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IL PAZIENTE BORDERLINE
Tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, la sindrome borderline era facilmente assimilata alla
schizofrenia, anche se presentava dinamiche differenti da quest’ultima. Otto Kernberg ha cercato,
invece, di caratterizzare i pazienti borderline da un punto di vista psicoanalitica. Ha coniato il
termine “organizzazione borderline di personalità” per circoscrivere un gruppo di pazienti che
mostravano debolezza dell’Io, operazioni difensive primitiva e relazioni oggettuali problematiche. I
sintomi erano: ansia fluttuante, sintomi ossessivo-compulsivi, fobie multiple, reazioni dissociative,
spunti paranoidi, sessualità perversa polimorfa e abuso di sostante. Ma i sintomi descrittivi non
erano sufficienti per definire una diagnosi, era invece necessario un’analisi strutturale che rivela 4
caratteristiche chiave:
1. Manifestazioni non specifiche di debolezza dell’Io (soggetti incapaci di ordinare le forze
dell’Io)
2. Scivolamento verso processi di pensiero primario (regrediscono a un pensiero simil-
psicotico in mancanza di una struttura)
3. Operazioni difensive specifiche:
scissione che si manifesta con a) espressione alternante di atteggiamenti contraddittori; b)
suddivisione delle persone in o “tutti buoni” o “tutti cattivi”; c) immagini di sé contraddittorie
4. Relazioni d’oggetto patologiche interiorizzate queste persone non riescono a cogliere le
esperienze interne degli altri. A causa della scissione, sono incapaci di vedere nelle
persone un insieme di qualità positive e negative (tutti o dei o demoni).
Secondo Kernberg, i pazienti con disturbi di personalità di qualunque genere hanno
un’organizzazione sottostante borderline di personalità.
COMPRENSIONE PSICODINAMICA E EZIOLOGICA
Alcuni dei primi tentativi di chiarire le cause del BDP si sono focalizzati sul ruolo
dell’ipercoinvolgimento di figure materne conflittuali che riducevano, nel bambino, le possibilità
di separarsi da lei generando ansie di separazione ed abbandono.
Altri hanno posto maggiore enfasi sull’incapacità del bambino a crearsi un oggetto interno
confortante che, normalmente, offre al bambino sostegno e rassicurazione quando la madre non è
fisicamente presente.
Alcuni studi hanno definito degli aspetti caratterizzanti dei pazienti borderline:
1) Considerano la loro relazione con la madre distaccata, conflittuale o poco coinvolgente.
2) La mancanza della figura paterna è un aspetto ancora più discriminante della relazione con
la madre.
3) Relazioni disturbate sia con la madre che col padre possono essere più patogene di quanto
non lo siano le relazioni problematiche con un solo genitore.
Questi dati ci inducono a pensare che la trascuratezza può rappresentare un fattore eziologico più
significativo dell’ipercoinvolgimento. 1
In effetti, i primi approcci teorici a questa sindrome hanno del tutto sottovalutato il ruolo giocato dal
trauma infantile che si è invece scoperto di grande rilevanza, anche se insufficiente, da solo, a
provocare il disturbo.
Bateman e Fonagy (2004) hanno sviluppato un modello basato sulla mentalizzazione derivato
dall’attaccamento. Alle modalità insicure di attaccamento è strettamente correlata una scarsa
capacità di mentalizzazione. Molti pazienti trovano estremamente difficile riconoscere gli stati
d’animo degli altri, così come quelli propri. La mentalizzazione è un aspetto della memoria
procedurale implicita, sicché in maniera automatica un individuo legge l’espressione presente sul
volto altrui, senza il bisogno di uno sforzo conscio. In assenza di un attaccamento rassicurante e
stabile, per i bambini, diventa difficile discernere gli stati della mente.
Una caratteristica del paziente borderline è l’incapacità di risolvere i traumi, dovuta alla scarsa
mentalizzazione.
L’autorganizzazione si basa in gran parte sulla capacità di concepire se stessi e gli altri come
agenti mentali.
Quando un genitore non fornisce questo tipo di esperienza rassicurante, un caregiver spaventato o
spaventante viene interiorizzato come parte della struttura del Sé che dà origine ad una
rappresentazione oggettuale ostile che verrà esteriorizzata, attribuendo agli oggetti esterni quelle
particolari caratteristiche della relazione oggettuale interiorizzata.
FARMACOTERAPIA
Le linee guida dell’American Psychiatric Association raccomandano un trattamento combinato di
psicoterapia e farmacoterapia, ma negli ultimi anni l’entusiasmo nei confronti dei farmaci è
decisamente calato. I sintomi del disturbo sono estremamente cangianti che spesso la prescrizione
dei farmaci risulta difficile per lo psichiatra. Ci sono diversi principi guida che possono essere
d’aiuto per un trattamento farmacologico:
1. Collaborare col paziente ed informarlo degli effetti collaterali
2. Chiarire che se il farmaco risulta del tutto inefficace, dopo una riduzione graduale delle dosi
verrà sostituito con un altro
3. Limitare le aspettative del paziente e sottolineare che il trattamento principale è la
psicoterapia
4. Se si intende utilizzare stabilizzatori dell’umore, tenere presente che il topiramato e la
lamatrigina sono più sicuri del litio
5. Gli antipsicotici sono efficienti, ma sono associati al rischio di forte rischio ponderale e
sindrome metabolica (evitarne l’impiego)
6. Le benzodiazepine vanno utilizzate con cautela perché potrebbero sedare il paziente e
indurlo in disibinizione comportamentale.
È importante stabilire una forte alleanza terapeutica anche per prevenire improvvise modifiche
della terapia senza il consulto dello psichiatra.
APPROCCI PSICOTERAPEUTICI
Almeno sette forme di psicoterapia sono risultate efficaci: “funziona tutto”.
Questa generalizzazione ha un suo perché che è spiegato in 4 punti: 2
1. Tutti gli approcci terapeutici forniscono al paziente una cornice concettuale sulla patogenesi
del disturbo e sul suo trattamento che gli permette di comprendere ed organizzare la sua
confusione interiore
2. Differenti tipi di pazienti borderline rispondono ad aspetti differenti dell’azione terapeutica
3. L’alleanza terapeutica può essere il fattore chiave del processo di cambiamento
4. È possibile che tutti gli approcci agiscano attraverso meccanismi neurofisiologici simili. La
relazione terapeutica è usata per migliorare la capacità del paziente di riesaminare assunti
e percezioni di natura automatica e riflessa.
Trattamento basato sulla mentalizzazione: il suo scopo è quello di promuovere la capacità di
mentalizzare dei pazienti borderline. Uno dei primi obiettivi è la stabilizzazione del senso di sé, in
base all’assunzione che la mancanza di attaccamento genera la difficolta, in questi pazienti, di
riuscire a trovare se stessi nelle interazioni con i genitori o altri caregiver. All’inizio, i pazienti
borderline, si mostrano aggressivi verso il terapeuta, ma questo atteggiamento dovrebbe essere
considerato come una manifestazione di speranza, un disperato bisogno di cambiamento. La
relazione è necessaria per consolidare la struttura del Sé attraverso l’esteriorizzazione del Sé
alieno nel terapeuta. I terapeuti devono mantenere un atteggiamento mentalizzante, ma anche
un’immagine coerente al loro stesso ruolo. Per aiutare i pazienti a riflettere sul loro mondo interno,
l’importanza è data ai desideri, convinzioni, sentimenti e relazioni interpersonali attuali. È, invece,
data meno importanza all’interpretazione transferale.
Secondo Bateman e Fonagy il processo dell’interpretazione è fondamentale, non tanto per il suo
contenuto, ma perché aiuta il paziente a comprendere che è presente nella mente del terapeuta.
Questa è un modello focalizzato sul transfert che si basa sulla concettualizzazione Kernberg
dell’organizzazione della personalità. Secondo questo approccio, dalla relazione con il terapeuta si
può risalire ad attaccamento mal curato del passato da cui derivano le rappresentazioni interne. Le
tecniche usate sono, maggiormente, interventi di chiarificazione, confrontazione ed interpretazione
all’interno della relazione con il terapeuta. Le sedute si svolgono due volte alla settimana e
prevedono un contesto strutturato, con delle regole ben precise definite all’inizio della terapia e
chiare priorità del trattamento.
Psicoterapia dinamica decostruttiva: è un modello di trattamento relativamente nuovo che si basa
su concetti derivanti dalla teoria delle relazioni oggettuali, dalla filosofia decostruttivista e da recenti
sviluppi delle neuroscienze. Il trattamento prevede sedute settimanali individuali durante le quali il
terapeuta si concentra su eventi interpersonali e comportamenti maladattivi, aiutando il paziente a
identificare le emozioni associate e a elaborare tali episodi.
General Psychiatric Management (GPM): è un trattamento psichiatrico orientato
psicodinamicamente che fa riferimento ai concetti di “ambiente contenitivo” e “madre
sufficientemente buona” proposti da Winnicott. Le caratteristiche più salienti dell’approccio sono:
1. Gestione del caso che si focalizza sulla vita del paziente
2. Interventi psicoeducazionali
3. Obiettivi che coinvolgono il miglioramento di sintomi e autocontrollo considerati secondari a
quello primario che è fornire un miglior funzionamento interpersonale.
4. Strategie multimodali
5. Alleanza terapeutica
APPROCCI ESPRESSIVI E SUPPORTIVI 3
I terapeuti che hanno in cura pazienti borderline dovrebbero confrontarsi con colleghi competenti in
materia per assicurarsi che le relazioni controtransferali non siano la causa di un’alleanza
terapeutica carente poiché in assenza di essa il terapeuta non può più seguire il paziente.
Entrambi i tipi di intervento, supportivo ed espressivo, sono utili per alcuni pazienti, in alcuni
momenti del trattamento. I pazienti richiedono approcci psicoterapeutici confezionati su misura per
ciascun individuo.
Una delle conclusioni tratta dagli innumerevoli studi sulla questione spinosa è che interventi di
interpretazione avevano effetti più marcati, in senso sia positivo che negativo: in alcuni casi
miglioravano la relazione tra paziente e terapeuta, in altri casi portava al deterioramento di
quest’ultimo.
Anche se il tipo di approccio può variare, esistono delle tecniche generali che si applicano alla
stragrande maggioranza dei casi borderline:
Mantenere la flessibilità pazienti con un’elevata forza dell’Io e una mentalità psicologica più
sviluppata potranno trarre maggiore vantaggio da un approccio espressivo, mentre pazienti più
vicini al confine psicotico avran