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La trappola dell'equilibrio a basso livello di reddito
Quando uno o più di questi fattori depressivi sono all'opera, l'economia rischia di essere condannata alla stagnazione, prigioniera della "trappola dell'equilibrio a basso livello di reddito". Il modello più noto della trappola è quello che descrive una situazione nella quale il fattore depressivo è rappresentato dalla crescita della popolazione. Si suppone che questa cresca, dopo che il reddito pro capite ha superato il minimo di sussistenza, fino ad un tasso massimo, raggiunto il quale ulteriori aumenti di reddito non si accompagneranno a aumenti di popolazione. Una seconda ipotesi è che, a bassi livelli di reddito pro capite, i risparmi e gli investimenti siano modesti e determino, quindi, un basso tasso di crescita del prodotto nazionale.
La "trappola" consiste nel fatto che il reddito di equilibrio, uguale o di poco superiore al minimo di sussistenza, in corrispondenza del quale i tassi di crescita della popolazione e del prodotto nazionale sono nulli o molto bassi, risulta difficile da superare. In questa situazione, l'economia rimane intrappolata in un circolo vizioso di bassa crescita e basso reddito, con poche possibilità di uscirne.
popolazione e del reddito sono eguali, agisce come una sorta di magnete, al quale tendono i valori delle variabili in gioco, fino a quando il reddito pro capite non raggiunge un livello al quale risparmio e investimento sono tali da determinare un tasso di crescita superiore a quello della popolazione. Quindi fino a quando non si verifica un investimento autonomo che provochi un vero balzo nel reddito pro capite, l'aumento della popolazione assorbirà gli incrementi di reddito, riportando il suo valore pro capito al livello di equilibrio vicino alla sussistenza. Le critiche principali a questo modello riguardano:- i rapporti tra reddito pro capite e crescita demografica: si rileva che le due grandezze delle quali il saggio di crescita della popolazione è la risultante - il saggio di natalità e quello di mortalità - non dipendono direttamente e in misura significativa dal reddito pro capite. Il primo tasso, infatti, mostra una più significativa
correlazionecon la distribuzione del reddito, risultando più basso dove la distribuzioneè meno diseguale. Ciò dipende dal fatto che il tasso di natalità èparticolarmente elevato nella popolazione che si trova sotto la linea dellapovertà e quindi si riduce quando diminuisce il numero dei poveri.Quanto al tasso di mortalità, la sua flessione, dipende principalmentedalla diffusione della medicina curativa e preventiva e delle praticheigieniche, certamente favorita dall’aumento del reddito, ma soprattuttodal modo in cui vengono impiegati la spesa pubblica e gli aiuti esteri,dall’accesso che i poveri hanno alle strutture sanitarie, dal loro livello diistruzione e, quindi, più dal tipo di crescita del reddito che dal suo livello.
2) tra reddito pro capite e investimentiquesti fattori non dipendono unicamente dal livello del reddito pro capite.La quota di prodotto e reddito non consumato che verrà offerta
agli investitori nazionali – anziché accantonata in forma di scorte di beni o denaro – dipenderà dalla remunerazione che se ne può ottenere e dall'esistenza e funzionamento di istituzioni di intermediazione finanziaria. L'investimento del risparmio dipenderà dalle decisioni degli investitori privati e pubblici e, quindi, dalle attese relative alla domanda e ai profitti e alle politiche della spesa pubblica. Uscire dalla trappola è possibile se l'insieme delle politiche adottate dal governo saranno tali da abbassare la crescita demografica e da creare incentivi all'aumento degli investimenti corrispondenti a determinati livelli di reddito pro capite. 3) tra investimenti e crescita del prodotto nazionale il modello presuppone che la seconda dipenda interamente dai primi. Ma l'operare di fattori diversi, come il progresso tecnico, determinerà un innalzamento dei tassi di crescita del prodotto che ridurrà.L'ammontare dell'investimento necessario
Il coefficiente di capitale
Nel fissare le direttive della politica degli investimenti nel quadro di una strategia di sviluppo le autorità economiche devono in primo luogo indicare qual è l'ammontare di investimenti necessari ad ottenere gli obiettivi desiderati. Se l'obiettivo è un dato tasso di crescita del prodotto nazionale, si tratterà dunque di adottare un criterio che definisca il rapporto esistente tra investimenti e prodotto. Nel modello di crescita di Harrod e Domar, tale criterio è il coefficiente di capitale, che indica l'ammontare di capitale richiesto per aumentare annualmente di una unità la produzione in ciascun settore dell'economia e nell'economia nel suo complesso. Conoscendo il coefficiente di capitale, il programma di sviluppo poteva fissare la quantità di investimenti che dovevano essere effettuati.
La misurazione del coefficiente di capitale
presenta numerose difficoltà:
- non può basarsi sui dati relativi al periodo precedente l'inizio del programma di sviluppo, dato che questo si propone proprio di determinare trasformazioni strutturali nell'economia che possano portare a sensibili cambiamenti nella produttività del capitale, né d'altra parte, sarebbe ragionevole riferirsi al rapporto medio capitale/prodotto dei paesi industrializzati, dato che quello che è rilevante è il rapporto incrementale e dato che le condizioni generali di quei paesi sono profondamente diverse.
- Non è possibile accogliere l'ipotesi del modello Harrod-Domar che suppone il rapporto dato per l'intera economia e costante nel tempo. Per passare da un modello di crescita a un programma di investimenti è necessario tener conto del fatto che il rapporto capitale/prodotto è la media ponderata dei rapporti per i diversi settori produttivi. Da un lato sarebbe scorretto usare
Un coefficiente di capitale stimato per l'interaeconomia quanto si formula il progetto di investimento per un singolo settore; dall'altro, bisogna tener conto delle conseguenze che derivano dal fatto che esso prevede investimenti in settori ed aree diverse. La conseguenza principale è che l'ipotesi di costanza o di relativa stabilità nel tempo del coefficiente di capitale risulta poco plausibile. Se durante tale processo il valore del rapporto capitale/prodotto tenderà a crescere o a diminuire non può essere detto a priori, dato che entreranno in azione fattori che operano nelle due opposte direzioni.
Il valore del rapporto capitale/prodotto non è indipendente dal periodo di tempo che l'accumulazione del capitale richiede ed è stato dimostrato che esso è tanto più alto quanto più lungo è il periodo che intercorre tra l'investimento e l'inizio della produzione: nel corso del programma.
La combinazione di progetti può essere modificata, se essi prevedono tempi di costruzione diversi il rapporto capitale/prodotto cambierà. La principale critica che si deve muovere all'uso del coefficiente di capitale come criterio guida per la formulazione di un programma di investimento non riguarda tuttavia le difficoltà della sua misurazione, ma l'interpretazione che sovente è stata data del suo significato. Alla fine degli anni '50, Cairncross constatava e criticava la tendenza ad usare tale rapporto come una misura della produttività del capitale, nel senso che l'interno aumento del prodotto possa essere attribuito all'aumento della capacità produttiva ottenuto con l'investimento. Il rapporto capitale/prodotto è semplicemente "un quoziente che misura in forma incrementale i rispettivi tassi di crescita del capitale e del prodotto" senza che si possa definire tra di essi un nesso causale.
unidirezionale. Fattore residuo e aumento della produttività del lavoro Una serie di ricerche, iniziate negli anni '50, dirette a valutare il contributo che lavoro, capitale e terra danno alla crescita del prodotto nazionale, misero in luce che una parte considerevole di questa di doveva attribuire ad un "fattore residuo", diverso dai tre principali fattori produttivi. Tale fattore consisteva nel progresso tecnico, ossia in scoperte e innovazioni la cui applicazione consentiva di accrescere la produttività del lavoro combinato con gli altri fattori. Solow e altri autori riconoscevano che scoperte e innovazioni esercitavano i loro effetti sulla crescita, in quanto incorporate in mezzi della produzione creati dall'investimento, la conseguenza che si poteva trarre per la politica di sviluppo era che anche con un ammontare ridotto di investimenti è possibile ottenere elevati tassi di crescita, mentre, in assenza di progresso tecnico, lo sforzo di risparmioE di investimento dovrebbe essere assai grande anche per ottenere risultati modesti. Il modo in cui il progresso tecnico venne allora inserito nei modelli di crescita neoclassici che occuparono a lungo una posizione preminente nella teoria economica non aiutava, tuttavia, molto né a comprendere i diversi tassi di sviluppo delle diverse economie, né a dare indicazioni per la politica economica. Se, come avviene nel modello di Solow, il progresso tecnico è trattato come una variabile esogena, esse dovrebbero diffondersi ovunque portando ad una convergenza dei tassi di crescita delle diverse economie. Spiegare perché nella realtà questo non avvenga sono problemi che si sono posti recentemente nuovi modelli di crescita endogena i quali attribuiscono rilevante o determinante importanza al "capitale umano". L'aver messo in risalto gli effetti che sulla crescita ha l'aumento della produttività del lavoro consentito dal progresso tecnico.
Aveva aperto la strada a una più generale considerazione dell'importanza che le "risorse umane" e il loro sviluppo hanno nei processi di crescita dei paesi sottosviluppati.
Il capitale umano
Il capitale umano può essere definito, per un individuo, il suo livello di capacità. Vi sono tre fattori che contribuiscono ad aumentare il capitale umano:
- Le condizioni fisiche dei soggetti
- Il loro livello di istruzione e di abilità tecnica e professionale
Lo svolgimento di attività lavorative presuppone il mantenimento della forza lavoro in condizione minime di efficienza (alimentazione sufficiente e adeguata al lavoro svolto, dotazioni di abitazioni e di vestiario adatte alle condizioni ambientali, esistenza e accessibilità di servizi igienici e sanitari) e quando queste condizioni non esistono, il livello di produttività sarà molto basso, in caso contrario aumenta.
L'analfabetismo, l'ignoranza di elementari