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Dai dibattiti televisivi agli alunni: un modello "incivile" di discussione

Tutti quelli che non fanno parte del pubblico si sentono legittimati a interrompere chi parla, tutti vogliono dire la loro, le voci si sovrappongono, ognuno alza la voce per tacitare quella degli altri, nessuno è più in grado di ascoltare nessun altro in una sorta di hobbesiana guerra di tutti contro tutti. I dibattiti televisivi sono una scuola di prevaricazione, di prepotenza, di confusione, senza distinzione riguardo alle opinioni politiche del conduttore. Più che a un salotto di persone educate, gli studi televisivi appaiono come l'arena di un circo, dove si battono dei gladiatori di fronte a un pubblico assetato di spettacolo e di emozioni. Il modello viene spesso replicato nelle assemblee di condominio e anche nelle aule parlamentari.

A scuola si può imparare e fare proprio un modello diverso e contrapposto di discussione pubblica che segua una serie di regole.

Prima regola, tutti hanno il diritto (non l'obbligo) di parola e il moderatore, invece di gettare benzina sul fuoco, deve assicurarsi che tutti possano esprimersi liberamente rispettando l'ordine di precedenza.

Seconda regola, solo il moderatore ha diritto di interrompere chi sta parlando, ma solo nel caso in cui questi ecceda nei tempi convenuti, nei toni e esca visibilmente dal tema in discussione.

Terza regola, il diritto di parlare è connesso al diritto di essere ascoltati e quindi al dovere di ascoltare gli altri.

La regola dell'ordine di precedenza, o del turno di parola, se si tratta di una conversazione di gruppo, è molto importante. In assenza della regola, e di chi sia in grado di farla rispettare, ogni discussione si trasforma in una gara di prontezza per sfruttare ogni pausa o esitazione di chi sta parlando per inserirsi prepotentemente nella discussione.

Le persone rispettose, che aspettano di accertarsi che chi sta parlando abbia effettivamente

finito il suo intervento prima di parlare, sono sistematicamente prevaricate e finirebbero per tacere all'infinito se il moderatore non desse loro la parola quando è arrivato il loro turno. Queste regole sembrano ovvie e banali, ma se lo fossero veramente non saremmo costretti ad assistere non solo nei salotti televisivi, ma nello stesso Parlamento, a episodi che evidenziano in maniera brutale le carenze della nostra cultura civile. Una discussione ordinata, infatti, produce quasi spontaneamente una serie di effetti positivi:
  1. Induce al rispetto reciproco, non interrompere vuol dire rispettare l'altro e quindi implicitamente anche le sue opinioni, ancorché non condivise;
  2. Il fatto di dover aspettare il proprio turno induce alla riflessione, ad un maggior controllo degli impulsi emotivi che spingerebbero ad una reazione e a una manifestazione immediata del proprio dissenso (o anche consenso);
  3. Una maggiore riflessività favorisce anche lo sviluppo delle
capacità di argomentazione razionale delle proprie opinioni e lo sviluppo di questa capacità è una finalità rilevante dell'educazione. I paladini dell'immediatezza diranno che un dibattito ordinato diventa noioso perché frenale passioni, riduce l'appello ai sentimenti, non suscita forti emozioni. Può darsi, ma un dibattito, anche se televisivo, non è uno spettacolo. Non si tratta di eliminare passioni, sentimenti ed emozioni, ma di tracciare degli argini nell'ambito dei quali possano manifestarsi. Tra gli addetti all'industria dei media si è affermata la convinzione che spontaneità e autocontrollo siano due valori contrapposti (e che il valore da affermare sia quello della spontaneità), come se non si possa essere spontanei se non si passa subito all'atto e come se il rispetto delle regole sia sempre inevitabilmente inibitorio della spontaneità. 4. Solidarietà e

competitività: due valori contrapposti? Il discorso sulle regole consente di affrontare un altro tema cruciale nell'educazione civile e cioè il rapporto tra competizione e solidarietà. Il tema è ben presente nel vissuto giovanile in quanto concerne anche l'ambito della pratica sportiva, ambito spesso trascurato da chi si occupa di educazione. Trekking o cicloturismo sono attività sportive non competitive, lo sport però implica quasi sempre la competizione, vale a dire una dimensione presente, in modo latente o manifesto, in molte relazioni e organizzazioni sociali umane. Nessuno giocherebbe una partita se non si aspettasse che esistono delle regole del gioco le quali vengono in linea di massima rispettate. La competizione presuppone le regole se non si vuole che degeneri nella guerra di tutti contro tutti con tutti i mezzi possibili. Il gioco (e non solo quello sportivo) non esiste al di fuori delle regole e per questo esistono gli arbitri.

perché la competizione può essere un'opportunità per sviluppare abilità e competenze; terzo, perché imparare a rispettare le regole è fondamentale per vivere in una società civile. È importante che gli insegnanti di educazione fisica e gli allenatori delle squadre giovanili siano consapevoli del loro ruolo educativo e si impegnino a trasmettere ai giovani l'importanza del rispetto delle regole nella competizione. Devono essere esempi di lealtà e fair play, incoraggiando i giovani a competere in modo sano e rispettoso. La formazione civile degli insegnanti e degli allenatori dovrebbe includere anche la promozione di valori come l'onestà, la responsabilità e la solidarietà. Devono essere in grado di insegnare ai giovani che la competizione può essere un'occasione per crescere e migliorarsi, ma solo se viene condotta nel rispetto delle regole e dei valori fondamentali. In conclusione, la formazione civile degli insegnanti di educazione fisica e degli allenatori delle squadre giovanili è fondamentale per garantire che i giovani imparino a competere in modo leale e rispettoso. Solo attraverso l'educazione e l'esempio di figure autorevoli, i giovani potranno comprendere l'importanza delle regole nella competizione e sviluppare una mentalità di fair play che li accompagnerà per tutta la vita.perché il tal modo sievita di affrontare il tema delle regole; terzo, perché le regole della competizione riguardano il grande tema valoriale della giustizia distributiva. Non c'è bisogno di scomodare la socio-biologia (che sostiene che la competizione è una caratteristica di tutte le specie viventi) per rendersi conto della ubiquità dei fenomeni competitivi, anche se si può senz'altro ammettere che vi sono culture dove la competitività occupa un posto meno cruciale che non nella cultura dell'Occidente moderno. Noi però viviamo in questa cultura, come vi sono vissuto i nostri padri e le nostre madri e come vi vivranno i nostri figli, le nostre figlie e i nostri nipoti. Non necessariamente dobbiamo infondere nell'educazione valori competitivi, non dobbiamo insegnare a vincere, ma almeno a non soccombere. Ed è a questo proposito che assumerilievo la cultura delle regole, come tutela dei diritti ad una.la collaborazione e la solidarietà. La competizione leale è fondamentale in contesti come lo sport, dove gli atleti si sfidano per raggiungere risultati migliori, ma è altrettanto importante promuovere la solidarietà e la collaborazione in ambiti come l'istruzione, il lavoro di squadra e la società in generale. Inoltre, è importante sottolineare che la competizione leale implica il riconoscimento dei meriti di ciascuno. Ogni individuo dovrebbe essere valutato in base alle proprie capacità e al proprio impegno, senza favoritismi o discriminazioni. Solo in questo modo si può garantire una competizione equa e giusta. In conclusione, la competizione leale è un valore importante da promuovere, in quanto permette a ciascuno di mettersi alla prova, migliorarsi e raggiungere obiettivi personali. Tuttavia, è altrettanto fondamentale promuovere la solidarietà e la collaborazione, per creare un ambiente in cui tutti possano avere opportunità di successo e realizzazione.

La solidarietà. Vediamo qualche esempio.

5. Quando cooperare e quando competere

È noto che spesso è più facile imparare dai propri pari che non dagli insegnanti. La relazione tra pari è per definizione più simmetrica, sgombra dai timori reverenziali che talvolta si accompagnano alla presenza di figure dotate di autorità, la comunicazione riesce più facile. Del resto, le pratiche del lavoro di gruppo, tra cui ad esempio il cooperative learning, si fondano su questo assunto empiricamente fondato. È noto anche che in ogni classe, e per ogni materia, c'è qualcuno che è più bravo degli altri. Il valore della solidarietà dovrebbe indurre i più bravi ad aiutare i meno bravi. Non succede spesso. I più bravi non sono quasi mai i più amati perché la loro superiorità li fa diventare tendenzialmente superbi e l'atteggiamento degli insegnanti nei loro confronti spesso

Alimenta questa tendenza. Talvolta può succedere addirittura che i "primi della classe" finiscano per essere isolati, se non altro per l'invidia che si sviluppa nei loro confronti. Non sono tanto modelli da emulare quanto personaggi da evitare. Il dovere della solidarietà verso i più deboli dovrebbe venire positivamente incoraggiato e anche i "primi della classe" trarrebbero qualche beneficio da un po' di umiltà in più.

La solidarietà, invece, diventa un dovere in una situazione specifica: durante i compiti in classe e le prove d'esame. Nella cultura della scuola italiana "copiare" è un diritto dei più deboli e "far copiare" un dovere dei più bravi. Un esempio eloquente di solidarietà malposta. Molti insegnanti "chiudono un occhio" (o anche tutti e due) di fronte alla copiatura per un insieme di ragioni: primo, perché è probabile che

lo abbiano fatto anche loro quando erano studenti; secondo, perché sottosotto apprezzano la copiature come un atto di solidarietà tra compagni; terzo, per "quieto vivere", richiamare chi viola una norma e emettere delle sanzioni comporta sempre un impiego di tempo, di energie e la possibilità di rimostranze da parte dei colpiti e delle loro famiglie (che, ovviamente, proteggono quasi sempre i loro discendenti). "Copiare è umano" e ciò che è "umano" è sempre accoppiato a buoni sentimenti.

6. Una questione di giustizia

La copiatura produce danni irreparabili alla coscienza civile e all'etica pubblica e non è difficile spiegare perché. La verifica, la valutazione, il momento in cui si misurano gli apprendimenti e quindi le prestazioni sono tra le prime occasioni nella vita di una persona in cui si incontra un problema di giustizia distributiva. È inevitabile, infatti, oltre che desiderabile,

che la valutazione svolge. Tuttavia, è innegabile che il modo in cui viene percepita da studenti e genitori sia spesso legato alla sensazione di essere premiati o puniti. La valutazione, infatti, può influenzare l'autostima degli studenti e la loro motivazione nello studio. Un bel voto può far sentire un ragazzo valorizzato e incoraggiato a continuare a impegnarsi, mentre un brutto voto può generare frustrazione e demotivazione. È importante, quindi, che la valutazione venga utilizzata in modo equilibrato e giusto, senza creare situazioni di premio o punizione. Dovrebbe essere uno strumento per fornire un feedback costruttivo agli studenti, aiutandoli a comprendere i loro punti di forza e le aree in cui possono migliorare. Inoltre, la valutazione dovrebbe essere basata su criteri chiari e trasparenti, in modo da rendere il processo equo per tutti gli studenti. È fondamentale che gli studenti siano consapevoli di come vengono valutati e di quali sono le aspettative nei loro confronti. In conclusione, la valutazione ha molteplici funzioni, ma è importante evitare che venga percepita come una semplice ricompensa o punizione. Dovrebbe essere uno strumento per guidare gli studenti nel loro percorso di apprendimento e favorire la loro crescita.
Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
11 pagine
1 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher valeria0186 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof losito gianni.