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L’aria costiera tra Siracusa e Augusta, a partire dal 1949, fu sottoposta ad un repentino processo di
insediamento industriale che portò alla costruzione di uno dei più grandi petrolchimici europei. Nel
1968 venne adottato il piano Asi il quale prevedeva che Priolo fosse interamente accerchiato da
aree industriali e che Marina di Melilli ospitasse, dopo lo sfollamento degli abitanti, lo stabilimento
petrolchimico dell’Isab. Già nella prima metà degli anni 70 cominciarono a manifestarsi i primi
segni della crisi ambientale sottoforma di morie di pesci, malformazioni neonatali ed intossicazioni
di massa a causa dell’assenza di reti di rilevamento e di controllo dell’inquinamento. L’elevato
impatto ambientale causato dallo stabilimento portò ad una serie di proteste da parte della
popolazione e solo nel 1979, con il raggiungimento dell’autonomia di Priolo e con le prime
definitive sistemazioni degli sfollati di Marina di Melilli, le istituzioni cominciarono a preoccuparsi
della questione ambientale e ad adottarla come strategia di sviluppo.
Neocapitalismo secondo Foa
Il neocapitalismo viene considerato come la fase più recente del capitalismo caratterizzata dal
crescente intervento statale nell’economia, dalla concentrazione del potere economico in società
nazionali e multinazionali e dalla dilatazione dei consumi dovuti all’aumento del benessere. Il primo
a parlare di neocapitalismo fu Vittoria Foa, il quale riteneva che tale termine facesse riferimento ad
un nuovo mondo economico in movimento. Il neocapitalismo sarebbe per Foa una realtà corposa e
sostanziale in cui l’impresa instaura un intreccio di funzioni con la società e in cui il potere
economico necessita di uno Stato più completamente integrato, dotato di maggiori iniziative e visto
come soggetto economico di pieno diritto.
(BERTA)
L’operaismo
L’operaismo è una corrente di pensiero e di ricerca marxista chi si sviluppò in Italia agli inizi degli
anni sessanta. Tale corrente riteneva che la classe operaia fosse il motore dello sviluppo
economico e per questo motivo solo essa poteva dar inizio a un processo rivoluzionario che
sconvolgente per le istituzioni classiche (partiti e sindacati). Uno dei maggiori esponenti fu
Panzieri, il quale sosteneva che il neocapitalismo coincidesse con la massificazione della classe
operaia e con il suo potenziale di interdizione nella società. Dunque, diversamente da Foa,
Panzieri vide nel neocapitalismo la densità di una concentrazione operaia che inevitabilmente finirà
per far valere il suo peso sociale nella collettività.
Rapporto Pirelli
Il rapporto Pirelli, diffuso nel 1970, fu redatto su iniziativa dei giovani imprenditori dalla
Commissione capeggiata dal celebre imprenditore dal quale prende la sua denominazione. Il
rapporto Pirelli mirava a modernizzare la Confindustria guidata da Angelo costa poiché non si
allineava al nuovo sistema di economia mista, alla programmazione economica e alla pressione
del sindacato.
Il rapporto Pirelli proponeva un continuo scambio triangolare tra le rappresentanza dell’impresa,
quelle del lavoro e gli organi della politica economica. Inoltre sosteneva il principio dell’autonomia
dell’associazione imprenditoriale e delle rappresentanze di interesse volte a raggiungere obiettivi di
crescita per la società.
I distretti industriali
Il modello di sviluppo dei distretti industriali si affermò in Italia a partire dal 1970. Il distretto
industriale è un’agglomerazione di piccole e medie imprese ubicate in un ambito territoriale
circoscritto e specializzate nelle varie fasi del processo produttivo. Il massimo sostenitore e
ideatore di questo modello fu Beccatini, il quale sosteneva che esso fosse la chiave di svolta
sperimentata dagli italiani per accedere alla modernità industriale e al progresso economico. Berta
da un lato sostiene le idee di Beccattini, ma dall’altro si avvale anche delle idee di De Cecco. Egli
riteneva che con l’apologia dei distretti industriali si determinasse una
diminuzione della ricerca e delle prospettive strategiche a causa dell’assenza di imprese di grandi
dimensioni. Il successo di questo modello è dovuto principalmente a due fattori di sviluppo:
l’ancoraggio socio-colturale delle imprese ad un ambito territoriale circoscritto e il prevalere della
cooperazione sulla gerarchia interna ( Corresponsabilità nel processo produttivo tra imprenditore e
lavoratore).
L’industrialismo secondo Berta
Berta sostiene che l’industrialismo sia quella spinta a fare dell’industria la chiave di svolta dello
sviluppo economico nel corso del XX secolo. SI tratterebbe dunque di una tendenza di carattere
economico-sociale che portò l’uomo a ricercare il benessere solo nella produzione, nel profitto e
nel consumo. Le energie e le risorse erano incanalate in questo settore che restituiva per
contraccambio alla società, assieme ad una ricchezza incrementata, un tono più progredito della
sua vita civile. Nel corso del XX secolo, infatti, l’industria era vista come organismo in grado di
ordinare allo stesso tempo sia le forze della produzione sia quelle del mutamento. L’analisi di Berta
si concentra sul settore che maggiormente si era sviluppato in Italia sin dall’inizio del secolo scorso
e presta attenzione a quei fattori sociali e storici che necessariamente devono essere coniugati ad
esso.
L’impresa secondo Mattei
Mattei riteneva che l’impresa pubblica fosse ‘’ il braccio operativo’’ dello Stato italiano, infatti
attraverso le sue idee sono venuti meno tutti quei pregiudizi, presenti dall’inizio del XX secolo,
riguardanti la gestione industriale italiana. Egli sosteneva che fosse il correttivo più moderno delle
distorsioni dell’economia liberale poiché accelerava lo sviluppo dei settori e delle aree depresse e
trasferiva alla collettività i vantaggi relativi all’aumento di produzione. Il modello descritto da Mattei
si concretizzerebbe in un’organizzazione aziendale possente (come l’ENI) che persegue dei fini
istituzionali, quali lo sviluppo economico e l’aumento dell’occupazione. Questi fini si raggiungevano
attraverso 3 condizioni: delle dimensioni tali da garantire economie di scala, la specializzazione dei
vari settori di attività e il coordinamento delle funzioni in una grande unità integrata.
L’intersind
L’intersind era un’agenzia contrattuale delle imprese IRI sorta nel 1959 in Italia. Con la costituzione
dell’Intersind si delineava la distinzione e la separazione tra imprese a partecipazione statale e
imprese private raccolte nella Confindustria.
L’Intersind svolgeva diverse funzioni rilevanti. SI occupava,ad esempio, di rappresentare gli
interessi delle associate nei confronti di autorità pubbliche e altre istituzioni e le assisteva nella
conclusione di accordi e contratti collettivi di lavoro. Inoltre, con la contrattazione articolata, aveva
iscritto al proprio attivo la diminuzione degli orari di lavoro e l’avvicinamento del trattamento
normativo tra impiegati ed operai.
Quindi essa si era mossa sia per assecondare con strumenti sindacali il mutamento tecnologico
sia per assicurare la razionalizzazione globale delle relazioni industriali.
Taylorismo e fordismo
Il metodo fordista era una forma di produzione aziendale basata sull’utilizzo della tecnologia della
catena di montaggio al fine di garantire l’aumento di produttività. Il fordismo si affermò negli Stati
Uniti a partire dal 1913 e si ispirava all’organizzazione aziendale taylorista. Il taylorismo e il
Fordismo presentano infatti numerose caratteristiche comuni: la razionalizzazione del ciclo
produttivo, la rigida selezione del personale, l’introduzione di sistemi di incentivazione e la
presenza di una gerarchizzazione interna (divisione netta tra progettazione ed esecuzione dei
compiti aziendali). Il taylorismo era una teoria economica dell’organizzazione scientifica del lavoro
ideata da Taylor negli USA nei primi anni del secolo scorso. Tale metodo si basava sul principio
secondo cui la migliore produzione si poteva determinare quando ad ogni lavoratore veniva
affidato uno specifico compito da svolgere in un determinato tempo e in un determinato modo. Ciò
che spingerebbe il lavoratore ad accettare le condizioni di lavoro è l’incentivo economico, reso
possibile grazie all’aumento di produttività.
(NARDOZZI)
Il modello concorrenziale di Nardozzi
Il modello concorrenziale è caratterizzato da un continuo flusso di imprese nel mercato e dalla
crescita di quelle già presenti (fino ad una dimensione massima, sempre contenuta rispetto alle
quelle di mercato). Ciascun imprenditore non è a conoscenza delle scelte e delle interazioni degli
altri concorrenti e investe poiché presuppone di poter vendere ai prezzi correnti.
L’inconsapevolezza degli imprenditori determina una crescita dell’offerta (senza che essi si
preoccupino di prevedere la domanda complessiva di mercato) e, attraverso l’occupazione creata
e gli investimenti, alla fine si giungerà anche ad una crescita della domanda stessa.
L’adeguamento dell’offerta in eccesso rispetto alla domanda in questo contesto avviene attraverso
una diminuzione dei prezzi o attraverso un aumento dei costi per potenziare le vendite, causando
una riduzione dei margini di profitto. Tutto ciò non modificherà l’orientamento verso il reimpiego di
profitti d’impresa per la crescita poiché risulteranno eliminate le imprese meno efficienti.
Il modello oligopolistico di Nardozzi
Il modello oligopolistico è caratterizzato dalla presenza di barriere all’entrata nel mercato che
limitano l’ingresso di nuove imprese e da decisioni di investimento che sono soggette
all’interazione strategica tra i pochi concorrenti. La crescita a scapito degli altri concorrenti
potrebbe essere molto costosa e gli investimenti dipendono dalle previsioni sullo sviluppo della
domanda per l’intero settore e dall’opportunità di impiego alternativo dei profitti. Diversamente dal
modello concorrenziale, se l’espansione attesa della domanda non giustifica l’aumento
complessivo della produzione, non si realizzeranno investimenti e non si genererà domanda.
Dunque l’accumulazione del capitale deve adeguarsi alla domanda.
Il miracolo economico
Il miracolo economico si configura come l’acme dell’età dell’oro e corrisponde al periodo che va dal
1959 al 1963 in cui vi verificò nei Paesi europei una straordinaria crescita economica che portò al
raggiungimento di aumenti record della produttività. L’analisi economica sostiene che in quel
periodo si verificò un esempio eclatante di