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LA CITTADINANZA EUROPEA.
L’attribuzione della cittadinanza europea. Tra le più significative novità del Trattato di Maastricht vi fu l’istituzione
della cittadinanza dell’Unione europea, consistente in un nuovo status giuridico del quale è titolare chiunque abbia la
cittadinanza di un paese membro dell’Unione.
Tale status ( art. 9TUE ) è disciplinato negli art. 20-25 TFUE. I diritti dei cittadini trovano ulteriore riconoscimento nella
Carta di Nizza dei diritti fondamentali, attribuendogli nel 2007 la stessa portata dei trattati.
Oltre all’istituzione di una cittadinanza europea si menzionano dei doveri nei confronti dei cittadini, che non sembrano
però doveri specifici. Come si vedrà, la cittadinanza europea implica il conferimento solo di taluni diritti che sono
elencati nel proseguo dell’art. 20 TFUE. La cittadinanza europea viene conferita in automatico a ciascun cittadino di
qualsiasi stato membro. Essa è un arricchimento della cittadinanza nazionale, che senza in alcun modo sostituire
quest’ultima la potenzia mediante una serie di diritti. Rispetto alla cittadinanza nazionale quella europea costituisce una
cittadinanza duale o derivata.
Il fatto che qualsiasi cittadino di qualunque stato membro abbia la cittadinanza europea esclude l’esistenza di criteri di
acquisto o di perdita di tale cittadinanza definiti autonomamente dall’Unione. Sono gli stati membri che mantengono il
potere di disciplinare come credono l’attribuzione e la perdita della cittadinanza nazionale determinando così, anche la
nascita o la perdita della cittadinanza europea.
In questo senso è però chiara la Dichiarazione n.2 sulla cittadinanza di uno stato membro la quale permette agli stati
di comunicare quali persone si possano considerare come propri cittadini ai fini del diritto dell’Unione europea.
Dalla sentenza MICHELETTI può desumersi un limite alla rilevanza delle legislazioni nazionali ai fini di tale attribuzione.
La corte infatti ha affermato che la competenza degli stati in materia di cittadinanza deve essere esercitata nel rispetto
del diritto comunitario, quindi al diritto dell’Unione. Di conseguenza non produrrebbero effetti sulla cittadinanza europea
disposizioni di uno stato membro che per es. limitassero la propria cittadinanza per impedire l’esercizio di diritti nascenti
da tale diritto; oppure che privassero taluno della cittadinanza in contrasto con i diritti fondamentali riconosciuti dai
principi generali.
L’orientamento risultante da tale sentenza sembra essere approvato anche dalla sentenza 2 marzo 2010: CASO
ROTTMAN. Il caso in questione riguardava un uomo già cittadino austriaco, naturalizzato tedesco, al quale le autorità
tedesche avevano successivamente revocato la naturalizzazione a causa della condotta fraudolente di tale persona che
aveva così perduto la cittadinanza dell’unione. 13
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Da tale sentenza si è potuto dedurre che, la competenza degli stati membri nell’attribuzione e nella revoca della
cittadinanza è sottoposta ad un complesso di limiti derivanti dal diritto dell’Unione, nella misura in cui tale competenza
incide sulla cittadinanza europea.
Lo status di cittadino europeo: il diritto di libera circolazione e di soggiorno. La cittadinanza dell’Unione non
consiste, come quella nazionale, in un vincolo giuridico-politico caratterizzato da una generale soggezione del cittadino
allo stato, ma da una sua partecipazione alla vita politica dello stato. Essa si risolve in un catalogo di specifici diritti
esercitabili nei confronti degli stati membri piuttosto che dall’Unione, e taluni appartenenti non solo ai cittadini ma
anche alle persone fisiche o giuridiche aventi la residenza o la sede sociale in uno Stato membro. L’individuo non viene
più in rilievo solo come soggetto economicamente attivo, ma tende a porsi come soggetto politico, partecipe e
consapevole protagonista del processo di integrazione europea. Anche i diritti derivanti dalla cittadinanza dell’Unione
possono esercitarsi solo in situazioni che non siano esclusivamente interne ad uno stato, come è affermato dalla Corte.
Il primo diritto di cui è titolare ogni cittadino dell’Unione è quello della libera circolazione e soggiorno nel territorio
degli stati membri. L’art. 21 TFUE muta la prospettiva precedente del diritto di circolazione e di soggiorno , il quale,
non si collega più ad una logica economica e di mercato (come era definito nel Trattato di Roma) ma ad un fondamento
politico, qual è lo status di cittadino europeo. Esso inoltre attribuisce a tale diritto un fondamento normativo, che ne
favorisce anche lo sviluppo. Lo stesso art. 21, contempla espressamente la possibilità di un ulteriore sviluppo del diritto
in esame stabilendo che il Parlamento europeo e il Consiglio deliberando con la procedura legislativa ordinaria possano
adottare disposizioni intese a facilitare il suo esercizio. Particolarmente importante è la Direttiva n. 38 del 2004
relativa al diritto dei cittadini dell’unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli
stati membri. Anche tale direttiva conferma che gli stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno
di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, adottando anche provvedimenti di allontanamento per motivi di ordine
pubblico, pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
Il diritto di elettorato alle elezioni amministrative e del Parlamento europeo. L’art. 22 TFUE contempla il
diritto di elettorato attivo e passivo, un diritto avente natura politica e tipica dello status di cittadino, riguardo alle
amministrazioni e a quelle del Parlamento europeo.
In origine l’esercizio di tale diritto richiedeva l’emanazione di un atto del Consiglio, il quale ha adottato a tal fine una
direttiva del dicembre del 2004, più volte modificato in corrispondenza ai successivi allargamenti dell’unione europea .
Essa ha previsto anche alcune deroghe, consentendo agli stati ad es. di riservare ai propri cittadini l’eleggibilità a capo
dell’organo esecutivo; di tale facoltà si è valsa l’Italia con riferimento alla carica di sindaco.
L’elettorato amministrativo si colloca essenzialmente nell’ottica del divieto di discriminazione i base alla nazionalità,
consacrato dall’art. 18 TFUE.
Il diritto di elettorato attivo e passivo al Parlamento europeo, previsto dal par. 2, si colloca nell’ottica della partecipazione
del cittadino europeo alla vita politica dell’unione, con riguardo all’istituzione democratica rappresentativa dei cittadini.
In base a tale norma ogni cittadino europeo può votare al parlamento europeo nel Paese di residenza e in tale paese
candidarsi alla carica di parlamentare europeo. Anche l’attuazione di questa disposizione richiedeva l’adozione di un atto
il che è avvenuto con la direttiva n.93 del dicembre del 1993. La quale tra l’altro ha cura di garantire che il diritto in
questione sia esercitato solo una volta, o nel paese di origine o in quello di residenza.
L’art. 22 par. 2 TFUE accentua nel parlamento il carattere unitariamente rappresentativo dei cittadini degli stati membri
e ne esalta la natura sopranazionale. Si noti che il riconoscimento di tale diritto ha trovato terreno propizio in Italia alla
quale con legge 9/1989, aveva assunto l’iniziativa di estendere l’elettorato passivo al Parlamento europeo ai cittadini
degli altri stati membri indipendentemente dalla loro residenza in Italia. Il diritto di elettorato appare quindi una
prerogativa non esclusiva dei cittadini europei.
Il diritto di petizione. L’art. 24 TFUE riprendendo la disposizione dell’art. 11 TUE relativa al referendum
propositivo ricollega tale potere di iniziativa alla cittadinanza dell’Unione. Nei commi successivi esso attribuisce al
cittadino europeo alcuni diritti che lo avvicinano alle istituzioni europee ed ai loro processi decisionali . Si tratta del
diritto di petizione. Il Parlamento europeo aveva contemplato questo diritto già nel suo Regolamento
interno del 1981. Il suo riconoscimento nei trattati non ha fatto altro che rafforzare il diritto di petizione configurando
un corrispondente dovere di esaminarlo in capo al Parlamento europeo. Dall’ampia prassi in materia si desume che la
petizione può avere un contenuto vario. Non di rado le petizioni si riferiscono a comportamenti degli stati in cui si
lamenta la contrarietà al diritto dell’unione. In ogni caso la petizione deve rientrare nel campo di attività dell’Unione.
Il diritto di petizione, che secondo l’art. 24 TFUE compete ad ogni cittadino dell’Unione, viene esteso dall’art. 227 TFUE
anche ad ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno stato membro . Tale
espletazione appare contraddittoria ma condivisibile nell’ottica della tutela dei diritti umani fondamentali, anche se in
questa ottica non appare del tutto giustificata la limitazione del diritto di petizione alle sole persone residenti o aventi la
sede sociale in uno stato membro.
L’art. 227 subordina la presentazione di una petizione alla condizione che la materia oggetto della stessa concerna
direttamente l’autore della stessa.
Per l’esame delle petizioni è istituita una commissione permanente del Parlamento europeo, detta commissione per le
petizioni. Essa può organizzare anche una missione d’informazione nello stato membro o nella regione cui la petizione
si riferisce. Può chiedere alla Commissione europea di assisterla. Il risultato dell’esame può essere vario anche in
corrispondenza a diversi contenuti che le stesse petizioni possono presentare. Ai sensi dell’art. 202 del Regolamento
interno del Parlamento, la Commissione per le petizioni può decidere di elaborare relazioni o di pronunciarsi in altro
modo previo parere di un’altra commissione parlamentare in particolare qualora la petizione abbia per oggetto una
modifica delle disposizioni legislative in vigore. Essa può chiedere al presidente del parlamento di trasmettere il suo
parere o la sua raccomandazione alla Commissione, al consiglio o all’autorità dello stato membro in questione al fine di
ottenere un intervento o una risposta. Il parlamento su proposta della commissione per le petizioni può adottare
risoluzioni, può formulare interrogazioni alla commissione o al consiglio come può tentare di raggiungere un
regolamento amichevole con lo stato la cui petizione imputi una violazione del diritto dell’unione . In quest’ultimo caso,
se non si perviene ad un regolamento amichevole, si apre la possibilità di una procedura d’infrazione su iniziativa della
Commissione europea. 14
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La denuncia al mediatore europeo. Allo scopo di avvicinare il cittadino alle istituzioni europee risponde anche
l’istituto del mediatore (dife