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CAP.3 EDA E TEMPO LIBERO
Così come nel lavoro, anche nel tempo libero il soggetto deve saper fare ricorso alla sua creatività per
renderlo tempo ricco di significato, di costruzione e di partecipazione attiva. La sua dimensione educativa
stà nell’occasione di essere utilizzato per fruire delle opportunità formative offerte dalla comunità,
assecondando i propri interessi personali.
Non è tanto il contenuto a qualificare il tempo libero, quanto il grado di gratificazione che ne deriva.
Il continuum del processo di educazione permanente prevede anche l’uso del tempo libero oltre che quello
scolastico e lavorativo.
Le condizioni da soddisfare al fine di un impiego razionale del tempo libero sono:
a. Dev’essere effettivamente tempo libero
b. Il soggetto deve avere possibilità di scelta fra varie attività
c. Il soggetto deve avere una carica di energia ancora intatta e spendibile
d. Il soggetto dev’essere educato ad un impiego razionale del tempo libero, orientato al recupero
della vitalità personale in vista del proprio perfezionamento
La causa principale dei fenomeni patologici del tempo libero è da ricercarsi in primis nella incapacità di
organizzare le possibili attività ludiche in direzione educativa. In concomitanza a tale incomprensione,
agisce un’offerta di attività che s’impone in maniera pervasiva facendo leva su frustrazioni e ambizioni di
riscatto e affermazione (alcolismo, gioco d’azzardo e attività illecite).
È nella dimensione ludica/del gioco, nella sua gratuità e libertà che prende corpo la sua essenza educativa.
Il gioco è solo apparentemente un passatempo, un’attività fine a se stessa, poiché in realtà si offre come
esercizio di simulazione analogica, di potenziamento immaginativo e creativo ed occasione di conoscenza
di sè.
Nel tempo libero l’esigenza della cura di sé può trovare le sue forme di espressione e di risposta.
CAP.4 EDA E DISABILITA’
Uno dei connotati salienti dell’educazione è l’inclusività, e punta quindi alla ricerca di una migliore qualità
della vita. Di tutte le vite.
Bisogna considerare la presenza della diversità come parte della realtà e della vita, e quindi riconoscerne il
valore e le potenzialità è il motore dell’educazione.
Integrare significa rendere completo, compenetrarsi e completarsi a vicenda. L’integrazione è quindi una
necessità logica dell’educazione. E si concretizza in un processo fondato sull’inclusione attiva e permanente
delle diversità.
Per molto tempo, e talvolta ancora oggi in alcune realtà, il soggetto disabile viene stigmatizzato ed
identificato come zavorra improduttiva della società, relegato al di fuori dei confini dell’adultità in termini
di autonomia, consapevolezza e partecipazione. Come se l’unica forma di crescita riservata loro fosse un
invecchiamento fisiologico che squalifica sempre più, col passare del tempo, le loro prestazioni.
Ma affinchè l’educazione possa mirare al suo obiettivo di rendere il soggetto disabile artefice del proprio
destino, è necessario che smetta di essere considerato dagli altri come un minorato non in grado di
assumersi qualsiasi decisione, anche la più piccola. Lo slogano di molte associazioni di persone con
disabilità è “NULLA SU DI NOI SENZA DI NOI”.
Per rendere possibile l’EdA per i soggetti disabili è necessario quindi adottare la prospettiva della
diversabilità: considerare l’individuo nelle sue particolarità e valorizzare le sue potenzialità e suscettibilità
educative-trasformative. E poi, qualunque sia la situazione di partenza, bisogna cercare di accrescere
continuamente il livello di capacità di comprendere la propria esistenza, di creare relazioni significative per
innescare reciproche trasformazioni e di offrire un personale contributo alla comunità.
Il primo tabù legato alla disabilità riguarda i diritti della persona. L’identità adulta si costruisce anche i
virtù del riconoscimento sociale che le viene attribuito, quindi nella Convenzione delle Nazioni Unite del
2006 vengono affermati i diritti della persona disabile alla pari di qualsiasi altra persona. Tra i principali vi
sono: il diritto alla libertà di scelta; quello della mobilità personale con la maggior autonomia possibile;
quello della libertà di espressione ed opinione e libero accesso alle informazioni; quello del rispetto della
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vita privata, di sposarsi e fondare una famiglia; di essere coinvolti in processi di apprendimento continuo
per tutto l’arco della vita; potersi mantenere con un lavoro; di partecipare alla vita pubblica.
Il secondo tabù della disabilità è il lavoro. Anche il lavoro è un altro aspetto qualificante l’identità adulta.
Esso è molto di più di uno strumento di sopravvivenza, e garantirne l’accesso tutelandone i diritti ad esso
connessi è una sfida politica, culturale ed educativa. L’ invalidità civile è una condizione prevista dal nostro
I provvedimenti legislativi
ordinamento giuridico, correlata alla riduzione della capacità lavorativa di un individuo.
più significativi del settore sono:
- Legge 104/1992 che prevede il collocamento obbligatorio per quelle persone che rientrano nelle
categorie di persone affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, ai disabili intellettivi, persone
invalide di guerra, invalide del lavoro.
- Legge 68/1999 che prevede il collocamento mirato definito come quella serie di strumenti tecnici
che permettono di valutare le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative al fine di inserirle
nel posto adatto.
Non basta però garantire l’accesso al lavoro, occorre che esso sia percepito come veramente tale, sia da chi
lo svolge che da chi lo riscontra. I tre indicatori applicabili per la progettazione dell’inserimento lavorativo
sono:
1) La CENTRALITA’. Quanto è centrale l’inserimento per l’immagine di sé costruita dal singolo, per il
suo sistema di valori?
2) Il CONTROLLO. La persona esercita un adeguato controllo nel suo compito lavorativo o aderisce
passivamente ad un programma elaborato da altri?
3) La CONTINUITA’. L’esperienza lavorativa presenta carattere di continuità nel tempo o mostra
improvvise variazioni?
Il terzo tabù è la sessualità. La sessualità è una questione ineludibile laddove si persegua l’adultità della
persona. La sfida è contro quegli stereotipi e pregiudizi che portano a misconoscere esigenze e desideri
legati al piacere erotico ed all’esigenza di stringere relazioni affettive appaganti. È molto diffuso guardare
alle manifestazioni sessuali dei disabili come perverse. Bisogna quindi promuovere una cultura della
sessualità come dimensione portante dello sviluppo della persona, la cui crescita s’intreccia
inevitabilmente con la conoscenza di sé, dei propri bisogni e desideri e la conoscenza dell’altro.
CAP.5 EDA E SENILITA’
Solamente quando l’invecchiamento non è considerato soltanto come un problema biologico, ma anche
esistenziale e sociale viene introdotto il termine Geragogia; per designare l’interesse per quell’insieme di
teorie e pratiche di formazione rivolte ai soggetti anziani; finalizzate ad un ‘buon invecchiamento’ sul piano
fisico e psicologico. La geragogia è pedagogia dell’invecchiamento, è il momento pedagogico della
prevenzione anti-senile, è vera e propria educazione all’invecchiamento, è l’insegnamento diretto
all’adulto ma anche al giovane affinchè riesca ad invecchiare con successo.
Il compito del geragogista è molto vasto: dovrà occuparsi d’igiene, di alimentazione, di attività fisica, di
farmaci e soprattutto dovrà fornire nuovi scopi esistenziali che consentano all’anziano di vivere da
protagonista, senza esser relegato al di fuori come uno spettatore.
Anche l’educazione ad un buon invecchiamento si colloca nel continuum della Scienza dell’educazione
permanente, e prevede la collaborazione di più figure specializzate che lavorano in èquipe, tra cui
l’educatore.
La prima sfida è di costruire e veicolare una cultura dell’anziano nel rispetto e nel riconoscimento delle
potenzialità trasformativo-migliorative. Gli interventi educativi sono agenti di cambiamento non
accomodanti ma caratterizzati per la loro capacità di generare domande e di indurre nuovi bisogni. E si
potrà parlare di educazione dell’anziano solo se avrà potuto accrescere la propria capacità di operare
scelte autonome, e se sarà in grado di comunicare agli altri ciò che ha appreso. 17
“AI CONFINI DELL’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI” Elena Marescotti
L’idea di educazione è in stretta connessione con i concetti di limite e possibilità, che sono i termini
dialettici del processo di crescita migliorativa. L’educazione è chiamata a guardare con attenzione i limiti,
sia in quanto confini oltre i quali non è dato spingersi, sia in quanto frontiere che aspettano di essere
attraversate ed aprono a nuove possibilità. È quindi l’atteggiamento della sfida da compiere per
raggiungere nuovi orizzonti, la vera potenzialità dell’educazione.
L’educazione si pone come lente interpretativa che consente di riconoscere quali sono le questioni da
accogliere come sfide; e spetta all’educatore sfidare! L’educatore sfida, spronando se stesso e gli altri a
costruire nuovi strumenti, competenze e potenzialità; mirando al miglioramento; sfidando il contesto e le
situazioni esplorandone i limiti e possibilità.
Sulla base di questi presupposti, i contributi raccolti in questo libro individuano e trattano alcuni temi
sfidanti l’educazione e da essa sfidati.
CAP.1 L’ADULTO DI FRONTE ALLA SFIDA ECOLOGICA- E.Marescotti
La crisi ecologica/ambientale e la crisi della sostenibilità ecologica/ambientale è una delle questioni più
complesse della nostra contemporaneità, ed è un problema strettamente connesso al nostro essere-nel-
mondo.
Il paradosso è che l’allarme viene gridato ed ignorato allo stesso tempo. È quindi evidente che vi sia un
cortocircuito nel nesso razionale tra conoscenza/consapevolezza dell’uomo e la sua azione nell’ambiente.
Tra noi è l’ambiente vi è una interazione necessaria. Noi siamo influenzati dall’ambiente e a nostra volta lo
influenziamo. La crisi ecologica è dunque una crisi educativa; il