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Unique Selling Proposition (USP)

Strategia creativa pubblicitaria che propone una visione della strategia di comunicazione basata unicamente sugli aspetti oggettivi del prodotto. Alla base di questa teoria vi sono due presupposti fondamentali:

  1. il consumatore tende a ricordare un solo forte argomento o concetto in ogni comunicato;
  2. la pubblicità agisce su prodotti che presentano una differenziazione sensibile con la concorrenza e che soddisfano un bisogno rilevante per i consumatori.

Date queste premesse, secondo la USP occorre caratterizzare il messaggio pubblicitario con un'unica forte, esclusiva proposizione di vendita, effettivamente rilevante per il consumatore e in grado di veicolare un posizionamento della marca chiaro, unico e distinguibile.

  1. Ogni campagna pubblicitaria deve proporre al consumatore un beneficio utile e reale.
  2. Deve essere un beneficio unico, che la concorrenza non può proporre.
  3. Il beneficio deve essere così forte che deve spingere
milioni di consumatori all'acquisto(rilevante).
4. Una volta trovato questo beneficio, ripetilo sempre, come un martello.
La USP più famosa, ideata da Rosser Reeves per M&M's è legata ad una caratteristica rilevante per il consumatore di cioccolato: "Si scioglie in bocca, non in mano".
Un famoso esempio italiano di USP. Cosa si dice, per tonno Rio Mare?
Sono molte le sue campagne memorabili, basate sulla tanto proclamata hard selling (che non impedisce per definizione di realizzare buone campagne). In un mestiere tutto empirico e sempre un po' approssimativo, ci voleva, nella storia dell'advertising, qualcuno che dettasse le regole, con un approccio più razionale e scientifico.
Nel 1960 le tecniche di Reeves cominciarono a divenire meno efficaci. Il consumatore era diventato più esperto e aveva imparato ad evitare gli spot poco interessanti. All'orizzonte si profilava una nuova e importante rivoluzione creativa.
DavidOgilvy 1911-2000 David Ogilvy nasce nel 1911 in Inghilterra. Studia Storia a Oxford, dove rifiuta una borsa di studio per andare a fare i lavori più disparati, incantato dall'idea del vagabondare. Farà il cuoco apprendista al Majestic di Parigi (dove imparò dal capocuoco Monsieur Pitard come tenere alto il morale della cucina); il venditore di cucine e fornelli AGA in Inghilterra (dove, da tanto era bravo, gli fu chiesto di scrivere un manuale di vendita per gli altri venditori), fino a diventare Account Executive in una piccola Agenzia di Londra, nella quale lavorava il fratello. Dopo aver convinto i suoi capi a mandarlo a New York, per studiare le tecniche pubblicitarie statunitensi, non tornerà più in patria. Per continuare la sua formazione nel mondo dell'advertising, Ogilvy trovò lavoro presso il ricercatore George Gallup. Insieme a lui, Ogilvy andrà in viaggio per tre anni in America, alla scoperta delle speranze, dei sogni e delle

Abitudini della sua patria adottiva. Dopo aver prestato servizio in guerra e dopo una breve esperienza in una fattoria Amish in Pensyllvania, nel 1948, a 38 anni, fondò una sua agenzia, che oggi si chiama Ogilvy&Mother. Il suo accento inglese, invece che penalizzarlo, lo distinse dagli altri. E il suo talento, ben presto, si fece strada.

Ogilvy fu tra i primi ad aver sistematizzato il mestiere del pubblicitario e ad aver costruito un percorso strategico in pubblicità, riuscendo a fondere in modo originale la razionalità dei contenuti e la creatività dei suoi testi.

Ai suoi dipendenti Ogilvy proponeva un percorso formativo obbligatorio, chiamato Lanterna magica, dove forniva, in undici comandamenti, le principali indicazioni su come si realizza una buona pubblicità.

  1. Quello che si dice è molto più importante di come lo si dice. "La pubblicità più intelligente è quella che sa vendere un prodotto senza farsi notare troppo."
Dovrebbe cioè fissare l'attenzione del lettore sul prodotto. Invece di fargli dire "che splendida campagna", bisognerebbe indurlo a pensare "La cosa mi giunge del tutto nuova! Voglio provare anche io questo prodotto". 2. Se una campagna pubblicitaria non è costruita intorno a una grande idea è destinata a fallire. "Ci vuole una grande idea per attirare l'attenzione dei consumatori e convincerli a comprare il vostro prodotto. Se la vostra pubblicità non contiene una grande idea, passerà come una nave nella notte. Dubito che più di una campagna su 100 contenga una grande idea". Big Idea Una big idea è un'idea potente e geniale. Può nascere spontanea o può essere frutto della ricerca. Può rivelarsi subito come un'idea unica, ma può anche rivelarsi più tardi, dopo essere accolta e apprezzata dalla gente. Una big idea entra nella cultura pop, ne cambia il

linguaggio.Essa crea un legame emotivo con il pubblico, si distingue dalle altre, cambia il nostro modo dipensare, agire e sentire. Ha valore come argomento di discussione, poiché è rilevante esignificativa. Resiste nel tempo. Supera ogni barriera culturale o etnica, unisce le persone ad unlivello più profondo. È universale e versatile, così da essere adattabile a tutte le piattaforme media.

3. Fate parlare i fatti.

4. Non si convince la gente a comprare annoiandola.

5. Educazione si, pagliacciate no.

6. La pubblicità deve essere aggiornata.

7. I comitati possono anche criticare una pubblicità ma non sono in grado di crearla.

8. Se avete la fortuna di creare un buon annuncio, continuate a utilizzarlo fino al giorno in cui nonfunzionerà più.

9. Non scrivete mai un annuncio che vi vergognereste di mostrare alla vostra famiglia. “Ilconsumatore non è uno stupido, il consumatore è tua moglie “.

10. Ogni

annuncio dovrebbe essere concepito come un contributo a quel simbolo complesso che è l'immagine di marca.
Brand Image
Secondo Ogilvy, non esistono sostanziali differenze tra le varie marche di whisky, sigarette o birra. Conta la personalità. Per questo il pubblicitario deve creare attorno a una marca valori simbolici, intangibili, destinati a formare un'immagine ricca, affascinante, duratura.
Brand Personality
La brand personality è costituita da un insieme di caratteristiche umane che vengono attribuite alla marca. Esprime la capacità della marca di tradursi in persona. Ovvero la capacità di far vivere gli attributi tangibili e intangibili che le appartengono, di trasformarli in relazione con il consumatore. La marca è un soggetto animato da una vitalità emozionale, razionale, relazionale. È dunque una persona a tutti gli effetti. Con un volto, un modo di parlare e di vestire, di rapportarsi agli altri. Oltre che a un carattere.unisce queste due parti, creando un'identità unica e distintiva per il marchio. La personalità di un marchio è ciò che lo rende unico e riconoscibile. È l'insieme di caratteristiche, valori e tratti distintivi che lo contraddistinguono dagli altri. È ciò che permette al marchio di comunicare con il suo pubblico e di creare un legame emotivo con esso. La personalità di un marchio può essere espressa attraverso vari elementi, come il tono di voce utilizzato nella comunicazione, lo stile visivo adottato, i colori e i simboli scelti. È ciò che rende il marchio memorabile e attraente per il suo pubblico di riferimento. Un marchio con una personalità forte e ben definita è in grado di differenziarsi dalla concorrenza e di creare un legame duraturo con i suoi consumatori. È in grado di trasmettere i suoi valori e la sua visione in modo autentico e coinvolgente. La personalità di un marchio può evolversi nel tempo, ma è importante che rimanga coerente con la sua essenza e con i valori che rappresenta. È ciò che permette al marchio di mantenere la sua autenticità e di continuare a essere rilevante per il suo pubblico di riferimento. In conclusione, la personalità di un marchio è ciò che lo rende unico, riconoscibile e attraente per il suo pubblico. È ciò che permette al marchio di comunicare in modo efficace e di creare un legame emotivo con i suoi consumatori.

trova in mezzo”.Bill Bernbach1911-1982Bill Bernbach non apparteneva al Club dei pubblicitari di Madison Avenue, bianchi, protestanti,frequentatori di università privilegiate che finivano per lavorare per la McCann, la JWT o la Y&R, legrandi agenzie dell’epoca. Bernbach nacque nel Bronx, a New York, il 13 agosto 1911 e rivendicòa lungo le sue origini. Studiò musica, gestione aziendale e filosofia. A lui, per molto anni, furonodestinate le agenzie di secondo piano e i cosiddetti clienti “etnici” o stranieri. Ma probabilmente fula sua fortuna. Nel 1932 entrò come fattorino presso le distillerie Schenley dove,in breve tempo passo nel reparto pubblicità. Dopo il servizio militare, venne assunto dall'agenziapubblicitaria Grey, come copywriter e presto ne divenne direttore creativo. Nel 1947, in polemicacon lo stile conservatore dell’agenzia, lasciò il suo ruolo e fondo la sua agenzia, la DDB,protagonista di una

Rivoluzione senza precedenti. "Uno degli svantaggi del fare ogni cosa in modo matematico, secondo la ricerca, è che dopo un po' tutti lo fanno allo stesso modo... Se avete l'atteggiamento per cui una volta che avete scoperto cosa dire il vostro lavoro è finito, in realtà la state dicendo allo stesso modo di chiunque altro, e avete perso completamente il vostro impatto." Bernbach è il protagonista della più grande rivoluzione creativa della storia. L'idea con Bernbach si esprime nell'insieme di immagine e testi, non più considerati separatamente, ma come parti differenti che giocano ruoli complementari e non simmetrici in un messaggio. Cosa c'è di così rivoluzionario? Bernbach introduce il negative approach, una strategia di capovolgimento dei punti di forza in punti di debolezza. Un modo intelligente, creativo ed efficace che si distanzia da mezzo secolo di comunicazione noiosa, ripetitiva, razionale, autocelebrativa.

Era finalmente nata la Pubblicità con la P maiuscola. Il negative approach del Maggiolino è un'auto essenziale, per questo costa poco. È un'auto che non cambia mai, per questo rimane fuori dalle mode. È un'auto poco potente e "tirata", quindi è più affidabile. Ha una forma brutta e inaspettata e per questo è fortemente riconoscibile e distintiva. Con Bernbach l'umorismo diventa una parte importante del linguaggio pubblicitario. Mass Media Per quasi un secolo i media sono sempre stati gli stessi, i media classici. Quando parliamo di media possiamo parlare dal punto di vista degli editori (che creano i contenuti), dal punto di vista delle concessionarie di pubblicità (che vendono gli spazi pubblicitari all'interno dei media), oppure dal punto di vista dei media classici (che sono considerati per valutare le caratteristiche specifiche dei media). La Televisione Le possibili piattaforme di fruizioneernet.
Dettagli
A.A. 2020-2021
30 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Irina_Studentessa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia e tecnica della pubblicità e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Bernocchi Roberto.