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Le diversità dei capitalismi
Europa e Stati Uniti dagli anni ’90 ad oggi
Come abbiamo potuto constatare già con il seminario sulla Cina e sull’India, i vari tipi di capitalismo non sono tutti uguali.
Se l’elemento che li accomuna è il mercato, come forma di regolazione dell’economia, esistono poi una serie di declinazioni particolari che ogni paese mette a punto e che li rende spesso profondamente diversi gli uni dagli altri. Molte delle differenze dipendono soprattutto dall’equilibrio che si viene a creare tra Stato e mercato.
Negli Stati Uniti, ad esempio, è stata più forte che in Europa l’idea che il mercato funzionasse meglio, quanto più si fossero limitate le azioni dello Stato. Azioni che possono essere le più varie e che si possono estrinsecare secondo vari gradi, da quelle minime che si limitano a garantire la sicurezza e il rispetto dei contratti tra privati, fino alla gestione di larga parte dell’economia di una Nazione.
Se è vero che, soprattutto negli ultimi anni, Europa e Stati Uniti tendono ad assomigliarsi molto, è vero anche che continuano a permanere differenze fondamentali, legate ad esempio al sistema di welfare, alle tutele che limitano le situazioni di estrema povertà, al livello dei redditi, agli orari di lavoro, alla diffusione delle tecnologie ecc.
Queste differenze fondamentali derivano da una diversa visione del mondo. Jeremy Rifkin parla del “sogno americano” che si contrappone al “sogno europeo” per le loro idee diametralmente opposte di libertà e sicurezza.
Secondo Rifkin per gli americani la libertà è da sempre associata all’autonomia: se si è autonomi non si dipende dagli altri e non si è esposti ad eventi che non si possono controllare. Per essere autonomi si devono possedere beni: quanta più ricchezza si accumula, tanto più si è indipendenti dal resto del mondo.
Si diventa liberi rendendosi autosufficienti e isolandosi dagli altri. La ricchezza porta l’esclusività. L’esclusività la sicurezza.
Per gli europei invece la libertà non consiste nell’autonomia ma nell’integrazione. Essere liberi significa avere accesso ad una miriade di rapporti con gli altri: quanto più sono numerose le comunità a cui si ha la possibilità di accedere, tanto maggiori sono le opportunità e le scelte a disposizione per vivere una vita piena di senso.
Dalle relazioni viene l’inclusività. Dall’inclusività, la sicurezza.
Il sogno americano pone l'accento sulla crescita economica, sulla ricchezza personale e sull'indipendenza; il sogno europeo concentra l'attenzione sullo sviluppo sostenibile, sulla qualità della vita, sull'interdipendenza.
Il sogno americano rende omaggio all'etica del lavoro, quello europeo è più improntato al tempo libero.
Il sogno americano è inseparabile dalla tradizione religiosa del paese (protestante e calvinista), mentre il sogno europeo è essenzialmente laico.
L'America è comunque la terra delle possibilità, il posto in cui il progresso è considerato una certezza. Gli americani disapprovano il principio della trasmissione ereditaria e delle differenze di classe e credono si debba essere giudicati esclusivamente per i propri meriti.
Una caratteristica del sogno americano è che esso è stato concepito come un'esclusiva della nazione che l'ha creato. Non era fatto per essere esportato. La sua potenza stava nell'unicità, non nell'universalità. Il sogno americano si può inseguire solo sul suolo americano. Ma oggi, in un mondo in cui si sta formando una coscienza globale, questo sogno, sempre secondo Rifkin, diventa inadeguato. L'idea che gli americani siano il popolo eletto da Dio e che la loro terra sia l'unica terra promessa, viene generalmente accolta in Europa con risolini increduli, soprattutto dalla parte più laica della popolazione.
Ci fa sorridere che ogni giorno, nelle scuole americane, i bambini confermino la propria fedeltà ad una nazione soggetta solo a Dio e, d'altra parte, la maggior parte degli statunitensi sostiene sia necessario credere in Dio per avere valori positivi.
Per noi Europei la religione è un aspetto secondario, mentre gli Americani sono assolutamente convinti che esistano principi conoscibili ed universali per distinguere il bene dal male.
È anche per questa ragione che la politica estera statunitense sarebbe stata condotta, almeno in parte, come una saga morale in cui le forze del bene combattono quelle del male.
Anche quando gli interventi militari americani potevano assolutamente essere interpretati in termini più materiali, e dunque motivati dal profitto e dall'interesse, sono stati sempre presentati al popolo come la lotta del bene contro il male.
Reagan parlava dell'Unione sovietica come dell'“impero del male”. Bush oggi fa riferimento a Iraq, Iran e Corea del Nord come all'“asse del male”. La retorica della Casa Bianca è perfettamente in sintonia con l'essenza profonda dell'America.
Un'altra caratteristica fondamentale del popolo americano è la sua spiccata coscienza civica che, per quanto possa sembrare paradossale, riflette il concetto di libertà individuale.
Essi sono stati sempre poco propensi a delegare troppo potere allo Stato. Per loro, libertà ha significato capacità di accumulare ricchezze rendendosi indipendenti. In questo senso il governo è
Quando Netscape si collocò sul mercato azionario non aveva realizzato un centesimo di profitto, eppure le sue azioni nel primo giorno di quotazione salirono da 12 a 48 dollari, e tre mesi dopo ne valevano già 140.
Cominciò così la frenesia della corsa ai mercati azionari, ma è vero anche che la New Economy non è stato e non è solo un fenomeno riservato alle aziende tecnologiche, a quelle nate sulla Rete. Il carattere pervasivo delle nuove tecnologie ha cambiato in profondità anche le aziende della Old Economy. Oggi l’agricoltore guida un trattore trasformato in un ufficio semovente. A bordo ha l’aria condizionata, il cellulare, un sistema di localizzazione guidato via satellite. Nella sua fattoria il pc è collegato con le precisioni meteorologiche, segue le quotazioni di grano sui mercati mondiali, tiene i bilanci dell’azienda e monitorizza costantemente il suo conto in banca.
Lo stesso vale per il lavoro del camionista, rivoluzionato dal radar di bordo e dal sistema di navigazione satellitare, dalla centrale operativa della ditta di trasporti che dirige via computer tutta l’attività logistica.
In effetti, negli anni ’90 la crescita è aumentata a livelli e a ritmi inusitati. La stampa e gli esperti proclamavano che le recessioni erano ormai acqua passata e che la globalizzazione avrebbe portato prosperità in tutto il mondo.
La versione americana del capitalismo, basata su un’immagine di spregiudicato individualismo, trionfava su altre interpretazioni più morbide.
Negli incontri internazionali come i G-7 che riunivano i leader dei paesi avanzati, l’America si vantava del proprio successo predicando ai responsabili dell’economia delle altre nazioni che, se avessero seguito il loro esempio, avrebbero potuto raggiungere anche loro un’analoga prosperità.
Le parole d’ordine erano: tagliate il bilancio, eliminate le barriere commerciali, privatizzate le aziende di servizio pubblico….
Agli asiatici veniva detto di abbandonare il modello, basato tra l’altro sulla sicurezza a vita del posto di lavoro, che aveva funzionato così bene per loro per oltre due decenni.
Anche la Svezia e gli altri propugnatori dello Stato assistenziale sembravano inclini ad abbandonare i rispettivi modelli di riferimento, con il ridimensionamento dei sussidi statali e la riduzione delle aliquote fiscali.
L’ordine del giorno era: “poco Stato”.
L’ascesa della New Economy ha coinciso con un crescente attivismo ideologico di Clinton, teso ad influenzare le sinistre riformiste al governo in Europa.
I passaggi salienti di questa operazione di evangelizzazione sono stati i celebri seminari sulla Terza Via, voluti dal presidente americano e che hanno visto partecipare Prodi, Blair, Schroeder, D’Alema, Jospin…