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L’ALBA DEI LIBRI
Venezia capitale del libro
Nel cinquecento Venezia era considerata una delle tre megalopoli d’Europa, assieme a Parigi e
Napoli; era una città che viveva prevalentemente del commercio nel Mediterraneo e difatti in città
vi si potevano trovare botteghe di tutti i tipi, a partire da quelle che vendevano stoffe (e che hanno
diffuso i tessuti “rosso veneziano” ), cuoi-oro (pannelli di cuoio sbalzati e dorati), armi (Venezia era
rivenditrice di armi in tutta Europa) ma soprattutto libri. Venezia era infatti piena di botteghe librarie,
concentrate soprattutto a piedi del ponte di Rialto; dopo l’invenzione della stampa da parte di un
orafo tedesco (tal Gutenberg) e l’esportazione di questa nuova tecnica in Europa e soprattutto
nella capitale del regno veneto, la città lagunare è diventata leader indiscusso della produzione
libraria d’Europa e del mondo fino ad allora conosciuto: il motivo dietro questa espansione libraria
è dovuto ad una questione giuridica; nel momento in cui muore il tedesco che per primo ha portato
la tecnica della stampa a Venezia, il privilegio richiesto alla Serenissima (un permesso al
monopolio qualora si intraprenda una nuova attività o si crei qualcosa di nuovo all’interno di
un’attività già insediata, legato alla persona che lo richiede) di poter stampare nella città diventa un
privilegio libero, quindi gli altri tipografi in città aprono le loro officine ed iniziano a stampare
liberamente.
Perché stampare libri diventi un’attività di successo sono necessarie tre condizioni: alta
concentrazioni di letterati (forniti dalla vicina università di Padova), ampia disponibilità di capitali
(Venezia era piena di ricchi mercanti che non avevano paura di investire)e profonda capacità
commerciale, di cui la Serenissima è sempre stata famosa.
Le botteghe librarie esponevano parte della mercanzia all’esterno: sopra un paio di banchi erano
posizionati i frontespizi dei libri (il libro vero e proprio era conservato all’interno della bottega, onde
evitare furti), soprattutto classici greci e latini, testi religiosi, stampe (come vedute della città etc.),
libri in lingua straniera (Venezia era piena di stranieri, sia residenti che in transito), romanzi
cavalleresti e libri di diritto. La maggior parte dei libri in vendita costituiscono il vero e proprio
catalogo dell’editore, che produce i testi nella bottega stessa; dietro i banchi si trovava la vetrina, in
cui erano esposti libri interi impreziositi da miniatori che realizzavano e decoravano le lettere
maiuscole all’inizio di ogni capitolo, oppure decoravano l’impaginazione. L’interno della bottega
presentava i fogli sciolti (che erano effettivamente le pagine del libro: la rilegatura era considerata
un servizio in più offerto dal librario che poteva permettersi il macchinario) avvolti in carta
azzurrina: alcuni allineati in orizzontale, altri in verticale tanto che il potenziale acquirente doveva
per forza di cose rivolgersi al librario per ottenere il libro (ad ogni modo ogni librario esponeva il
proprio catalogo all’esterno della bottega, e tutti potevano consultarlo). Allora come oggi la
disposizione dei libri era un elemento fondamentale: i libri di diritto, ad esempio, richiedevano una
sezione a parte perché più costosi degli altri.
Il prezzo di un libro rinascimentale era stabilito, oltre che dalla lavorazione vera e propria, dal tipo
di carta utilizzata: non tutti i librai infatti possedevano una fabbrica di carta, e dovevano per forza di
cosa acquistarla dal rivenditore; in più con l’avvento della fiera di Francoforte i clienti librai più
importanti si facevano comunicare i prezzi stabiliti dalla fiera in moto da poter controllare quanto
richiesto dai librai della loro città, stabilendo loro stessi il prezzo da pagare.
Aldo Manuzio, il Michelangelo dei libri
Aldo Manuzio è per l’editoria ciò che Michelangelo ed altri artisti del suo calibro sono per la storia
dell’arte: pionieri del mestiere, hanno innovato e rinnovato il loro ambito lasciandoci una ricca
eredità. Manuzio ha iniziato come semplice tipografo, ha espanso il suo mercato pian piano ed è
riuscito a diventare capo di una casa editrice che vantava tra i suoi acquirenti personalità di spicco
come Lucrezia Borgia, Federigo Gonzaga e quello che sarebbe stato eletto in seguito come Leone
X, ovvero Giovanni de’ Medici. Aldo Manuzio è stato il primo a concepire il libro come svago, ha
stampato il primo best seller della storia (il Canzoniere di Petrarca ha venduto nel Cinquecento più
di 100.000 copie) e dai suoi torchi è uscito (1499) il libro più bello mai stampato,
l’Hypnerotomachia Poliphili, un libro conturbante ricco di illustrazioni erotiche e di intagli pregiati, è
un vero e proprio capolavoro estetico; ha inoltre inventato il formato tascabile pensando ad un libro
per i pellegrini o per i viaggiatori in genere ed ha inventato il corsivo che meglio si adattava alle
stampe per il minor spazio occupato nella pagina.
Il primo Talmud
Che a Venezia fossero residenti gli ebrei è un fatto storico appurato: il primo ghetto della storia è
stato proprio il “serragli de’ giudei” istituito a Venezia, ma il fatto curioso è che sono stati proprio gli
ebrei a chiedere alla Serenissima di essere messi tutti insieme in un posto per stare più tranquilli
ed evitare scorribande ingiustificate da parte degli altri cittadini.
Ad ogni modo il primo Talmud ebraico mai stampato è stata un’idea di un fiammingo, un tedesco e
un tunisino residenti a Venezia. Il Talmud viene pubblicato tra il 1520 al 1523 in ben dodici volumi,
ma a fare scalpore è il fatto che sia stampato un testo di un’altra cultura religiosa: è risaputo che la
Serenissima non fosse in ottimi rapporti con la Chiesa di Roma e difatti quest’ultima, nel 1553
obbligherà le tipografie veneziane a pubblicare il Talmud senza che sul frontespizio vi sia la parola
“Talmud”.
Oltre al primo Talmud, Venezia è rinomata nell’editoria anche per la stampa del primo Corano, libro
sacro per gli arabi e conservato oggi nel monastero di San Francesco delle Vigne a Venezia. Il
fatto che sia conservato in un monastero cristiano non è una cosa atipica: quando ad un certo
punto la produzione libraria diventa talmente ampia che le botteghe straripano letteralmente di libri
sono stati proprio i conventi, i monasteri ad affittare i magazzini ai librari, riempiendosi così di libri
spesso molto rari e pregiati.
Armeni e greci
Tra i primati della Serenissima c’è quello di aver dato modo di stampare, nel 1512, il primo libro
armeno del mondo; a farlo è stato un certo Yakob che ha stampato un vero e proprio zibaldone
propiziatorio, il “Libro del venerdì”, una raccolta di preghiere e testi magici per premunirsi contro le
malattie e altri accidenti, molto in voga tra i naviganti (una leggenda racconta che dopo aver letto
ad alta voce alcune pagine del testo, i marinai di una nave mercantile si siano salvati da
un’invasione da parte dei pirati).
Per quanto riguarda i greci, Venezia ha sempre avuto stretti rapporti con le isole greche, grazie
anche alla posizione privilegiata nell’Adriatico; nella Serenissima venivano venduti tantissimi libri di
classici greci, ma a partire dal 1485 con “Batrachomyomachia” vengono pubblicati anche testi
religiosi in lingua greca.
La Terra e la guerra
A seguito delle scoperte geografiche da parte di Cristoforo Colombo e di Amerigo Vespucci si
sviluppa a Venezia un nuovo filone editoriale: la cartografia diventa una materia molto importante e
verranno quindi dati alle stampe mappamondi e cartine geografiche in enorme quantità, o trattati
geografici (il primo dei quali di Giovanni Ramusio nel 1550, “Navigationi e viaggi”); era Venezia che
diffondeva in tutta Italia le nuove scoperte geografiche (ricordiamo che sono stati i veneziani ad
inventare la Rosa dei Venti e a dare il nome ai venti).
Per quanto riguarda invece il rapporto della Serenissima con la guerra, i veneziani si
comportavano nel Cinquecento come fa adesso il popolo degli Stati Uniti: potevano infatti girare
armati ed in questo modo Venezia era una delle città con meno disordini cittadini proprio perché in
un’eventuale rissa il rischio di essere uccisi era molto elevato. Venezia aveva un territorio molto
vasto, che comprendeva l’intera penisola dei Balcani a sud e si espandeva fino al lago di Garda
nell’entroterra. Gabriel Giolito pubblica, tra il 1557 e il 1570 la prima collana della storia (l’aveva
chiamata “ghirlanda” in realtà, il termine collana subentrerà in seguito) raccogliendo e pubblicando
una serie di volumi tutti di argomento militare. Nel ventennio centrale del Cinquecento soltanto due
opere sull’artiglieria vengono stampate fuori Venezia, testimoniando così un altro primato per la
città lagunare.
L’editoria musicale
Nella Venezia del Cinquecento tutti cantavano: a partire dal parroco fino ad arrivare al gondoliere,
era raro camminare per strada senza sentire qualcuno intonare una canzone. I primi tentativi di
stampare note sono immediatamente successivi alla prima edizione della Bibbia di Gutenberg,
infatti il primo tentativo è datato 1476 con la pubblicazione di un Messale a Roma: la musica
religiosa è infatti più facile da stampare e per questa ragione si sviluppa per prima. Negli anni
ottanta del Quattocento però Venezia si impone sul mercato, stampando ben 76 edizioni di editoria
musicale. Grazie ad Ottaviano Petrucci e ad un altro marchigiano, nel 1501 viene stampato
l’”Odhecaton”, una raccolta di chansons di compositori franco-fiamminghi, primo testo musicale
non liturgico. Petrucci per stampare utilizza una tecnica molto dispendiosa, facendo passare il
foglio sotto il torchio per ben tre volte: la prima per imprimere i righi, la seconda per le note e i
segni e la terza per il testo; utilizza caratteri nitidi e i suoi testi sono di una qualità impareggiabile,
ma costosissimi e di bassa tiratura. Ci pensa Andrea Antico ad ideare un metodo alternativo a
quello di Petrucci: intaglia infatti le note in matrici di legno e compone il testo sottostante con il
metodo della xilografia, ovviando quindi al problema della tiratura.
Sarà Attaignant, un francese, ad inventare l’attuale metodo di stampa musicale nel 1528,
trasformando il libro musicale da prodotto di elìte a prodotto di massa; il suo metodo verrà espanso
in tutta Europa e giungerà a Venezia, dove i tipografi mettono a punta una particolare attrezzatura
per la stampa musicale, che gli permette di passare il foglio due volte nel torchio, una per i righi
(l’editore Scotto lo faceva colorandoli di rosso) e una per le no