Anteprima
Vedrai una selezione di 4 pagine su 15
Economia finanziaria - l'economia italiana negli anni duemila Pag. 1 Economia finanziaria - l'economia italiana negli anni duemila Pag. 2
Anteprima di 4 pagg. su 15.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Economia finanziaria - l'economia italiana negli anni duemila Pag. 6
Anteprima di 4 pagg. su 15.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Economia finanziaria - l'economia italiana negli anni duemila Pag. 11
1 su 15
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

La crescita economica e i fattori demografici

Uniti la crescita è stata più elevata "solo" del 50%. Le righe successive ci dicono a quali fattori è attribuibile la crescita in ciascun paese. La quota della popolazione in età da lavoro risente ovviamente di fattori demografici: quanti più "giovani" tra i 15 e i 64 anni confluiscono anno dopo anno in questa classe di età tanto più aumenta il valore cumulato della quota della popolazione attiva; invecchia. Questa è la direzione in cui si è mossa viceversa, un valore negativo sta a testimoniare che la popolazione dell'Italia che in questo senso assomiglia alla Germania; somiglia invece molto meno a Spagna e Francia ed è molto diversa dagli Stati Uniti, dove la popolazione in età da lavoro è per contro cresciuta. Agire su questo fattore non è compito agevole. Invertire una tendenza demografica non è facile. Per di più, l'invecchiamento della popolazione ha

Conseguenze negative non solo sul reddito pro capite ma anche sulla sostenibilità dello stato sociale. La stabilità finanziaria dei due cardini dello stato sociale, il sistema pensionistico e quello sanitario, si regge sull'andamento di entrate e uscite, le quali risentono a loro volta della dinamica demografica. Nell'immediato l'unico modo di correggere questo andamento sembra essere l'immigrazione in quanto fonte positiva di accrescimento della popolazione in età da lavoro. Altre politiche, come quelle a favore della più lunga e quindi meno utile natalità, producono infatti i loro effetti su un orizzonte temporale molto più lungo. Occorre peraltro essere cauti nell'interpretare quella relazione come un nesso diretto di causalità che va dall'andamento demografico alla crescita del reddito pro capite. Come ogni economista sa almeno dai tempi di Malthus, se è vero

Che la dinamica demografica influenza l'andamento del reddito. La dinamica demografica risente dell'andamento della crescita. Le ultime due righe ci dicono quanto l'Italia sia simile alla Spagna e molto diversa invece dagli altri grandi paesi europei, come la Francia e la Germania, e ancor di più dagli Stati Uniti. Esse infatti chiariscono che in Italia e Spagna la crescita è stata alimentata soprattutto dall'aumento dell'occupazione e molto poco dalla produttività del lavoro. In Italia la crescita dell'occupazione ha contato per circa il 15% della crescita totale ed in Spagna per quasi il 27%. Il contributo della produttività è stato invece assai scarso in entrambi i paesi. Tenendo conto che il periodo di riferimento va dal 1995 al 2007 e che arrotondando in tutti e due i paesi è stata del 6% in tredici anni: se ne ricava che annualmente la produttività è aumentata in media di meno di mezzo punto.

percentuale all'anno. Per avere un'idea delle dimensioni di questo rallentamento, non è necessario riandare ai "mitici" anni Sessanta (quando la produttività cresceva a ritmi di più del 6% all'anno); è sufficiente pensare a cosa accadeva negli anni Settanta in cui la produttività aumentava ad una velocità di poco meno del 3% o anche agli anni Ottanta in cui il ritmo di crescita della produttività era di quasi il 2% (sempre all'anno). In Italia, insomma, la pur modesta crescita è da attribuire all'aumento dell'occupazione e non alla crescita produttività. Il problema: il rallentamento della produttività del lavoro. Questo connotato della crescita recente in Italia merita di essere ulteriormente analizzato. Innanzitutto, per i ruoli che occupazione e produttività ricoprono oggi rispetto a quelli che hanno avuto nel passato. Nei decenni trascorsi la crescita italianaÈ stata invece assistiamo adsostenuta assai poco dalla crescita occupazionale e molto dall'aumento della produttività. Oggiun ribaltamento dei ruoli di queste due variabili nel processo di crescita. Per ribadire questo punto: nel passato iltasso di crescita dell'occupazione era basso mentre era alto quello della produttività del lavoro; negli ultimi anni,azzerata la crescita della produttività.viceversa, la crescita dell'occupazione si è fatta vigorosa mentre si è quasiAlle orecchie di un economista questo legame inverso tra occupazione e produttività (entrambe espresse in tassi divariazione) non dovrebbe suonare strano. Dopotutto, questo legame corrisponde a ciò che viene ripetuto fin daiprimi giorni a tutti gli studenti di economia e che viene (pomposamente) denominato legge della produttivitàdecrescente. In fondo, intuitivamente è proprio quanto dovremmo aspettarci. Abbiamo detto all'inizioche uno degli shock che ha investito l'economia italiana negli anni Novanta è rappresentato dalle riforme del mercato del lavoro. Le riforme in questione hanno dato luogo a una liberalizzazione delle norme contrattuali che regolano il lavoro, consentendo, ad esempio, forme di lavoro a tempo determinato che hanno riguardato i nuovi occupati. In questo modo in Italia è divenuta meno stringente la legge sulla protezione all'impiego, che in gergo viene indicata con l'acronimo inglese EPL (da Employment Protection Legislation). La misura della severità dell'EPL viene calcolata dall'OCSE. Ad ogni paese che fa parte dell'OCSE viene assegnato un punteggio che misura la protezione all'occupazione per le diverse forme contrattuali esistenti (la protezione riguardante i licenziamenti individuali per i lavoratori permanenti e temporanei, le condizioni normative che debbono essere soddisfatte per i licenziamenti). In sintesi, le riforme del mercato del lavoro hanno portato ad una maggiore flessibilità e minor protezione per i lavoratori in Italia.

costituisce la media (ponderata) di ciascun punteggio. Se si guarda alcollettivi). L'indicatorevalore assunto da questo indicatore per l'Italia a partire dagli anni Novanta, si può notare come esso sia rimastoinvariato per i lavoratori con un contratto a tempo indeterminato, i lavoratori permanenti appunto, mentre abbiala più forte riduzione per i lavoratori temporanei tra tutti i paesi aderenti all'OCSE.subitoIntroducendo una maggiore flessibilità, le riforme del mercato del lavoro hanno così indotto una diminuzione delcosto del lavoro. Una conseguenza per così dire naturale di questa riduzione è stata che una maggiore forza lavoroha trovato occupazione. Ma quantomeno nell'immediato una maggiore occupazione significa anche una minoredotazione di macchinari e attrezzature – più genericamente, meno capitale – per lavoratore, da cui appunto la piùbassa produttività. Nell'immediato, infatti,

questa dotazione rimane praticamente invariata. In altre parole, il piùle imprese a sostituire capitale con lavoro riducendo così la dotazione di capitalebasso costo del lavoro ha indottoper lavoratore e abbassandone così la produttività. La figura 2 illustra l'evoluzione dello stock di capitale perlavoratore per l'Italia, per i paesi che fanno parte dell'area dell'euro e per gli Stati Uniti. Essa mostra che il ritmo dicrescita della dotazione di capitale di cui dispone in media ciascun lavoratore è diminuito per tutti paesi dell'areadell'euro a partire dalla metà degli anni Novanta, e che in Italia questa riduzione è stata particolarmente dipronunciata. Viceversa, negli USA l'accumulazione di capitale per lavoratore ha accelerato nello stesso tornotempo. 5Figura 2. Stock di capitale per lavoratore in Italia, nell'area dell'euro e negli Stati Uniti. Numeri indice, 1995=100.Fonte:

elaborazioni su dati Ameco. A questa considerazione riguardante l'andamento della dotazione di capitale per lavoratore si aggiunga che è probabile che i nuovi lavoratori che affluiscono sul mercato del lavoro trovando occupazione sono anche quelli dotati di minori abilità ed esperienze lavorative. Anche per questo verso, quindi, la conclusione sembra inevitabile: minore produttività. Ma sono davvero questi i termini del problema? Basta la crescita maggiore occupazione implica dell'offerta di lavoro a spiegare la più bassa crescita della produttività?

Un protagonista nascosto: il progresso tecnico. In linea di principio, questo esito non è scontato. La più bassa crescita della produttività del lavoro dovuta alla minore dotazione di capitale può essere infatti contrastata se non addirittura più che compensata da una dinamica favorevole del progresso tecnico. Ciò che conta infatti ai fini dell'andamento

della produttività del lavoro non è tanto la dotazione di capitale di cui ciascun lavoratore dispone quanto il livello di progresso tecnico che si trova incorporato nel capitale o nel processo produttivo (ad esempio, l'efficienza con cui vengono combinati i fattori produttivi grazie al cambiamento tecnologico). Ma come fare per misurare il progresso tecnico? Il metodo utilizzato dagli economisti va sotto il nome di contabilità della crescita. Almeno nella sua versione più basilare, la contabilità della crescita si basa su principi piuttosto semplici. Parte dalla descrizione del processo produttivo fornita dagli economisti, ovvero dalla funzione della produzione. Secondo questa descrizione, all'ottenimento del prodotto concorrono soltanto capitale e lavoro senza ulteriori distinzioni (come potrebbe essere quella tra lavoro qualificato e non qualificato), oltre che il progresso tecnico appunto – per esempio,come si diceva poco sopra, l'organizzazione della produzione. Data questa rappresentazione, il contributo del progresso tecnico alla produzione viene calcolato in modo residuale. Dal prodotto viene dedotto il contributo dato da lavoro e capitale, ciascuno ponderato con il peso che questi fattori hanno nel processo produttivo. Ciò che rimane costituisce appunto una misura del cambiamento più moderno tecnologico, denominato residuo di Solow in omaggio al suo ideatore, oppure ancora nella sua versione produttività totale dei fattori (PTF). L'idea di fondo, assai semplice, è che il progresso tecnico consente a parità di impiego dei fattori un aumento del prodotto. Tradotta nella versione che qui interessa, la contabilità della crescita afferma che il tasso di crescita della produttività del lavoro è pari alla soma del tasso di crescita della dotazione di capitale per lavoratore, ponderato per la quota di reddito da capitale che ne.

Misura il peso nel processo produttivo, e del tasso di crescita della produttività totale dei fattori. Si noti che anche in questo caso siamo di fronte ad un'identità che in quanto tale non è in grado di offrirci.

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
15 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-S/06 Metodi matematici dell'economia e delle scienze attuariali e finanziarie

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher valeria0186 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia Finanziaria e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Saltari Enrico.