diversi dagli avvenimenti storici, le situazioni della vita quotidiana,

lo svolgimento delle liturgie e il pensiero religioso, o ancora lo stato delle scienze e delle tecniche.

Tale uso è lecito, l’immagine può e deve intervenire molto nel panorama della cultura faraonica,

niente lo contesterebbe. Tuttavia, non sono chiare le modalità metodologiche di utilizzo

dell’immagine in queste ricostruzioni. L’immagine è generalmente utilizzata per lo storico come

un documento interamente trasparente, uso che manifesta senza dubbio in modo eloquente il

potere di evocazione della figura, ma comporta anche un rischio di introduzione in un

ragionamento scientifico di una soggettività tanto più perniciosa che si ansconde sotto le

evidenze. Il presupposto è la lettura naturale dell’immagine, effettuata senza apprendimento,

per un semplice esercizio di osservazione, come se non fosse strettamente associato al

funzionamento di un cervello organizzato secondo dei modelli appresi, come se, a differenza del

linguaggio scritto, il linguaggio figurativo producesse in tutti i casi dei significati evidenti e

universali. Va notato che l’immagine non è solo l’unica vittima di questo senso d’evidenza, e la

situazione del testo lo stesso, nel caso particolare del mito riscritto, non è differente, sebbene

l’analisi strutturale ha da tempo denunciato l’inanità della lettura immediata o l’autopsia per

questo tipo di discorsi. Si illustrano queste considerazioni con alcuni esempi. Volontariamente

disparate quanto la antura delle immagini evocate, permettono comunque di evidenziare un uso

documentario fondato sulla convinzione implicita dell’immediatezza del senso figurativo.

LA QUESTIONE DELLA NARRAZIONE, LA TAVOLETTA DELLA CACCIA

E’ nel campo della preistoria che, in assenza di documenti scritti, le figure sollecitano di più lo

storico. Manici di coltello in avorio, tavolette in scisto, e teste decorate spesso permettono

interpretazioni storiche più o meno precise. Più che la fragilità dei risultati, è la legittimità stessa

di queste ricerche che dovrebbe essere messa in discussione, vista l’insistenza di una riflessione

critica sui modelli di costruzione dei significati dell’immagine storica. Perché non si può accettare

senza una precedente discussione l’idea che questi oggetti raccontano, se quello che raccontano

è un avvenimento e se questo avvenimento è di natura storica. Un caso esemplare è fornito

dalla tavoletta detta “della caccia” conservata in parte al Louvre e in parte al British Museum.

Sarebbe superiore al campo di applicazione di questo articolo di stabilire la storiografia completa.

Tuttavia, il confronto delle descrizioni più dettagliate rivela, malgrado qualche divergenza di

dettagli, un consenso sull’intenzione narrativa del creatore dell’oggetto. Una delle descrizioni più

dettagliate, quella di A. Erman e H. Ranke, è spiegata di seguito. Tradusse l’immagine

sottoforma di “suspence”, pieno di emozioni e colpi di scena.

<< Una tavoletta in scisto di epoca preistorica ci dice, in modo dettagliato, di una caccia ai leoni:

due truppe di guerrieri, potentemente armati, sono in marcia verso un comune nemico. Uno dei

leoni, forato da sei frecce, è già eliminato dal combattimento, ma l’altro, che ha un piccolo da

difendere, è reso più feroce dalle due frecce che lo penetrano sulla fronte. Furioso, salta su uno

dei tiratori, dal quale proviene la freccia, e fugge. Ma i suoi compagni lanciano una nuova freccia

e uno dei cani da caccia corre in soccorso del cacciatore. Il successo della parata sembra non

avere dubbi. In effetti altri membri di questo gruppo di cacciatori si dirigono verso una partita

meno pericolosa: un branco di gazzelle in subbuglio si dirige verso un secondo cane, che ha fatto

alzare anche uno struzzo e un cervo, e un piccolo coniglio cerca una via di fuga. Una delle

gazzelle viene presa con un laccio mentre una seconda è minacciata dalla stessa sorte, e tutto

sembra indicare che i cacciatori tornano soddisfatti, carichi di un ricco bottino>>.

Questa lettura, apparentemente così naturale, suppone l’immediatezza del senso figurativo e il

diritto dello storico di restituire all’immagine un senso fondato sulla sua personale esperienza

vissuta, applicando inconsciamente il processo di lettura adatto agli “affreschi storici”. Dal

dominio filologico, questa attitudine equivale a tentare la lettura di un testo che ignora

completamente la grammatica. Per tornare alla stessa tavoletta, vorrei ricordare che questa

presa di posizione in favore dell’interpretazione narrativa porta una prima conseguenza a un

conflitto minimo, ma rivelato, tra l’asse tipo logicamente verticale dell’oggetto e la sua

presentazione moderna, frequentemente orizzontale. Il modo in cui l’oggetto si trova esposto al

Louvre e al British Museum, come l’orientamento di numerose riproduzioni, indica chiaramente

la scelta di un punto di vista conforme alle nostre abitudini ma contrario all’orientamento originale

comunque assicurato per il confronto con tutte le altre tavolette conosciute. Altrimenti, si può

notare che la narrazione sembra apparire imperfetta poiché non consente ai commentatori di

utilizzare questa modalità di lettura di decidere se l’immagine rappresenta una o due cacce, se

uno o due gruppi di cacciatori sono coinvolti, se attaccano uno o due leoni. Desideroso di

realizzare una narrazione coerente, lo scultore egiziano sarebbe stato incapace di eliminare dalla

narrazione qualsiasi equivoco spaziale e temporale. Quanto all’articolazione propria

dell’immagine, non tanto quanto avvenimento in uno spazio di riferimento postulo, ma quanto una

narrazione in uno spazio offerto dal campo stesso dell’oggetto, essa non è prevista come un dato

fondamentale della sua espressione.

Provare,a proposito della tavoletta della caccia, l’esperienza di un’analisi puramente visiva,

eliminando da prima qualsiasi riferimento esterno all’immagine e studiando quest’ultimo nella sua

struttura spazio-temporale. Come tutti gli oggetti che supportano un’immagine, la tavoletta offre

all’immagine un campo finito, chiaramente delimitato e quindi generatore di suggestioni

geometriche che possono o non possono essere trattenute dal compositore. In questo caso, la

forma attribuita all’oggetto dalla tradizione fornisce una possibilità d’organizzazione asimmetrica

da entrambi i lati di un’asse verticale maggiore. La proposta è stata adottata: il campo figurativo

deve essere chiaramente articolato in due metà e indicazioni equivalenti. Ciascuna di queste

posizioni presenta una sequenza impari orientata in basso – personaggi portanti armi e insegne.

Nessuna uniformità presiede la distribuzione di questi elementi all’interno delle due serie di

personaggi, ad eccezione di un punto sul quale si rafforza il carattere antitetico della

composizione: i personaggi della sequenza a destra portano alla cintura una sorta di piccolo

scudo rotondo, che nessuno dei compagni a sinistra possiede. Notiamo che il semplice esame

del catalogo delle armi presentate dai cacciatori è sufficiente a mettere in dubbio la validità

dell’interpretazione narrativa. Una battuta di caccia richiede armi specifiche e non abiti

ingombranti che comprendono le associazioni più diversificate, archi, boomerang, giavellotti o

lance, lacci, scudi. Inoltre, l’associazione “con scudo/senza scudo” essendo irrilevante dal punto

di vista della caccia, il suo funzionamento deve essere di un altro livello.

Il riconoscimento di questa prima opposizione destra-sinistra non è sufficiente a realizzare la

struttura della tavoletta: la coppa interrata esattamente al centro di gravità dell’oggetto determina

una seconda distinzione tra la parte alta e bassa del campo. In alto, tre soggetti sono sia in

movimento che in pericolo: un leone, un uomo e un’antilope. Il leone salta, l’uomo cade, l’antilope

è dietro. Il leone viene ferito, l’uomo colpito, l’antilope catturata. La composizione è una spirale,

la struttura aperta e dinamica, sembra adattarsi bene al carattere e alla situazione drammatica.

Siamo nel tempo e nello spazio del segno, che coinvolge un rappresentante vivente di ogni

ordine: carnivoro, erbivoro, umano e esprime una relazione tra loro in battaglia.

Al vertice opposto sotto la coppa, la sequenza distribuisce tranquillamente la posizione del

doppio orientamento: animali del deserto, cervi, antilopi, struzzi, due cani. Sulla punta della

tavoletta, un leone viene trafitto da 5 frecce, isolato come punto culminante, volta le spalle al

campo e solo tutti gli altri esseri rappresentati adottano l’orientamento alto-basso. Ci definisce

l’esito positivo della battaglia, la vittoria dell’uomo sulla fauna.

Non abbiamo a priori informazioni sul tipo di messaggio che potrebbe contenere l’immagine,

lasciandosi guidare dall’organizzazione si giunge al riconoscimento di una complessa struttura di

binari di opposizione. La signora Groenewegen-Frankfort l’ha chiamato “caotica mancanza di

gruppo” e “perfetto disinteresse in materia di spazio”. Forse si può parlare di disinteresse in

fatto di spazio, a condizione che lo spazio che questo spazio egiziano non faccia riferimento al

nostro spazio, lo spazio visivo della tradizione occidentale. Ha il suo spazio, immagini,

combinazioni di segni grafici che contengono un conte

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
7 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-OR/02 Egittologia e civiltà copta

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Maya E. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Egittologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Sist Loredana.