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ANALISI DEI COSTI
Il profitto è l’utile che si ottiene da una certa produzione è (uguale alla differenza dei ricavi meno i costi
P=R-C ). Quindi il produttore dovrà cercare di agire su questi due insiemi, da una parte deve cercare di
minimizzare i costi di produzione e dall’altra di massimizzare i ricavi.
Per ricavi si intende le entrate, queste entrate sono date dalla quantità venduta e dal prezzo di vendita del
bene. La quantità venduta è necessariamente influenzata dalla domanda, quindi il produttore si deve
confrontare anche con la domanda di mercato. Nel caso di un mercato concorrenziale se c’è molta
domanda di quel bene riuscirà a vendere maggiormente quel bene, se la domanda è bassa riuscirà a
venderne di meno.
In genere il primo ragionamento che fa il produttore cercando di minimizzare i costi è capire qual è la
combinazione ottimale dei fattori produttivi per realizzare una certa quantità di beni. La combinazione
ottimale da un punto di vista economico è quella che consente di avere il costo più basso possibile di
produzione. È l’operazione di minimizzazione del costo di produzione.
Ipotizziamo di avere i due fattori produttivi principali: lavoro (mano d’opera) e capitale (cioè i macchinari).
Da una parte abbiamo le curve di isoquanto (dal greco “stessa quantità”) sono tutte le combinazioni dei
fattori produttivi che ci indicano il livello di produzione identico. Cioè sono tutte le combinazioni di quel
bene per cui ho quel livello di produzione. Poi ci si confrontare con i costi dei fattori produttivi, sulla base di
questo costruisco le rette di isocosti (“stesso costo”) sono tutte le combinazioni dei due fattori che per cui
ho un costo identico, e in genere è un fascio di rette parallele. Lo scopo è quello di trovare per ogni livello
produttivo la combinazione tale per cui ho il costo più basso possibile. Geometricamente questo punto è il
punto di tangenza tra la curva di isoquanto e la retta di isocosto. Questa informazione ci dice qual è il costo
più basso possibile per cui io potrei produrre quella quantità di bene. Il risultato di questa analisi è
l’individuazione del rapporto che c’è tra la quantità prodotta e il costo totale di produzione.
La relazione può essere:
- di tipo lineare: nel caso in cui la produzione cresce in modo proporzionale e anche il costo cresce in modo
proporzionale;
- curva crescente (diseconomie di scala): quando al crescere della quantità prodotta i costi aumentano più
che proporzionalmente;
- curva decrescente (Economie di scala): quando i costi crescono meno che proporzionalmente al crescere
della quantità prodotta.
Distinguiamo in economia il lungo periodo e il breve periodo. Nel lungo periodo tutti i fattori produttivi
sono variabili (ad esempio K e L), quindi posso individuare qual è la combinazione ottimale di questi fattori
produttivi tale da poter minimizzare il costo, di conseguenza posso individuare anche qual è l’andamento
dei costi al variare di questi fattori. Nel breve periodo invece si ipotizza che almeno uno dei due fattori
produttivi sia fisso, cioè non si può modificare nel breve periodo (1 2 anni), non essendo un fattore
riproducibile devo fare i conti per la massimizzazione della produzione con questo elemento fisso. Questo
crea delle variazioni sui costi e sulla efficienza della produzione.
Determinazione delle FUNZIONI DI COSTO nel breve periodo.
Concetto di costo dal punto di vista filosofico nasce come sacrificio per ottenere qualcosa. Questo concetto
traslato in economia diventa l’insieme di spese che chi si accinge a produrre deve sopportare al fine di
produrre quel determinato bene. L’impresa per produrre deve acquistare sui mercati i fattori di
produzione. I fattori di produzione nel settore dell’edilizia hanno degli elementi fondamentali (ad esempio:
suolo, materiali per realizzare il fabbricato, prezzo d’uso dei finanziamenti). L’insieme di questi fattori
produttivi diventano fondamentali quando consideriamo i prezzi di acquisizioni di questi fattori produttivi.
Cosa succede sotto il profilo dei costi? Intanto bisogna combinare i fattori produttivi e allora bisogna
classificare i diversi tipi di costi produttivi ad esempio in ambito edilizio:
1. Costo tecnico di costruzione che l’impresa sopporta per realizzare un’opera. Cioè rappresenta la
sommatoria di spese che l’impresa sopporta per realizzare un fabbricato.
2. Costo di costruzione: identifica il costo degli appalti, privati e pubblici. Include l’utile che spetta
all’impresa. È quella spesa che comunica al committente per fare il contratto, ed è incluso il profitto
dell’azienda.
3. Costo di produzione: ingloba tutti i fattori produttivi, cioè include le spese dei professionisti, gli oneri
finanziari, l’area, ecc..
A ciascuna di questa classe corrisponde un importo. Le tre classi di costo corrispondono delle cifre ben
precise che bisogna specificare.
Nell’impresa edile, e quindi nel COSTO DI COSTRUZIONE possiamo individuare due tipologie: i costi fissi e i
costi variabili in ragione della quantità edilizia prodotta. Costi fissi: o realizzo una palazzina, un villino o due
villini, l’impresa ha alcuni costi fissi. Poi ci sono alcuni costi variabili che con determinate funzioni per
comodità proporzionali variano in funzione della quantità prodotta.
1. I costi fissi attengono all’impresa, ad alcune
funzioni basilari che entro una certa scala non
modificano la struttura dell’impresa: un
imprenditore edile quando comincia si deve
attrezzare e quindi dovrà avere i macchinari,
uno staff tecnico, un geometra, e così tanti
altri elementi, questi costi (lo staff, i
macchinari etc) entro certe dimensioni
produttive, e quindi entro certi limiti, non
variano con la quantità prodotta.
Quando questi limiti denotano un salto di
scala produttiva questi costi vengono integrati
con nuovi investimenti per poi rimanere
costanti fino ad un altro salto di scala (ad
esempio se devo costruire 4 fabbricati in più
devo cercare altri macchinari e altro personale). Il salto di scala remissivo comporterebbe un
ragionamento opposto.
2. Costi variabili: costi che variano a seconda della quantità produttiva. Più si incrementa la quantità
produttiva più i costi variano. La curva dei costi variabili parte da 0: infatti se la produzione è 0 i
costi sono 0. A differenza dei costi fissi in cui anche se l’impresa non ha appalti o incarichi deve
comunque scontare la spesa per i macchinari, staff ecc.. (ad esempio i materiali da costruzione: il
loro costo cambia se devo realizzare 1 o 2 fabbricati)
3. Costi totali: la sommatoria dei costi fissi e dei costi variabili hanno l’andamento di una sinusoide
che però tiene conto dell’importo dei costi fissi. Quindi parte dal punto in cui iniziavano i costi fissi
e poi è parallela alla curva dei costi variabili, fino a quando i costi fissi hanno un salto di scala per
poi continuare di nuovo parallelamente alla curva dei costi fissi.
4. Costi unitari: derivano dai costi totali diviso la quantità prodotta, cioè devo dividere i costi totali per
le unità di produzione che ho realizzato. Il costo di una unità produttiva lo definiamo costo unitario.
Se per produrre 5 fabbricati avrò una certa spesa se voglio sapere quant’è il costo per ciascun
fabbricato devo dividere il costo totale per 5. Graficamente è una curva concava verso l’asse delle x,
a U, che parte alta, raggiunge un minimo e poi ricomincia a crescere. È fondamentale per
l’imprenditore sapere qual è il punto di minimo perché corrisponde ai costi minimi che l’impresa
può avere nel costo di produzione, in base da questo minimo l’imprenditore prenderà delle
determinate scelte. È una curva ad U, ciò significa che l’imprenditore è spinto ad aumentare la
quantità prodotta fino ad un certo livello, il livello che gli dà il costo unitario minimo, dopo di che i
costi unitari iniziano a crescere e quindi l’imprenditore decide di rallentare la quantità prodotta
perché rischia di non fare profitti.
5. Costi marginali: è dato dall’incremento dei costi totali in
ragione dell’ultima unità prodotta. È quindi il costo
dell’ultima unità prodotta. L’informazione per l’impresa è
fondamentale perché è complementare al costo unitario. La
curva dei costi marginali ha un andamento particolare:
interseca sempre la curva dei costi unitari nel suo punto di
minimo. Il punto di minimo è il punto che l’imprenditore
vuole sapere perché nell’attività produttiva la quantità
prodotta rispetto a quel punto è quella che gli dara in
assoluto il maggior profitto. Quindi la massimizzazione del
profitto di impresa si ottiene dove la curva dei costi
marginali interseca la curva dei costi unitari
→ punto di ottimizzazione dei profitti: si ottiene dove la curva dei costi unitari si interseca con la curva dei
costi marginali Per la quantità prodotta q1 si ha il punto di
massimizzazione della produzione: è dove l’imprenditore
raggiunge il profitto più alto, in quanto i costi unitari
hanno il punto di minimo (situazione ottimale). È il punto
di intersezione tra le due curve. Per una legge statistica il
costo marginale in quello stesso punto intercetta i costi
unitari. La distanza A-A’ tra il prezzo unitario del bene,
costo unitario del bene e costo marginale dell’ultima unità
prodotta è la più elevata possibile, in nessun altro
momento della produzione si può avere un intervallo così
alto. Impone che i costi marginali siano uguali ai costi
unitari minimi, tutti ei due inferiori al prezzo di mercato
del bene. È questo il punto in cui l’imprenditore guadagna
di più. (3.40)
Da qui abbiamo le prime soglie di convenienza a produrre:
PRIMA SOGLIA DI CONVENIANZA: nel punto q2 l’imprenditore guadagna sempre, in termini di ricavi globali
e unitari. Tuttavia i costi marginali diventano uguali al prezzo di mercato, entrambi comunque sono
superiori ai costi unitari. Di conseguenza l’impresa guadagna ma è una prima soglia perché la produzione
ripaga in termini di costi unitari ma non ripaga più in termini di ultima unità di prodotto, cioè dei costi
marginali. Infatti, se l’imprenditore decidesse di aumentare ulteriormente la quantità di produzione (quindi
andare oltre il q2) la curva dei costi marginali supererebbe progressivamente, in termini crescenti, il prezzo