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2) ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO:

il ruolo dello Stato deve essere di governo e di controllo del Mercato

• Stato deve agire sul Mercato per eliminare quegli elementi che possono essere un grande divario fra

• gli individui

3) ECONOMIA CIVILE:

3° elemento, differente dallo Stato e dal Mercato:

• ECONOMIA DELLO STATO: basata sul principio della redistribuzione (es. tassazione

o progressiva -> legata al reddito)

ECONOMIA DEL MERCATO: scambio tra equivalenti; il Mercato è libero prima di entrarci

o -> una volta entrati bisogna attenersi alle sue regole

2° Stefano Zamagni, padre dell’Economia Civile, questa è basata sulla reciprocità e legata al concetto

• di dono; il principio fondante dell’Eco. Civile è la produzione di

CAPITALE SOCIALE:

o Avviene attraverso lo scambio

è la base della socialità (noi siamo una società perché si creano degli scambi di

reciproca fiducia)

la fiducia permette la nascita di relazioni

quando una società crea CAPITALE SOCIALE sviluppa:

associazionismo

• relazioni con altri tipiche del 3° settore

• creazione di reti

Capitolo 10

L’ordoliberalismo ovvero l’economia sociale di mercato

Nel 1919 Ludwig von Mises pubblica Nation, Staat und Witschaft: un notevole contributo scientifico all’elaborazione di

una teoria del liberalismo che lo allontanasse dalle tentazioni nazional-socialiste. L’insuccesso del libro di Mises si

inserisce nel clima culturale dell’epoca: l’accentuato pluralismo culturale, sociale e politico della repubblica di Weimar.

In quel clima le forze liberali si mostrarono estremamente deboli rispetto alle tentazioni dello statalismo autoritario e di

altri movimenti popolari ancora in embrione.

Il fallimento editoriale di Mises, la crisi della repubblica di Weimar e l’ascesa del nazionalsocialismo non impedirono la

ricerca di una via tedesca al liberalismo da parte di un gruppo di studiosi, i quali, durante gli anni del regime nazista, si

raccolsero intorno alla guida del professor Walter Eucken. Detto gruppo assunse il nome di Scuola di Friburgo, la

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filosofia che la ispirava venne chiamata ordoliberalismo (dalla rivista “Ordo” intorno alla quale si raccolsero) e l’assetto

economico proposto “economia sociale di mercato”.

I punti programmatici fondamentali dell’economia sociale di mercato, nella versione dei suoi padri fondatori, si possono

sintetizzare nei seguenti argomenti: un severo ordinamento monetario; un credito conforme alle norme di concorrenza;

la regolamentazione della concorrenza per scongiurare la formazione di monopoli; una politica tributaria neutrale

rispetto alla concorrenza; una politica che eviti sovvenzioni che alterino la concorrenza; la protezione dell’ambiente;

l’ordinamento territoriale; la protezione dei consumatori da truffe negli atti d’acquisto.

I teorici dell’economia sociale di mercato hanno contribuito in modo sostanziale all’evoluzione della teoria economica

ed in particolar modo a quella branca dell’economia che incontra il diritto, avendo sostenuto l’idea che il sistema

economico per esprimere al meglio le proprie funzioni produttive dovrebbe operare in conformità con una costituzione

economica che lo Stato stesso pone in essere.

L’idea centrale è che il mercato sia il modo migliore per organizzare l’attività economica di un paese, ma che esso non

sia in grado di garantire l’equilibrio distributivo assicurato dai meccanismi automatici di aggiustamento suggeriti dalla

teoria neoclassica. Il conflitto sociale finirebbe per comprometterne l’attività autonoma e per sollecitare quegli squilibri

paventati dalla teoria keynesiana (soprattutto la sotto occupazione). Mercato e protezione sociale sarebbero pertanto due

concetti indissolubili per realizzare la crescita economica, poiché la seconda assicura che l’efficiente e corretto

funzionamento del primo sia un obiettivo comune.

Questo modello tedesco, (appunto l’ordoliberalism oggi noto come social market economy), associa i principi generali

del libero mercato (valuta stabile, libera contrattazione, regole fisse di politica economica, mercati orientati

all’esportazione) con l’idea che le forze spontanee e la flessibilità non sono in grado da sole di generare un mercato

efficiente. In altre parole lo Stato deve creare le precondizioni per un funzionamento corretto del mercato.

Si tratta di una visione politico-economica dove uno Stato forte si preoccupa di contrastare l’assalto da parte dei

monopoli e dei cacciatori di rendite che impedirebbero il funzionamento del mercato, che non ha nulla a che vedere con

la pianificazione economica centralizzata o con una politica statale interventista.

Nella teoria ordoliberale il mercato è un sistema di relazioni che necessita di essere organizzato giuridicamente dallo

Stato che a sua volta non dovrebbe in alcun modo modificare i risultati che provengono dai processi di mercato. In

questa prospettiva, gli ordoliberali, nell’ambito delle politiche economiche internazionali, si espressero a favore delle

liberalizzazioni degli scambi e, di conseguenza, avversarono tutte quelle politiche creditizie e fiscali che a loro avviso

avrebbero potuto incentivare le concentrazioni di capitale.

Riguardo alla politica economica interna, si mostrarono estremamente scettici nei confronti dell’interventismo

paternalistico di stato nel campo sociale evidenziandone gli effetti deresponsabilizzanti sulla condotta individuale.

Il contributo più originale della Scuola di Friburgo è stato di aver aggredito le problematiche del mercato

concorrenziale a partire da un approccio istituzionale. Gli “ordoliberali” hanno colto l’idea che l’ordine concorrenziale

è di per sé un “bene pubblico” e in quanto tale andrebbe tutelato. La scuola di Friburgo ci aiuta a comprendere che

esiste una dimensione istituzionale nel paradigma liberale, dimensione negata o, quanto meno, assente in gran parte

della letteratura liberale di matrice libertaria fortemente preoccupata che possa esistere un “mercato non intralciato”. Il

programma di ricerca degli “ordoliberali” ha incentrato l’attenzione sul fatto che l’idea liberale di una società libera è

un’idea costituzionale, che necessita di una formalizzazione costituzionale.

Tale prospettiva costituzionalista avvicina la tradizione di ricerca della Scuola di Friburgo al programma di ricerca in

economia politica istituzionale di recente elaborato da James Buchanan premio Nobel per l’Economia che ha

universalizzato l’ideale liberale di cooperazione volontaria, trasferendolo dall’ambito delle scelte di mercato a quello

delle scelte istituzionali, mostrando come il paradigma liberale classico, tradizionalmente applicato alla libertà di scelta

sui mercati, possa venir esteso alla libertà di scelta delle istituzioni. Così facendo, Buchanan ha completato, su un punto

capitale, i suoi predecessori della Scuola di Friburgo.

10.1. WILHELM RÖPKE E LA TERZA VIA

In definitiva, i sostenitori dell’economia sociale di mercato, e Röpke in primis, furono strenui critici tanto della

concentrazione del potere economico e politico, quanto dello sfrenato antagonismo e l’esasperata frammentazione degli

interessi. La lotta di Röpke si giocò su due fronti: contro i difensori dello status quo di una degenerata economia di

mercato e contro i collettivisti di ogni grado e specie. Egli volle delineare i principi di un “liberalismo costruttivo”, di

un “umanesimo economico” e la questione filosofica che lo pose nella sfera dei libertari, pur senza appartenere alla

grande storia del liberalismo classico, è legata a quella che egli sesso chiamò “la terza via”.

Rispetto al concetto di “terza via” è il caso di osservare che esso non è in alcun modo assimilabile a quello proposto da

Antony Giddens e che ha ispirato le politiche new labour e la svolta di Tony Blair nel contesto della sinistra britannica.

Scrive Röpke: «Anche noi, è vero, vogliamo superare il “capitalismo”, ma non volendo oltrepassarlo non intendiamo

di fare una caduta mortale, e questa sarebbe indubbiamente la nostra sorte, se insieme al “capitalismo” rinunciassimo

al principio ordinatore della nostra economia, vale a dire l’economia di mercato e ci decidessimo per il principio

collettivista».

La “terza via” di Röpke, collocata tra un liberalismo nella versione del laissez faire e il collettivismo socialista,

condurrebbe ad un’economia imprenditoriale basata sul “libero mercato” e non sul “mero capitalismo”, che, per il

nostro autore, si distingue dal libero mercato per la sua tendenza a risolversi in meccanismi anticoncorrenziali,

favorendo la nascita di monopoli, di cartelli e l’abuso di posizione dominante. Per questa ragione, il liberalismo di

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Röpke ammette l’intervento pubblico, a condizione che sia “conforme” alle leggi di mercato, non sopprimendone

l’autonomia. Prevede, altresì, una “politica strutturale” in grado di assicurare la conformità del sistema economico con i

fini dell’organizzazione sociale e politica.

Un suo aforisma chiarisce ulteriormente il pensiero: «Un moralismo dilettantistico nell’economia nazionale è

altrettanto scoraggiante quanto un economicismo moralmente indifferente, e purtroppo il primo è diffuso quanto il

secondo».

«L’economia di mercato vuol dire che al posto del ripudiato principio collettivista scegliamo l’unico principio

regolatore che abbiamo a disposizione per una società differenziata e profondamente tecnicizzata, ma affinché esso

possa realmente garantire il regolamento del processo economico deve essere puro, non corrotto da monopoli.»

La “terza via” di Ropke oltre all’inserire nel suo panorama liberale la morale e l’etica religiosa riconosce che anche

l’ordinamento economico più liberale non può fare a meno della coercizione e del potere di Stato per due fondamentali

motivazioni: 1) la necessità di poter contare su un serio stato giuridico; 2) la necessità di poter avere un ordinamento

monetario. (2° Ropke l’uomo fa la differenza)

Le ragioni teoriche che ci inducono a guardare con interesse il contributo di autori come Röpke risiedono nella loro

capacità di evidenziare il tentativo di ricercare un’idea di liberalismo politico, ossia una teoria delle istituzioni politiche

liberali sensibile alla dimensione sociale dell’ordine economico.

(la prima a parlare di “terza via” è stata la Chiesa -> terza via differente da quella intrapresa dal COMUNISMO e

dal CAPITALISMO)

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Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
48 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/08 Economia e gestione delle imprese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher teto84 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia e gestione delle Organizzazioni Non Profit e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Veronesi Clio.