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CINA

La Cina comunista - nel 1949, in Cina, fu costituita la Repubblica Popolare Cinese. Tra i secoli XVI e XIX la Cina, aveva vissuto un

lungo periodo di isolamento durante il quale si era chiusa ai rapporti internazionali. Verso la metà ‘800 fu costretta dalle potenze

Occidentali ad aprirsi ai traffici e dovette stipulare dei trattai che la obbligarono a tenere bassi i dazi doganali e a ospitare sul

territorio alcune delegazioni straniere. L’economia cinese, anche per ragioni interne, collassò proprio mentre l’economia dei paesi

industrializzati stava crescendo, sicché essa rimase al quanto emarginata dal punto di vista economico. Con la fine dell’ultima

dinastia imperial cinese (1911), fu instaurata la repubblica e iniziò un lungo periodo di torbidi interni, sfociato in un conflitto armato

fra il Partito nazionalista e il Partito comunista. Durante la II° GM, le due frazioni sospesero le ostilità per combattere gli invasori

giapponesi, ma a guerra finita ripresero la lotta. Si trattò di uno scontro molto duro e cruento, che terminò con la sconfitta dei

nazionalisti costretti a rifugiarsi nell’isola di Taiwan, e con il trionfo del Partito comunista di Mao Zedong.

La storia economia della Cina comunista si può dividere in due periodi: primo periodo di economia pianificata (1949-78) e quello

del economia socialista di mercato (1993) che definì il nuovo sistema economico.

La realizzazione del comunismo passò attraverso 3 fasi:

1. la Cina seguì l’esempio sovietico ma, successivamente, si manifestarono profonde divergenze fra i dirigenti dei due paesi che

portarono le due grandi economie socialiste a prendere strade diverse.

Dopo aver domato l’iperinflazione e dopo aver stabilizzato la moneta, il nuovo governo dovette affrontare la trasformazione

socialista dell’economia.

L’industria era già stata largamente statalizzata dal precedente governo nazionalista ma nei primi anni ’50 furono

nazionalizzate, senza indennizzo, le grandi imprese e le banche, mentre le piccole imprese a conduzione familiare furono

spinte a trasformarsi in cooperative. Anche in Cina furono introdotti i piani quinquennali, che puntarono sull’industria pesante

a scapito della produzione dei beni di consumo.

L’agricoltura costituiva il settore più importante dell’economia e in questo campo fu adottata la più grande riforma agraria

che la storia ricordi.

I risultati del primo decennio del nuovo regime, nonostante fossero complessivamente positivi, non vennero ritenuti

soddisfacenti dai dirigenti del Partito comunista.

2. Fu perciò lanciato il grande balzo in avanti (1958-60), un piano economico sociale che richiese una generale mobilitazione

della popolazione per riformare rapidamente il paese e trasformarlo in una moderna società industriale, con l’intento

dichiarato di raggiungere i paesi sviluppati.

Nel campo industriale vennero attuate diverse misure di decentramento, si potenziarono le medie e le piccole imprese e i

lavoratori delle fabbriche furono coinvolti nella loro gestione.

Nelle campagne si formarono le comuni agricole, una sorta di comunità villaggio organizzate in brigate (le ex cooperative).

Dopo qualche difficoltà iniziale, le comuni, assunsero anche la funzione di nuove unità amministrative dello stato.

Nonostante i sacrifici imposti alla popolazione, il grande balzo in avanti trasformò il volto della Cina rurale, con la realizzazione

di grandi progetti locali, grazie al lavoro collettivo.

3. La crescita economica subì un rallentamento all’epoca della cosiddetta rivoluzione culturale (1966-69). Si basò principalmente

sulla mobilitazione dei giovani (universitari e non) riuniti in gruppi, denominati “guardie rosse” ed essi imperversarono in tutto

il paese per imporre il pensiero di Mao, sventolando il “libretto rosso” contenente le massime del loro leader, nel tentativo di

modificare le strutture della società al fine di modificare il modo di pensare dei cinesi.

Le riforme cinesi e l’economia socialista di mercato - dopo la morte di Mao (1976), il successore Deng Xiaoping avviò

gradualmente un processo di liberalizzazione dell’economia.

A partire dal 1978 furono attuate riforme in tutti i settori, tendenti ad accelerare lo sviluppo e a modernizzare l’encomia, mediante

l’introduzione di elementi di capitalismo nel sistema. I dirigenti cinesi ritenevano che il controllo politico accentrato dell’economia

rappresentasse il modo più efficace per creare sviluppo ed erano convinti che il processo di modernizzazione del paese richiedesse

una struttura politica forte e centralizzata, per impedire che le tensioni sociali che inevitabilmente ne sarebbero scaturite potessero

ostacolarne lo svolgimento. Le riforme poste in essere introdussero degli incentivi salariali, visti come un’efficace strumento per

stimolare il maggiore impiego dei lavoratori. Il concetto di egualitarismo, perseguito sino a quel momento, venne considerato un

ostacolo alla crescita economica. Fin dall’inizio, i riformatori cinesi si proposero di far aumentare i redditi individuali e i consumi e di

introdurre nuovi sistemi di gestione delle imprese per incrementare la loro produttività. Si conservarono i piani quinquennali che

continuarono ad avere un ruolo importante nell’organizzazione economica.

La prima riforma riguardò l’agricoltura che abolì le comuni e si tornò a un sistema basato sulle aziende agricole.

Anche il settore industriale subì profonde modifiche, ovvero fu ammessa la costituzione di piccole imprese private a carattere

famigliare, che non potevano avere più di sei dipendenti. In seguito, il settore privato si allargò e le limitazioni della loro attività

furono gradualmente ridotte o eliminate. Le imprese controllate dalle autorità locali vennero progressivamente privatizzate e

cominciarono a conquistare quote di mercato sempre più ampie; rimasero le più importanti del paese e costituirono grandi gruppi

capaci di competere sui mercati internazionali. Esse furono autorizzate a vendere liberamente la quantità di prodotti che eccedeva

quella stabilita dal piano, al quale dovevano comunque attenersi.

Uno dei principali scopi del governo fu di attirare investimenti esteri per sostenere l sviluppo economico e perciò furono create

diverse “zone economiche speciali” lungo la costa.

Il sistema bancario fu riformato e nacquero numerose anche private, ma il ruolo di quelle pubbliche rimase preponderante. Furono

riaperte le Borse, chiuse dal 1949. La moneta, lo yuan non è liberamente convertibile in valuta estera e perciò il cambio ufficiale

viene fissato dalle autorità cinesi ed hanno tenuto il cambio dello yuan a bassi livelli rispetto al dollaro per dare competitività alle

loro merci.

Per via del basso costo della manodopera, i prodotti cinesi costavano poco e inondarono tutti i paesi. La Cina è diventata il primo

esportatore mondiale di prodotti che erano solo manufatti a bassa tecnologia, ma col tempo anche prodotti più complessi.

Importati società multinazionali straniere hanno aperto i propri stabilimenti nel paese grazie ai vantaggi offerti dal governo e ai

finanziamenti delle banche. Molti prodotti “made in China” sono dovuti perciò alle imprese straniere e non a imprese cinesi. Il

valore in dollari delle esportazioni aumentò permettendo alla Cina di entrare nel Wto (2001). Nonostante la necessità di importare

molte materie prime e manufatti di qualità, a partire dagli anni ’90 la bilancia commerciale fu costantemente attiva. La Cina si trovò

con enormi disponibilità di valuta estera, una parte dei quali fu investita attraverso un “fondo sovrano” (statale) nell’acquisto di

titoli pubblici americani, arrivando a detenere una buona quota ed in tal modo i legami economici fra i due paesi sono diventati

molto forti.

La Cina oggi è la seconda potenza economica mondiale preceduta solo dagli Stati Uniti. Queste profonde trasformazioni

economiche hanno comportato anche una maggiore mobilità sociale geografica.

La Cina è ormai un’economia mista, in cui lo Stato conserva un peso molto rilevante, denominata così come “economia socialista di

mercato”. Forse anche per questo e per la disponibilità di risorse, accumulate con le esportazioni, sembra che la Cina abbia potuto

affrontare meglio la crisi del 2008-09 ed è stata in grado di varare un vasto programma di intervento pubblico effettuando grossi

investimenti per la realizzazione di infrastrutture, costruzione di alloggi a basso costo e per sostenere lo sviluppo agricolo,

l’avanzamento tecnologico e i risparmio energetico.

22. L’economia indiana dalla fine della seconda guerra mondiale alla fine del novecento

Il subcontinente indiano conquisto l’indipendenza nel 1947 (al termine di lunghe lotte condotte dal Partito del Congresso sotto la

guida del mahatma Gandhi) e nacquero due stati: l’India (maggioranza induista) e il Pakistan (maggioranza mussulmana).

L’India diede vita a una Repubblica federale di 28 stati con propri governi e assemblee legislative mentre il Pakistan risultò

composto dalle provincie occidentali. I rapporti fra i due paesi si rivelarono difficili d subito per via della questione del Kashmir, una

regione al confine che ha provocato diversi scontri.

La dominazione coloniale aveva comunque lasciato all’India la conoscenza diffusa della lingua inglese, una moderna burocrazia

statale e una buona dotazione di infrastrutture (importante sistema ferroviario) che si rivelarono utili allo sviluppo successivo.

La strategia d’industrializzazione fu fondata su tre elementi:

1. sostituzione delle importazioni, comportò l’abbandono del sistema coloniale ovvero l’abbandono del ruolo di stato

distributore di materie prime al resto del mondo.

2. protezionismo, fu conservato e le importazioni furono sottoposte a forti dazi in modo da favorire le imprese che

assicuravano la produzione di beni che prima bisognava importare.

3. intervento statale nell’economia, controllo statale della attività economiche e la creazione di un solido sistema di

imprese pubbliche.

Le imprese e l’attività industriale risultarono sostanzialmente divise in tre gruppi:

- imprese pubbliche: industria pesante e trasformazione delle risorse naturali

- imprese a partecipazione pubblica: in cui la presenza privata si sarebbe dovuta gradualmente ridurre

- imprese private: industria leggera e produzione beni di consumo

Sul finire degli anni ’60, un nuovo intervento statale portò alla nazionalizzazione delle banche, con lo scopo di far giungere i servizi

bancari anche nelle zone rurali e favorire la formazione del risparmio. Le piccole imprese ricevettero particolare attenzione da parte

dello stato, specie dagli anni ’70, anche perché erano maggiormente in grado di assorbire manodo

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Publisher
A.A. 2015-2016
28 pagine
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/12 Storia economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher AgneseBonomi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia economica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia o del prof Rinaldi Alberto.