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PARTE II: TEORIA DELLA REGOLAZIONE
CAPITOLO 4. La regolazione del livello e della struttura dei
prezzi.
Finora abbiamo analizzato quali strumenti di intervento la
fissazione di prezzi e tariffe minime per migliorare l’efficienza
allocativa e minimizzare le perdite per l’imprenditore in quei
settori che, per motivi strutturali, sono caratterizzati da un trade
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off tra efficienza produttiva e allocativa. Analizziamo in questo
capitolo sistemi di prezzo più complessi, definiti optimal pricing
(prezzi ottimi), che prevedano ad esempio forme di
discriminazione dei prezzi (prezzi diversi a utenti diversi) o tariffe
non lineari (prezzi diversi per unità diverse di servizio, cioè per
quantità consumata).
In particolare analizzeremo la teoria classica degli optimal pricing.
Che la teoria moderna non rinnega, anzi, li qualifica quali risultati
ottimali a cui la regolazione deve tendere.
Affronteremo la possibilità di raggiungere un’efficienza maggiore
a quella di second best attraverso l’utilizzo di forme
discriminatorie dei prezzi.
Estenderemo l’analisi al caso di imprese multiprodotto,
affrontando in particolare la questione dei prezzi di Ramsey, quali
prezzi discriminatori, e i prezzi di picco, come tariffe non lineari.
Infine ci occuperemo del problema dei sussidi incrociati.
1. Prezzi ottimi e discriminazione
Consideriamo dapprima il caso di un’impresa monoprodotto.
La teoria classica della regolazione ci dice che è possibile
raggiungere un risultato di first best (ottimo paretiano) attraverso
un meccanismo di discriminazione dei prezzi, o anche di tariffe
non lineari, a patto che siano rispettate le seguenti condizioni:
Perfetta informazione in tutti i rapporti principale-agente
coinvolti. In altre parola l’impresa deve essere in grado di
identificare il prezzo che ciascun consumatore (o gruppo di
consumatori) è disposto a pagare, cioè la sua curva di utilità.
Di riflesso è necessario che il Regolatore non abbia carenze
informative nei confronti dell’impresa;
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Assenza di arbitraggio. I gruppi di consumatori devono
essere separati tra loro, onde evitare scambio dei beni o
servizi prodotti, ciò vanificherebbe la discriminazione dei
prezzi;
Assenza di vincoli antitrust. In altre parole si sta ipotizzando
che la legge ammetta discriminazione nei prezzi di vendita,
che normalmente potrebbe considerare come una pratica
abusiva. Analiticamente
parlando possiamo
spiegare come sia
possibile migliorare
l’efficienza
economica
garantendo allo
stesso tempo
l’equilibrio
finanziario
dell’impresa
(Grafico 4.1)
Graficamente abbiamo due curve di domanda, date, una più
rigida dell’altra che si trova sulla sinistra, una curva di costi medi
di lungo periodo , in base la quale viene scelta la struttura di
costi (che sono due, una più ampia dell’altra, entrambe tangenti
alla ) che l’impresa sceglierà date le domande dei
consumatori. Ovviamente siamo nel caso in cui vi sia
subadditività dei costi, quindi le economie di scala sono “attive”,
cioè possono essere sfruttate nell’intervallo rilevante di
produzione.
I consumatori del gruppo 1 (curva di domanda ) sono
soddisfatti nel punto in cui il prezzo sia pari ai costi medi della
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struttura 1 ( second best), cui corrisponde una quantità
, ma a questo livello dei prezzi non tutti i consumatori di questo
gruppo sono soddisfatti e non lo sono nemmeno quelli del
gruppo 2, che hanno una funzione di domanda più bassa e più
elastica. Questi ultimi in particolare sarebbero soddisfatti ad un
livello dei prezzi , cioè pari ai costi marginali, che come
sappiamo è insostenibile per l’impresa. Tale prezzo rappresenta
l’ottimo paretiano ma come già detto non è praticabile
dall’imprese in quanto non gli consente di coprire i costi di
produzione derivanti dall’utilizzo di uno qualunque dei due
impianti.
E’ a questo punto che entra in gioco il Regolatore che,
conoscendo perfettamente le esigenze dei consumatori, potrà
discriminare i prezzi e imporre all’impresa di applicare il prezzo
ai consumatori del gruppo 1 che richiedono una quantità di
output e il prezzo a quelli del secondo gruppo, che invece
sono soddisfatti ad un livello di output pari a . In questo
modo il benessere collettivo viene massimizzato e si raggiunge
una posizione di first best, tutti coloro che vogliono acquistare il
bene o servizio fornito al prezzo pari al costo marginale sono stati
soddisfatti e l’impresa non consegue extraprofitti, quindi il
benessere del consumatore è massimo. Si riesce in altre parole ad
eliminare almeno una delle inefficienze del mercato monopolista,
quella di una minor produzione, e in parte anche quella di un
prezzo più elevato (per il secondo gruppo di consumatori). Sono
questi gli effetti di una politica di prezzi ottimi di un’impresa
monoprodotto.
Si noti anche che, la discriminazione è accettabile e socialmente
desiderabile se, il prezzo da applicare alla domanda meno elastica
non supera i costi medi (allocazione di second best), mentre il
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prezzo della domanda più elastica non deve superare i costi
marginali (allocazione di first best).
La logica risiede nel fatto che l’impresa, operando con un
impianto di dimensioni maggiori, riesce ad aumentare la quantità
prodotta, riducendo i costi medi unitari, e coprendo i costi totali
con la somma dei ricavi derivanti da entrambe le domande, che
vengono così, simultaneamente soddisfatte. Affinché ciò sia
valido è necessario anche che i costi marginali siano costanti
nell’intervallo di produzione , altrimenti non si
riuscirebbero a coprire i costi incrementali derivanti dalla
produzione per servire la domanda 2, con i ricavi incrementali
della stessa domanda.
E tutto questo senza la necessità di sussidi esterni all’impresa.
Un’altra soluzione di ottimo allocativo potrebbe essere quella
delle tariffe binomio, che vedremo tra poco (paragrafo 3).
2. Prezzi ottimi e imprese multiprodotto
Caso più complicato è quello di un’impresa multiprodotto, per la
quale nella fissazione dei prezzi ottimi è necessario tener conto,
oltre ai problemi già visti, dei cosiddetti costi comuni. Si tratta di
quei costi che si riferiscono a più servizi (o mercati) e pertanto
non possono essere attribuiti a nessuno di essi in particolare. Da
ciò deriva l’ovvia difficoltà di determinare un sistema di optimal
pricing in quanto è difficile sapere che porzione di questi costi
deve essere attribuita a ciascun servizio e quindi su chi debba
ricadere la rispettiva spesa di produzione.
Come vedremo tra breve, l’applicazione di prezzi uniformi crea
inefficienze nel mercato. Dal punto di vista teorico però è
possibile optare per soluzioni efficienti. Una soluzione plausibile è
quella dei prezzi di Ramsey. 61 2.1. Prezzi di Ramsey
Si tratta, nello specifico, di
una soluzione di second
best, che consente una
ripartizione dei costi comuni
efficiente, che consiste nel
trovare un sistema di prezzi
ottimale che massimizzi il
benessere collettivo sotto il
vincolo che l’impresa debba
mantenere l’equilibrio
finanziario. Quindi fissare
prezzi pari al costo
marginale non è sostenibile
per l’impresa, perciò
dobbiamo trovare dei prezzi che consentono il minimo
scostamento dalla quantità ottima domandata in ogni mercato. Si
noti che è proprio questa deviazione tra prezzo e costo
( )
marginale, nota come mark up , che consente
all’impresa di produrre senza perdite. È ovvio che ci sono diversi
sistemi di prezzi che garantiscono all’impresa il raggiungimento
dell’equilibrio finanziario, uno di questi è l’applicazione di prezzi
7
uniformi. Se applicassimo prezzi uniformi , cioè lo stesso prezzo
per entrambi i servizi (o mercati), avremo una perdita netta di
benessere che è evidente, rappresentata graficamente dai
triangoli sotto la curva di domanda (Grafico 4.2 a e b), mentre i
rettangoli tra curva dei CM e curva di domanda rappresentano i
7 Si noti che prezzi uniformi si intende l’incremento uniforme o unitario dei costi marginali e poiché i costi marginali si
considerano uguali in entrambi i mercati anche i prezzi saranno uguali.
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ricavi con cui l’imprenditore è in grado di coprire tutti i costi fissi
(comuni e non).
Una soluzione migliore consiste nell’applicare i prezzi di Ramsey,
che tiene conto della diversa elasticità delle due curve di
domanda considerate. E siccome una pari variazione del prezzo
induce una variazione della quantità domandata
proporzionalmente maggiore nel mercato la cui domanda è più
elastica, ne consegue che per minimizzare la perdita di utilità
(cioè per minimizzare la deviazione dall’ottimo allocativo), si
discrimineranno i prezzi in misura inversamente proporzionale
all’elasticità della domanda (cioè rispetto la sensibilità dei
consumatori a variazioni di prezzo). È per questo che tale metodo
viene definito anche come “Regola dell’elasticità inversa”.
E’ quindi possibile ottenere gli stessi risultati in termini di
equilibrio finanziario dell’impresa, attraverso un incremento dei
prezzi non uniforme, utilizzando cioè i prezzi di Ramsey. I prezzi,
essendo in questo caso fissati in base il criterio dell’elasticità
inversa, saranno più alti nel mercato la cui domanda è più rigida
(in figura è il grafico 4.2 c), più bassi in quello con domanda più
elastica (figura 4.2 d). La perdita secca di benessere è in questo
caso decisamente inferiore e la situazione per l’impresa continua
ad essere sostenibile (la distanza dal punto di ottimo è minore).
La regola ottima di discriminazione, dice Ramsey, è quindi quella
che tiene conto della regola dell’elasticità inversa:
Dove è detto numero di Ramsey.
È importante sottolineare che la regola di Ramsey non parte da
una qualche allocazione dei costi comuni per poi fissare i prezzi di
discriminazione ottimali (meno distorsivi possibile), ma al
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contrario partono da prezzi, quasi, efficienti dai quali è possibile
successivamente allocare i costi comuni nel migliore dei modi
(cioè seguendo appunto la regola dell’elasticità inversa).
Ma nemmeno questo criterio di fissazione dei prezzi