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BC: SIMBOLO, SIGNIFICATO ATTRIBUITO DA COMUNITÁ (SVILUPPO LOCALE)
L’etimologia di civiltà viene dal latino civis, cioè cittadino ed il termine significa che riguarda i
diritti privati dei cittadini o in senso figurato si dice d’uomo di condizione o nascita o educazione
propria di cittadino e quindi (in teoria) cortese e gentile (rispetto alla rusticitas della campagna);
particolare il fatto che la cultura sia coltivazione e quindi qualcosa di legato alla rusticitas, ma anche
civiltà, educazione, accezione che rimanda alla civitas. Tylor ne Il concetto di cultura del 1871 così
definisce la cultura: la cultura o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme
complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi
altra capacità e abitudine acquisita dell’uomo come membro di una società (La cultura è sempre
circostanziale, in riferimento ad un gruppo che in ciò si riconosce); questa definizione è la migliore
per chi intende occuparsi di economia della cultura.
(La città diventa il centro economico e culturale: è il luogo in cui avvengono gli scambi economici
e gli scambi culturali. Ci focalizziamo su quegli esercizi commerciali definiti botteghe storiche: si
tratta di qualcosa di poco noto, anche se ufficialmente riconosciuto dal comune, tanto che esiste un
albo delle botteghe storiche (264 botteghe storiche a Milano) ed una specifica targa da apporre in
vetrina; la bottega storica riconosciuta più antica di Milano è del 1284. Le botteghe storiche hanno
un interesse storico, artistico, architettonico, urbano, devono avere almeno 50 anni e conservare
gli arredi originali. Le botteghe storiche vendono beni culturali definiti vivi, proprio per
distinguerli dai beni culturali intesi nel senso più tradizionale, che assumono un valore meramente
simbolico perdendo una funzione d’uso concreta: la bottega storica continua ad essere frequentata
come un esercizio commerciale che vende beni culturali vivi, cioè nella loro originale funzione
d’uso. Così nelle botteghe commerciali ritroviamo economia e cultura insieme. Le botteghe storiche
sono particolarmente interessanti (Hanno un valore aggiunto), perché i beni culturali in questione
non cessano di avere il valore d’uso che avevano precedentemente: la forchetta bene culturale
venduta in una bottega storica dedicata, non è solo bene da museo, ma riveste ancora la funzione di
forchetta. Allo stato attuale, le botteghe storiche a Milano sono 264 e più di 2000 in Italia, quindi
si parla di un’attività molto ricca, viva a livello culturale e a livello commerciale, che ha valore per
la cittadinanza.)
1878. Quanto è difficile pensare qualcosa di culturale in senso economico: John Ruskin e James
Whistler dibattono sul tema della valutazione economica di qualcosa di culturale, in particolar
modo dell’arte; l’oggetto del contendere è il dipinto Nocturne in black and gold. Quello che accade,
in sede di tribunale (Whistler fa causa a Ruskin), è che Ruskin si lamenta del prezzo per lui
eccessivamente elevato dell’opera realizzata da Whistler (“Il prezzo è troppo alto per aver sbattuto
in faccia un barattolo di vernice al pubblico”); il giudice chiede “Questo è il prezzo per due giorni di
lavoro?” e Whistler risponde “No, per il sapere che ho accumulato in tutta una vita”. Si percepisce
come il valore dell’arte, e più in generale della cultura, sia fortemente soggettivo, anche nel caso di
due soggetti che lavorano nello stesso ambito di competenza (L’arte), come un critico e storico
d’arte ed un pittore.
Il grande economista Alfred Marshall afferma che è impossibile dare un valore a oggetti come
quadri dei grandi maestri e monete rare, poiché essi sono unici nel loro genere, non avendo nessun
concorrente, tuttavia potrebbe essere interessante provare a farlo. Questa frase è all’origine di tutti
quegli studi che si sono occupati del campo culturale nell’economia.
L’aneddoto sopra riportato accosta la quantità di lavoro al prezzo del bene realizzato (Il punto di
vista del giudice): questo tipo di ragionamento fa riferimento alla teoria economica di Ricardo (Che
deriva da quella di Smith), che valuta il bene in base al tempo necessario per produrlo. Anche il
punto di vista del pittore fa in qualche modo riferimento al tempo, ma non è il tempo concreto
necessario per dipingere l’opera, bensì il percorso formativo personale, la conoscenza sedimentata,
che nel lungo periodo ha portato alla realizzazione proprio di quel dipinto: Whistler anticipa il
pensiero di Becker (Anni 60 del ‘900) che pone al centro del discorso il capitale personale
dell’individuo (Capitale umano) in vista una resa, di una rendita futura. Parlando di Ruskin che
parte da un giudizio estetico per definire un valore economico (L’opera è brutta, non può costare
così tanto!) e che pone al centro l’utilità del consumatore (Teoria marginalista di Menger), si può
citare la posizione economica di Ricardo nel momento in cui esprime delle osservazioni sui beni di
lusso per i quali la scarsità determina il prezzo (Elevato). Quindi tutti hanno ragione in virtù del
fatto che si rifanno a diverse teorie economiche considerabili tutte valide, anche se alcune più
moderne di altre.
La catena bisogni-domanda-produzione-consumo può essere applicata ai beni culturali? Non
proprio: nei beni culturali la catena si struttura come produzione-bisogni-domanda-consumo, poiché
il bene è senz’altro stato prodotto in precedenza (Il bene per diventare culturale, secondo il Codice
dei Beni Culturali, deve avere almeno 50 anni di età), mentre gli altri punti vengono letti alla luce
del presente. Da un certo momento in poi si attribuisce al bene che ha particolari caratteristiche lo
status di bene culturale (Attribuzione ex post), cui segue una diversa trattazione (Anche economica)
del bene stesso. Per il bene culturale viene prima l’offerta rispetto alla domanda, perché il bene
culturale è già li, preesiste; tuttavia, benché possa sembrare che l’offerta venga prima, possiamo
dire che la stessa definizione di bene culturale sia una determinante della domanda, perché si dice
che noi andiamo in cerca di beni che hanno più di 50 anni, con particolari caratteristiche, ecc: si
parla di autoreferenzialità. Il ruolo della cittadinanza, della collettività, in riferimento a questi beni,
rimane marginale, poiché i criteri sono stabiliti e fissi, anche se talvolta accade che chiamiamo beni
culturali anche quelli che non lo sono: non è l’utente a definire il bene come culturale.
La gestione culturale è appannaggio di una classe ristretta di specialisti, una casta chiusa; il bene
culturale è naturalmente fortemente associato al passato e si investe veramente poco sui beni
culturali, anche se siamo il paese con il maggior numero di beni culturali al mondo: rischiamo di
diventare un deposito e niente più. Tutto ciò che non viene fatto oggi per le varie forme di attività
culturale, per le attività culturali, va a detrimento dell’attività culturale futura, non progredendo, o
meglio, progredendo verso una mummificazione. “La cultura è un prodotto particolare, non vale la
regola della domanda e dell’offerta. O almeno non ci si può affidare solo a quella perché il rischio è
che la qualità sprofondi in basso” “Progettualità, pensiero, creazione, sperimentazione non sono
beni immediatamente misurabili in termini di remunerazione economica”.
La domanda: quantità di un bene che i consumatori sono disposti e in grado di comprare a un
dato prezzo in un dato momento. L’offerta: quantità di un bene che viene prodotta e dunque
messa in vendita ad un dato prezzo in un dato momento. Principio dell’utilità marginale
decrescente: iniziando e continuando il consumo l’utilità decresce (Eccezioni secondo Keynes: gli
avari e i collezionisti; addirittura questa distorsione per l’avaro avviene nei confronti di un meta-
bene come il denaro); ma per i beni culturali? Il principio si inverte: ad un aumento di consumo
corrisponde un aumento di utilità e si parla di utilità marginale non decrescente o crescente; così i
beni culturali escono da diverse categorizzazioni economiche che quotidianamente si usano.
Non è importante solo la categoria consumo, ma anche quella di investimento: in termini specifici
per la categoria dei beni culturali, consumo significa il godimento del bene, la fruizione del bene,
il trarre piacere dal consumo del bene, di cui l’utilità è corrente o immediata, cioè si riferisce al
momento in questione; l’acculturazione personale invece si può definire come utilità futura e
questa è decisamente una questione interessante: esiste un godimento immediato, ma esiste anche
un’altra dimensione legata al mio investimento in cultura che segna il mio arricchimento futuro.
Bisogni e coltivazione del gusto e dell’abitudine: a volte si parla di una dipendenza che si instaura
nella fruizione di questi beni, proprio perché nel lungo tempo la curva è crescente e potenzialmente
si tratta di una crescita infinita. Marshall “Quanta più buona musica un uomo ascolta, tanto più
forte diverrà presumibilmente il suo gusto per quell’arte”, Bourdieu “Un adulto non entrerà mai in
un museo se non lo ha fatto da bambino”. Alfieri: il prezzo di riserva è sempre calcolato su quello
che sono disposto a spendere o quello che sono disposto a cedere, se sono io il venditore, cioè è il
prezzo minimo a cui un venditore è disposto a vendere/acquistare un oggetto; è diverso dal prezzo
di acquisto (O di mercato), cioè il prezzo che effettivamente viene pagato per lo scambio di un
bene. La logica è: faccio un investimento quando il mio prezzo di riserva è più basso, rispetto ad un
prezzo di acquisto più alto, in prospettiva di una resa futura (La logica è quella del paradosso).
Lo sprofondamento della qualità: il comportamento del free rider è quello di salire sull’autobus,
cioè di fruire di un servizio vincolato ad un pagamento, senza rendersi disponibile al
contraccambio; così esistono dei musei a ingresso libero, come la National Gallery di Londra (I
musei inglesi hanno lanciato l’idea del museo secondo l’offerta libera), che responsabilizzano,
fanno riflettere la persona sulla sua percezione del valore del bene. Quanto questo meccanismo
è efficace? Il tema della perdita di qualità è legato alla valutazione p