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L’idea di uno Spazio Comune europeo incomincia ad essere impiantata alla

fine degli anni Ottanta, quando le istituzioni comunitarie compresero che

sarebbe servito un maggior coordinamento nelle materie riguardanti

l’immigrazione e l’asilo.

Vennero così emanati due strumenti, la Convenzione di Schengen e quella

Dublino (1990). Mentre la prima era finalizzata all’eliminazione delle frontiere

interne ed un relativo rafforzamento di quelle esterne, per una libera

circolazione di persone e merci all’interno dell’Unione, la seconda stabiliva

l’individuazione dello Stato di primo ingresso come quello competente a gestire

le domande di asilo presentate da un cittadino di un paese terzo. Le

problematiche conseguenze di questa convenzione non tardarono a mostrarsi,

soprattutto con l’accresciuti flussi migratori in conseguenza del mutato

contesto geopolitico in quanto i paesi di frontiera venivano sovraccaricati di

domande di asilo alle quali non potevano discostarsi.

Comunque, dopo l’emanazione di questi strumenti riconosciuti come

meramente intergovernativi, si passò ad un processo di vera e propria

‘comunitarizzazione’ delle politiche in materia di asilo in conseguenza della

Conferenza di Tampere del 1999. Qui, sulla base del Trattato di Amsterdam,

venne promossa l’emanazione degli strumenti di prima generazione riguardanti

l’asilo. Ovvero: Dublino II, e le direttive riguardanti gli status minimi di

accoglienza, qualifiche e procedure, a cui i paesi membri si sarebbero dovuti

conformare. D’altra parte, però, occorre sottolineare alcuni problemi relativi a

questo obiettivo. Da un lato, i paesi membri continuavano ad avere politiche

eterogenee riguardo le procedure d’accoglienza, dall’altro vi fu un

rallentamento nel campo della promozione di politiche comuni d’asilo (se non

addirittura un vero e proprio blocco) in seguito agli attentati del 9\11. In questo

contesto, infatti, gli Stati e la stessa opinione pubblica mostrava forte

opposizione verso l’ingresso di stranieri nel proprio territorio.

Successivamente, vi è un nuovo impulso nella materia dell’asilo. Infatti, nel

2004 viene redatto il Programma dell’Aja. Alla fine del quinquennio della prima

fase di comunitarizzazione in ambito ‘asilo’, venne eseguita una valutazione dei

risultati raggiunti. Le diverse componenti, statali e sovranazionali, redassero il

Libro Verde nel quale delinearono altre possibili vie per raggiungere il Sistema

Comune e due anni dopo questo documento servì come base al Programma di

Stoccolma attraverso cui tutti gli strumenti della prima generazione vennero

posti sotto riforma risultandone la redazione di nuovi: Dublino III, e nuove

direttive che differentemente dalle precedenti ponevano standard comuni ai

quali gli Stati si sarebbero dovuti attenere, maggiori riguardi verso le categorie

vulnerabili e una maggior cooperazione comunitaria nel caso in cui sarebbero

sopraggiunte situazioni di flussi massicci di richiedenti protezione.

Tuttavia, il Sistema Dublino venne nuovamente criticato nell’ambito

dell’emergenza migratoria del 2015. Qui il Consiglio EU promosse una

rivisitazione del sistema e ne derogò il principio per inserire dei meccanismi di

resettlement che avrebbero dovuto aiutare la situazione critica che

attraversavano l’Italia e la Grecia in quel momento. Questo processo prevedeva

il trasferimento di date quote di cittadini somali ed eritrei da entrambi i paesi,

verso altri stati dell’Unione. Gli stati interessati acconsentirono ad accogliere

sul proprio territorio solamente cittadini somali ed eritrei, in quando solamente

ad essi poteva essere conferito per una alta percentuale di casi lo status di

rifugiati.

Comunque, questo tentativo di ‘bourden sharing interno ‘ non finì per essere

completato in quanto è noto che il sistema di asilo europeo si basa sulla doppia

slealtà: se da una parte vi sono i paesi di primo ingresso che non registrano gli

stranieri alle frontiere, perché incontrano problemi di vario tipo nel farlo,

dall’altra vi sono gli Stati che dovrebbero accogliere questi secondo il principio

di solidarietà, che non lo fanno. Succede che così essi si accusano a vicenda.

La Legge Bossi Fini, legge 189\2002, fu emanata con il fine di completare il

sistema italiano in materia di asilo rimasto incompleto con l’ultima normativa.

D’altra parte, è da segnalare che modifica in modo rilevante le stesse

disposizioni presenti nella L.Turco Napolitano del ’98 modificando di

conseguenza la struttura di accoglienza nazionale. Infatti, introduce una doppia

procedura per l’analisi delle domande di asilo, così come un nuova forma di

accoglienza. Prevede una procedura semplificata per coloro che sono trattenuti

nei Centri di Identificazione, ovvero coloro che si trovano sul territorio italiano

irregolarmente o hanno presentato la domanda di asilo dopo aver eluso e

cercato di eludere i controlli, nonché verso coloro ai quali è dato un ordine di

espulsione o debbano verificare la propria identità o nazionalità ed una

procedura ordinaria agli altri richiedenti asilo. Per quanto riguarda i soggetti

alla procedura semplificata, essi sono trattenuti nei CID, centri chiusi e dove il

trattenimento era obbligatorio o facoltativo, che successivamente sarebbero

stati trasformati in CARA, centri aperti, differenziati dai CIE con il decreto

procedure del 2008. Mentre gli altri, soggetti alla procedura ordinaria, venivano

accolti all’interno delle strutture del sistema SPRAR.

Inoltre crea sette commissioni territoriali per la verifica delle domande di asilo,

che sostituiscono la Commissione Centrale che diviene Commissione Nazionale

e viene incaricata di coordinare ed indirizzare i lavori delle commissioni

territoriali.

Inoltre prevede la possibilità di ricorso e riesame per gli stranieri ai quali la

domanda di asilo fosse stata rifiutata: il riesame era una successiva verifica

fatta dalla stessa Commissione Territoriale competente nella prima domanda,

integrata da un componente della CN. Il riesame sospendeva gli effetti

dell’espelsione, mentre ciò non era possibile per il ricorso che poteva essere

demandato al Tribunale territoriale se anche la procedura di riesame fosse

risultata negativa

Questa procedura è stata più volte modificata nel corso del 2008 ed

attualmente, in seguito alla modifica del decreto legislativo in recepimento

della Direttiva procedure: la possibilità di riesame è stata abolita ma vi è per

loro la possibilità di far ricorso al Tribunale territoriale con una conseguente

sospensione del provvedimento di espulsione. Coloro che presentano la

domanda di asilo, essendo trattenuti nei CID, non sono più trasferiti in un CARA

ma restano nel centro chiuso fino alla fine della procedura.

Lo SPRAR, ovvero il Sistema per Richiedenti Asilo e Rifugiati, è una rete

assistenziale dislocata territorialmente che mira a tutelare e garantire

protezione ai rifugiati, richiedenti asilo e agli altri beneficiari di protezione

internazionale sul territorio italiano. Nasce dalle ceneri dei due progetti

nazionali del 1999, formati per rispondere all’emergenza dei flussi di cittadini

kosovari che fuggivano dal loro paese, per compensare le lacune del sistema

nazionale in materia di asilo e accoglienza. Successivamente questo

meccanismo venne ripreso dal PNA che venne successivamente trasformato

nel sistema SPRAR. Questo, vede la collaborazione tra ente governativo, enti

locali e territoriali, organizzazioni volontarie e terzo settore: gli enti presentano

proposte di progetti agli organi superiori e, a seconda delle disponibilità

finanziarie, vedono le loro proposte venir accettate o meno. Significativa è la

partecipazione dei piccoli comuni che permette agli stranieri una miglior

integrazione sociale ed una maggior valorizzazione delle specificità territoriali

rispetto alle grandi città.

\\ Il Sistema SPRAR è il Sistema per Richiedenti Asilo e Rifugiati italiano che

mira a garantire assistenza e tutela ai richiedenti asilo, rifugiati o beneficiari di

protezione internazionale, in un contesto di dialogo tra Ministero dell’Interno,

ANCI, enti territoriali e terzo settore. Infatti, dalla collaborazione tra questi

soggetti si forma una rete di accoglienta dislocata territorialmente che tende a

garantire una forma di assistenza che non si ferma al vitto e all’alloggio, ma

finisce per comprendere anche la dimensione di integrazione socio-economica

andando a offrire ai singoli servizi d’istruzione e di job-maching.

\\Lo SPRAR nasce dalle ceneri degli interventi formati nel corso dell’emergenze

migratorie di fine anni Novanta, interventi meramente volontari e

disorganizzati e dislegati tra loro che cercarono di risolvere il problema della

mancanza di un sistema organizzato a livello statale. In questo contesto, per

rispondere ai flussi massicci provocati dalla crisi kosovata, vennero presentati

da un gruppo di enti due Progetti volti a creare delle reti di accoglienza nel

territorio italiano: Azione Comune e Nausicaa. Questi, contribuirono a porre le

basi per il Programma Nazionale Asilo, il quale verrà trasformato nel sistema

assistenziale nazionale quale lo SPRAR.

La Legge Martelli, l. 39\1990, introdusse grandi novità nel quadro normativo

italiano riguardo il sistema di asilo. Precedentemente, infatti, in italia vi era la

doppia procedura per il riconoscimento dell’asilo politico, dato che il nostro

paese aveva aderito alla Convenzione di Ginevra con la riserva geografica: una

per i cittadini UE, che rimanevano di competenza del governo, e i cittadini

extracomunitari, i quali erano sotto protezione dell’ACNUR. Con la L.Martelli

questa riserva viene abolita, e così la doppia procedura. I richiedenti asilo

dovevano presentare la domanda alla Commissione Centrale che, nell’ipotesi

positiva conferiva lo status di rifugiato. Con la legge, l’accoglienza nei centri nei

casi in cui lo straniero era impossibilitato a sostenersi autonomamente viene

sostituita con il trasferimento di un compenso economico per quaranta cinque

giorni. Tuttavia, le problematiche delle lunghe attese per l’analisi delle

domande non tardarono a verificarsi, in quanto i finanziamenti erano

insufficienti per coprire le lunghe attese. Inoltre, con le crisi migratorie che si

presentarono negli ultimi anni Novanta, questa legge venne messa a dura

prova. A tali flussi migratori, portatori di individui che non erano in grado di

soddisfare i requisiti definiti dalla C.di Ginevra, ma che non potevano essere

rispediti nei loro territori in ragione del principio di no refoulement contenuto

stessa convenzione, l’Italia rispose attraverso il conferimento di forme di

protezione ad hoc temporanee che permisero ai

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Publisher
A.A. 2018-2019
8 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lillapegghi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto europeo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Petrovic Nadan.